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Immagine del redattoreAlessandro Pertosa

«Verso il nulla»: recensione a "Seracchi e Morene" di Mauro Ferrari

Fedele alla sua tradizione poetica e stilistica, Mauro Ferrari torna, con Seracchi e Morene (Passigli 2024), a presentarci uno scenario apocalittico votato al disastro, in cui l’uomo spaesato avverte «lo scricchiolio dei mondi / che fremono per divenire / e presto sfarinarsi in nulla». Proprio quel nulla tanto caro alla cultura occidentale, che finisce per inghiottire l’essere, facendolo sparire per sempre.

Tralascio qui di approfondire i gravi problemi di ordine teoretico impliciti in questa tesi, e mi concentro sul senso di disperazione e strazio che emerge dai versi. In Seracchi e Morene la terra è desolata, lacerata da bombe che esplodono, da grida disumane lanciate a ogni angolo di strada: dove ogni cosa è gelo, aridità e tutto si appresta a morire. Presi nella morsa di questa spirale asfissiante, la bussola è perduta da tempo «ed ogni rotta cancellata dalle mappe». Tutto converge verso il nulla, verso un luogo non-luogo dello spirito. Ma questo non-luogo, più che all’utopia rimanda alla distopia. È il non-luogo dello spavento e dell’orrore. È il non luogo del niente che avanza a grandi falcate, impendendo a chicchessia di chiarire, approfondire, intus legere fra le trame profonde e intricate della realtà.

Nella poetica di Ferrari si palesa con chiarezza una nostalgia dolorosa non solo per ciò che è irrimediabilmente perduto, per la mancanza, ma anche per tutto ciò che avrebbe potuto essere, e che tuttavia non è mai stato: «c’è stato qualcosa tempo fa / e la sua impronta ancora urla / sospesa nell’aria».


Mauro Ferrari, Copertina, Alma Poesia

L’impronta nell’aria mostra il senso profondo dell’impalpabilità. Un’impronta nell’aria non resiste, sfuma. È un’impronta sparita o forse persino mai esistita, in un mondo che sembra non avere consistenza: «e poi di nuovo quella trasparenza / che nasconde e illude, / il tempo che fugge / e l’attrazione del fondale…)». Quando niente resiste, tutto va a fondo, affoga.

Ferrari non ha soluzioni da proporre, fedi in cui credere o santi a cui votarsi. La sua poesia naufraga controvento, fra le onde di un mare in tempesta. E forse di più. Forse è anche peggio. Perché nella tempesta si può comunque galleggiare. Magari a fatica, ma è pur sempre possibile. Ora invece «i laghi sono gelati, i torrenti in secca, / tutti i sentieri impraticabili / ed ogni rotta cancellata dalle mappe: / grida ogni strada nomi vuoti e misteriosi / che la Storia ha raschiato via».

E tutto questo è inevitabile. Se ci si imbarca con Eraclito nel fiume che scorre verso il nulla, il destino non può che essere tremendo e distopico. Un destino che si spalanca sul vuoto assoluto, che inghiotte ogni cosa, ogni speranza, senza scampo.



Alma Poesia, Mauro Ferrari

Mauro Ferrari (Novi Ligure 1959) ha pubblicato le raccolte poetiche: Forme (Genesi, Torino 1989); Al fondo delle cose (Novi 1996); Nel crescere del tempo (con l’artista valdostano Marco Jaccond, I quaderni del circolo degli artisti, Faenza 2003); Il bene della vista (Novi 2006, che raccoglie anche la precedente plaquette). Ha inoltre pubblicato una serie di saggi di poetica dapprima apparsi sul quotidiano alessandrino «Il piccolo» (Poesia come gesto. Appunti di poetica, Novi 1999), poi confluiti nel volume Civiltà della poesia (Puntoacapo, Novi 2008). Nel settore dell’anglistica si è interessato di Conrad, Tomlinson, Hughes, Bunting, Hulse, Paulin e diversi altri poeti contemporanei. Attualmente è direttore editoriale di Puntoacapo Editrice, fondata con Cristina Daglio, e direttore culturale della Biennale di Poesia di Alessandria. Con Gabriela Fantato, Giancarlo Pontiggia e Salvatore Ritrovato dirige «Punto. Almanacco della Poesia Italiana».

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