«Una vita dietro l’altra»: recensione a "Partire da qui" di Stefano Modeo
Non c’è alcun compiacimento, né una nostalgia melliflua, non c’è vagheggiamento di un qualcosa di perduto, né mitizzazione in questi versi di Stefano Modeo, in questa raccolta, uscita per Interno Poesia nella primavera di quest’anno, e significativamente intitolata Partire da qui. Certo c’è, ed è implicito già in quel titolo, il senso del viaggio, del movimento, dello spostamento, e se vogliamo ancora dello sradicarsi e radicarsi, o ri-radicarsi, c’è la dimensione del luogo e dei luoghi, c’è il “qui”, inteso come punto di partenza e di arrivo, o di ripartenza, ma soprattutto come una mappa invisibile che ci portiamo dentro. Le radici restano le fondamenta sotterranee su cui si regge la poesia di Modeo: quella dell’ulivo su cui si abbarbica la casa sull’albero del bambino, quelle profonde dell’acero che accolgono la sepoltura, che ci ricongiungono alla terra, quelle del vecchio fico che si inerpica in un recinto di lamiere a segnare quella dicotomia così tipica del suo paesaggio, sospeso tra la natura viva che respira e i capannoni, le strade spianate dal caterpillar. E radici paiono, piantate come sono nel profondo, pure le scogliere che si ergono irte e taglienti a tracciare quasi un confine.
E difatti il “mare” percorre l’intera raccolta e innesca una circolarità che quasi non si chiude con le pagine di questo libro: i due mari che uniscono e separano Taranto, la piccola patria di Modeo e il “qui” da cui muove il tracciato poetico di questa raccolta, quei due mari che mescolano la città vecchia e l’Ilva, la Portineria D della fabbrica – dove il mare si sente “mugghiare” nei magazzini – e i vicoli in cui scivolano i motorini, il mare dei pescatori e dei pesci eviscerati, squarciati dal coltello che ci si porta dietro quando si è lontani e che trattiene sulla lama il sapore del sale. Quel mare, con il suo reticolato di sensi e di metafore, si espande in questo libro fino a racchiudere in un solo lemma la logica dei contrasti che si agita sotto le parole di Modeo, fino a compendiarne la frattura e a sanarne la ferita.
Se il mare è fuga, liberazione come il gesto dei ragazzi che si arrampicano sugli scogli, attraversati da un desiderio febbrile e quasi animalesco di vita, che le madri richiamano a sé quasi a scongiurarne l’abbandono, è pure il pesce dilaniato dai gabbiani, quello trafitto dalle lenze, è vita e morte in una parola sola. Il mare che richiama un Ulisse che, lungi dall’essere il simbolo di una conoscenza indomita, dell’esplorazione di un ignoto precluso agli altri, ci appare ripiegato su se stesso, conscio del suo abbandono, del tradimento della terra, supplicante quasi un ricongiungimento con il proprio io e il proprio mondo.
Si potrà intravedere in questo mare, fatto di gesti, di odori, di scheletri sommersi, una cifra di quel sud che Modeo evoca fin dalla prima sezione, A sud di nessun dove, o una misura di quella “nostalgia” raccontata nell’ultima dove le «punte degli scogli» delimitano un confine – di cosa, fino in fondo, non è dato sapere – a chiudere, come fosse la quinta di un palcoscenico, la partitura di questo libro. Si potrà ancora riconoscere alla poesia di Modeo, apparentemente fedele a uno stile e a una scrittura; eppure, così volubile nel muoversi dal lirismo al racconto, dalla tragedia alla farsa, il tentativo di definire un’idea di “sud”, una sua concezione che non sia solo geografica, ma mentale e corporale al tempo stesso. Però, non solo di “sud” si parla, neppure come attitudine o appartenenza, in questo libro ma più in assoluto di quella condizione a cui tutti siamo in qualche modo sottoposti, del bisogno di andarsene e della necessità di tornare, per poi ripartire di nuovo, della tentazione del mare e della vita, e delle radici che ci determinano e ci strangolano al tempo stesso. E soprattutto del gesto del poeta che cerca di racchiudere in un secchio, di rinchiudere e afferrare qualcosa che si agita senza sosta e che non conosce un vero confine.
Stefano Modeo (Taranto, 1990) vive e lavora come insegnante a Treviso. “La Terra del Rimorso” (ItalicPequod 2018) è la sua opera prima. Ha curato l’antologia di poesie di Raffaele Carrieri ʻʻUn doppio limpido zeroʼʼ (Interno Poesia 2023). Compare nell’antologia ʽʽAbitare la parola - Poeti nati negli anni ’90ʼʼ (Ladolfi editore 2019) e in ʽʽI cieli della preistoria. Antologia della nuovissima poesia puglieseʼʼ (Marco Saya 2022). Fa parte della redazione della rivista di poesia Atelier e della redazione del blog Universo poesia – Strisciarossa. Si occupa di poesia italiana contemporanea per la rivista di critica letteraria norvegese Krabben - Tidsskrift for poesikritikk.
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