«Una rondine dipinta / che non ha dove tornare»: recensione a "Vista parco" di Manuel Lantignotti
Legami tra passato e presente, scomposizione, strappi e carezze, ma soprattutto fondamenta: sono queste le parole con cui Gabriele Borgna parla della poesia di Manuel Lantignotti nella prefazione di Vista parco (perQuod, 2022). E siccome di strappi e di carezze è fatta l’esistenza di molti, mi è sembrato inevitabile che i versi di questo poeta dovessero essere raccontati a tanti, ma soprattutto a te. A te che hai immaginato di cambiare casa in una mattina di febbraio con i raggi del sole che scendevano perpendicolari rispetto alla terra e le foglie già vestite di verde, in questa natura ormai sempre in ansia da prestazione. Ti sei figurato una casa vista parco, circondata di suoni veri, quelli che echeggiano un po’ il canto di qualche bosco non lontano. Hai fatto finta che fosse piena di cinguettii nel primo pomeriggio e abbracciata di silenzio con l’impigrirsi della luce. Come tutti i luoghi che si immaginano stando altrove, anche quella casa ti è sembrato avesse il sapore del cambiamento; un po’ come la prima cicca che mangi da bambino, il dispiacere appena accennato nel lacerare la carta perfetta e il brivido nel gustare il sapore fino a quel momento sconosciuto. Lacerazione e scoperta, la tua casa te la sei immaginata così. Ed è così che viene raccontata nei versi di Lantignotti, raccolti sotto il titolo Vista parco. Un titolo che non avevo ben memorizzato mentre immaginavo di disegnare per te con le parole di questo poeta quell’edificio della fantasia. Costruire quando si fa o si legge poesia è obiettivo implicito, ma nei versi di Manuel Lantignotti è anche meta intrisa del sacrificio che la costruzione sempre richiede: scavare la terra, creare un solco dove poggiare una casa come un nido, abbattere i muri che frenano la luce, togliere la polvere, accantonare i ricordi per proteggerli dal vento. Per costruire occorre cambiare e il cambiamento, che come linfa ci nutre, è necessario, propedeutico all’evoluzione. E fin qui niente di nuovo, dirai tu.
Quello che però scoprirai leggendo i versi di Lantignotti è che la lacerazione che precede il cambiamento e la crescita non è mai scontata: i ripensamenti ci muovono le gambe come passi di danza, mentre nello specchio scorgiamo ancora il naso del padre, la fossetta della madre, quella rosa di capelli che ricorda un sé bambino. Lo rendono evidente i titoli stessi delle sezioni di quest’opera: Risacca, Cronache, VistaParco, Àncora. In queste pagine si intrecciano rami e foglie come in una geografia celeste celata da una natura che attira su di sé l’attenzione, rinchiudendo le stelle e le nuvole in forme geometriche atte a costruire significati impenetrabili. Costruire, lacerare: quante volte ti torneranno alla mente questi verbi leggendo i versi di Lantignotti, eppure lui non li usa mai. La sua è una poesia che spiega prima di definire, con il ritmo fermo di chi, anche se è in cerca, ha una strategia: offre una definizione, prima ancora della parola che etichetta, e su quella definizione lascia spaziare il pensiero, sempre più su. Costruisce la casa, tegole, camino, pannelli solari e finestre, prima di affiggere un nome sulla buca delle lettere.
In Risacca questa aspirazione a tendere i versi al cielo come rami di alberi prende voce in netta contrapposizione rispetto al titolo della sezione: «i ciliegi dell’adolescenza», «l’odore di resine / nelle mie primavere», «il ricordo è un passo tra le foglie», «da questa casa di latta / è cresciuto un pioppo secolare», «C’è una baita nel bosco / di pini, dove la legna / arde ancora». Alberi ovunque, con le loro linfe appiccicose e i muschi umidi che nascondono universi di insetti e altre creature troppo piccole anche solo per immginarle. Alberi che poco o nulla hanno a che fare con la vastità del mare, sulla quale nessun seme può dare frutto. Però, lì dove le radici affondano salde nel tempo, il poeta si muove avanti e indietro come un’onda del mare. Nessun albero all’orizzonte finché non ha il coraggio di ruotare la testa all’insù, con il corpo a mollo: rami come appigli cui aggrapparsi per emergere, radici come eliche di cose che volano, che guardano al futuro.
Se ti sembra la descrizione di un sogno, in effetti è proprio così, ma i nostri sogni prendono forma a spizzichi e bocconi da quello che viviamo, e quindi per me e per te anche da questa raccolta. In fondo è Lantignotti stesso a scrivere che: «Cala un filtro blu sul lido, / solo inverno e spuma / a far le veci delle parole. / Viviamo tutti ignari in un sogno». Il punto di congiunzione tra ciò che si è stati e ciò che si sarà si configura nei versi del poeta come la presa di coscienza di chi si è oggi, un difficile dialogo a tu per tu con lo specchio, che ci rimbalza un riflesso sconosciuto. Quella consapevolezza, come il poeta scrive, si trova nei sogni, dove è possibile «saper ricucire il tempo / con maestria abituarmi / all’odore del ferro / del sangue e dell’ago. Il rattoppo è custode / evita di perdersi nelle epoche, / di affogare nelle dimensioni».
Ma prima di ricucire, occorre smontare il travestimento, sfilacciare le cuciture per avere tessuti nuovi da assemblare. Con l’ago anche tu puoi sollecitare il filo a uscire dalla trama e intanto ripensare alla tua infanzia, modello di un futuro che solo se vuoi sarà diverso: «Guardi lente le cascine sfiorire […] i portici nei giorni di pioggia / gli amici, i sogni indicibili». Mentre scuci pensi anche a tutto ciò che ti fa paura, ti chiedi «quanti vuoti può riempire il mare?», quell’orizzonte vuoto che trovi davanti agli occhi quando ti sembra di nuotare senza meta io lo conosco bene e anche Lantignotti che mentre scrive e cuce e sogna e costruisce il futuro non fa che «sperare che questo nulla diradi». Serve scucire, scomporre il passato, per costruire quella casa che immagini in un parco, nella feroce ricerca di un’appartenenza che sia solo tua: «Un giorno questo parco sarà un museo per me solo». L’importanza di questo momento, del profumo del ferro dell’ago e del sangue del tuo dito, ti sarà chiaro quando inizierai a prendere coscienza della stanza in cui ti trovi, della casa che hai ereditato da tuo padre, mentre utilizzi le armi da cucito di tua madre: solo allora quella sensazione di essere «una rondine dipinta / che non ha dove tornare» si rivelerà per quello che è, una bugia. Solo nel momento in cui capirai che, «nonostante mia madre sia un letto singolo / mio padre una valigia», il passato ha dato forma a quel ricamo che stai piano piano disfacendo, quando ti accorgi che qualunque forma d’albero cucirai su quello stesso tessuto avrà le stesse radici delle precedenti, con l’aggiunta di qualche foglia e di qualche sogno che saranno solo tuoi, allora sì, potrai tornare a costruire. Allora nel tuo lavoro da Parca ti dirai: «Ho dovuto lasciare casa. / Creare uno spazio nuovo / tra il letto a scomparto e il muro / […] Sarà allora quello il segnale, / di una fase che tardo ad accogliere / pur di restare qui con voi ancora. / Àncora».
Ecco perché il nulla all’orizzonte ti farà un po’ meno paura: nelle bracciate a vuoto in quel mare di onde fuori dal tuo controllo, sentirai sotto il pelo dell’acqua qualcosa che ti fissa, un’àncora che sostiene senza affondarti, che ti permette di galleggiare con la testa finalmente rivolta alle nuvole, a quegli alberi sottosopra in mezzo ai quali. Allora sì, capirai che questa raccolta parla anche di te, anche per te. Allora sì, dopo aver scucito i ricordi d’infanzia, dopo aver attraversato l’adolescenza come una membrana poco docile alla lacerazione, dopo aver attraversato mari di crescita e cambiamenti, potrai vedere la tua casa. Con vista parco.
Manuel Lantignotti è nato a Milano nel 1994 e vive a Bollate, in provincia di Milano. Appassionato di teatro, inizia a recitare all’interno di una compagnia di Garbagnate Milanese con cui lavora tutt’ora. Con una sua poesia, viene segnalato come poeta esordiente sul lit-blog Poeti Oggi, nella rubrica Blocchi di Partenza curata da Fabrizio Bregoli. Sullo stesso blog, nel 2022 vengono segnalati tre suoi inediti. Ha ricevuto una menzione d’onore per un suo componimento nell’8^ edizione del Concorso Internazionale di Poesia Parasio – Città di Imperia (2021). Vista Parco è la sua prima raccolta poetica.
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