«Un codino imprendibile alle giostre»: recensione a "Scherzi della natura" di Matteo Marchesini
«If all time is eternally present / All time is unredeemable». Così scriveva Eliot in Burnt Norton, il primo dei Four Quartets. E non era tanto l’idea di un “eterno presente”, di un tempo per certi versi immisurabile e inavvolgibile, quanto la sua irredimibilità, l’impossibilità di riscattarlo, di liberarlo, di salvarlo in qualsiasi modo e di salvare noi stessi dalle spire stesse di quel tempo. Ecco, credo che non esista citazione migliore, e di un autore certo caro al nostro poeta come dimostra la Madame Sosostris di eliotiana memoria evocata tra le pagine di questo libro, per approcciarsi a questi Scherzi della natura di Matteo Marchesini (Valigie Rosse, 2022). Basterebbe un carotaggio, neppure troppo profondo, dentro questa raccolta per trovare in questo senso un’ammissione tanto lieve quanto densa di significati. «Quando mi ricordo / che non possiedo né il passato / né il presente», scrive en passant, quasi a registrare con dolente consapevolezza, la propria incollocabilità nel “tempo”, che è pure in qualche modo un’incapacità di stare nello spazio, un essere sempre straniero ai luoghi, a dispetto della donna a cui si rivolge, che trova immediatamente la propria dimensione.
Eppure se siamo ben distanti dalla riflessione articolata di un Eliot che a quel tempo, e all’insondabilità del presente e del passato, dedica un capitolo non indifferente della sua opera poetica, in Marchesini la liquidità di quel tempo è una costante che attraversa la scrittura, senza diventare la cifra intera del libro, piuttosto un fondale eternamente terremotato su cui le immagini, e di immagini in senso assoluto questo libro è zeppo, si agganciano, su cui si muove quel fraseggio a tratti quasi narrativo, che mai smarrisce però il sapore un po’ arcaico della parola poetica. Se la struttura di questa raccolta tradisce una certa progressione cronologica, nel passaggio “dai padri ai figli”, nel fiorire delle “relazioni”, fino a quell’ “età di mezzo” che pare quasi la prospettiva da cui si guarda, con commossa nostalgia o con disincanto, alle altre stagioni della vita, in realtà tutto è un’illusione, un gioco di prestigio che la penna di Marchesini tratteggia con vivida grazia. I vecchi, quelli con gli «orecchi tutti cartilagine», i giovani, che non è chiaro se siamo noi che ci guardiamo indietro o altri spiati distrattamente attraverso la lente concava della poesia, le madri, i nipoti, e ancora i miti di un tempo passato o remoto, che ci baluginano davanti agli occhi per un istante, mentre siamo nel traffico, per poi inabissarsi di nuovo, tutto si sovrappone e si mescola affastellando tempi, luoghi e immagini, dal dentro e dal fuori, in un grande caleidoscopio che ci impedisce di afferrare fino in fondo il senso ultimo della sua poesia.
La verità è che, archiviata la possibilità di riavvolgere il nastro del tempo per cancellare o ripulire noi stessi o il mondo in cui siamo stati sbalzati, archiviata l’idea che esista davvero una qualche verità da afferrare dietro il tutto che ci si para davanti agli occhi e a tratti ci anestetizza, Marchesini si concentra, neppure troppo sotterraneamente, sul senso del rapporto tra il nostro io, che non può esimersi dal restare costantemente in dialogo con se stesso, e gli altri, su quelle relazioni che paiono continuamente spezzate o sospese con quelle figure diafane che ci circondano, che sia la fidanzata, il nonno che ci accarezza, la madre persa nello schermo del cellulare, il sangue da cui discendiamo verso cui fatichiamo a risalire.
Certo a Marchesini resta il conforto fragile della letteratura, la sua o quella che ha vissuto e digerito degli altri, restano muri di libri da sollevare che ci proteggano dall’assedio di quel mondo virtuale che ci cresce intorno, resta l’illusione di una qualche sospensione, come la “neve” che può pensarsi pura, fuori dal tempo, redenta come nelle foto dell’infanzia in cui invadeva tutto, come un mare.
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