«Sono solo uno spazio sfinito»: recensione a “Isola aperta” di Francesco Ottonello
Nel 1920 Sigmund Freud, in Al di là del principio del piacere, descrive quello che è poi divenuto celebre come il gioco del rocchetto: lo studioso si era ritrovato a osservare il comportamento del nipote Ernst, di poco meno di due anni, quando la madre si assentava e lo lasciava in casa senza di lei. Aveva rilevato che il bambino passava il tempo a scaraventare lontano da sé un rocchetto di legno, emettendo il suono fort (via) al lancio e da (qui) alla ripresa dell’oggetto e ne aveva così dedotto il raggiungimento dell’accettazione dell’assenza della madre e la rinuncia al soddisfacimento pulsionale personale, entrambi atteggiamenti rivelatori del risultato di civiltà conquistato.
Questo episodio potrebbe sembrare del tutto sconnesso rispetto all’opera prima di Francesco Ottonello Isola aperta (Interno Poesia 2020), eppure è nella duplice dicotomia insita in questo passaggio che risiede, a mio avviso, il cuore della raccolta, il cui verso iniziale, non a caso, è «Sarai sterile tua madre morirà –»; il primo dualismo è, infatti, quello tra radice e foglia e cioè tra origine e destino, sia a livello personale (figlio/madre) sia a livello collettivo (singolo/comunità); il secondo è quello tra attraversamento e raggiungimento: per potere accedere all’adultità, come io e come io-nel-mondo, bisogna essere stati in grado di affrontare sconfitte e delusioni e di avere fatto tesoro degli insegnamenti ricevuti; per accedere cioè come adulti responsabili nella propria società di riferimento ed essere pronti ad accogliere l’altro e costruire invece di distruggere, è necessario aver compiuto un percorso formativo prolifero e capace di generare. Tale percorso è da intendersi come capacità di confronto con il proprio sé reale, normativo e ideale; come confronto con i micro e macro nuclei di appartenenza; come confronto con la memoria, nel paragone tra ciò che si è stati, ciò che si è e ciò che si vorrebbe o potrebbe diventare.
È proprio nella tensione costante verso cosa e chi verrà dopo che la raccolta di Ottonello fissa il suo punto di partenza, definendo, da subito, come chiave di lettura quella della concausa: la responsabilità del domani sta nell’oggi e ogni cosa che accadrà nel futuro non sarà mai creazione dal nulla, ma sempre figlia generata da qualcuno o qualcosa venuto prima di lei. In questo senso, si potrebbe dire che Isola aperta è un’opera etica; e, se questo aggettivo potesse risultare ostico o esagerato, ci dovrebbe essere convergenza almeno sul dire che la raccolta di Ottonello riposiziona la poesia all’interno di una dimensione eminentemente sociale, nella quale la parola potrebbe ancora avere un peso.
Esiste, nell’autore, una chiara percezione di ciò che accade fuori di lui; il taglio critico che Isola aperta assume è evidente già dalla struttura che la caratterizza: due poesie extra sezione, una ad aprire e una a chiudere la raccolta, poi quarantadue testi suddivisi in cinque sezioni (Traversata; Il viaggio di Romeo; Censurato; Fermi nella secca; Una riproduzione acerba) e tre cartoline di intersezione, accompagnate da tre brevi prose. Per questo, cioè per la consapevolezza con la quale Ottonello scrive, i riferimenti biografici di cui la raccolta è ricca non vanno interpretati come un ripiegamento sul sé autoreferenziale ma, al contrario, come la base più autentica e, quindi, solida sulla quale costruire un discorso di apertura verso il mondo. Mostrarsi per mostrare, in un verso pulito e misurato, è la bravura dell’autore, in grado di contestualizzare, tra la Sardegna, l’estero di un percorso Erasmus e Milano, un percorso generazionale comune, nel quale si innesta una riflessione cruda sul valore della poesia e sul senso della memoria, privata e collettiva.
Come sottolinea Tommaso Di Dio nella prefazione «la poesia di Francesco Ottonello sta tutta qui: un tentativo di raggiungere il punto in cui la propria singolarità si faccia altro, possa essere materia di vita altrui»; del resto, già il titolo dell’opera indirizza il lettore in questa direzione, poiché un’isola, già di per sé sgombra da confini, vuole essere aperta, in una sorta di efficace ridondanza che bene indica la strada intrapresa dall’autore. Seguendo le poesie che costituiscono la raccolta, nell’ordine e nelle suddivisioni con le quali ci vengono presentate, compiamo un viaggio nello spazio e nel tempo: il cronotopo, infatti, è un altro degli strumenti interpretativi tramite cui accostarsi a Isola aperta: mentre ci si sposta nei luoghi, fortemente connotati da Ottonello (la Sardegna radice e madre; l’estero fuga e tentativi di esperienza; Milano emblema della velocità, della poca cura per le cose importanti), si attraversano anche le ere. Pochi anni, in realtà, tra una fase e l’altra, ma resi come se la loro durata e, poi, la loro interruzione fosse qualcosa di assai lungo e irrecuperabile, come se il senso fosse esperibile solo nell’attimo e poi, il nulla. La visione crono-spaziale proposta da Ottonello, del tutto in linea con il sentimento dello spazio-tempo contemporaneo su cui grande influenza ha avuto la rivoluzione digitale, sembra sfociare, nonostante il desiderio dell’isola-arcipelago di farsi mondo, in un nichilismo sterile, nel quale nemmeno la parola-poesia può essere più che un gesto. Eppure, la rievocazione delle origini e la volontà di non farle diventare un passato da commemorare (si veda, ad esempio, la poesia Boliadu, in sardo, collocata non a caso nella sezione conclusiva), la forza dei modelli (tra gli altri, la ripresa di Anedda, soprattutto di Notti di pace occidentale), l’uso ricorrente dei trattini (per separare, ma anche per continuare a tenere insieme, a creare unione) insieme alla domanda/non domanda finale (che resta una richiesta di vita, di continuazione «Dimmi adesso perché scegli di vivere») rallentano la discesa verso il niente. Perché forse quello che conta è che con noi o senza di noi, con noi o dopo di noi, grazie a ciò che abbiamo fatto e scritto, grazie a ciò che noi siamo stati, l’isola resti e perduri nel suo essere bella. E aperta.
Un po’ come scrisse De Angelis: «l’isola sarà guardata nella sua bellezza / non importa se da noi o da altri»
Sarai sterile tua madre morirà –
il mio grido assorbito dalla terra
dentro qualcuno, e niente, eppure, sai
essere di parola è scrivere
solo per un gesto
*
Dalla sezione Traversata
Dopo i venti
Il giardino della nostra casa
ha alberi morti accasciati al suolo.
Residui di indolenza, così mia madre
pensa e io – io che faccio le radici
per essere staccato, per portarmi via.
Arriveranno domani ripuliranno il giardino.
Dalla sezione Il viaggio di Romeo
Per fermare il deragliare dei treni
Saremo per sempre, senza ritorno
–
tu assente assorbito in steppe lontane
per scolpirci l’immensità del mondo, e io
rivedo da casa una luce sognata
da fuori inondava la finestra
asserragliava la stanza
–
siamo la terra devastata dai fiori,
la tua balza è biologia inondata
ragazze liquefatte nell’attesa,
quel ragazzo prende e mi lascia
si sfascia, tutto riduce
–
siamo lande di lucide frane
siamo la paura di un abbaglio,
potere trattenere troppo a lungo
una felicità che so, sapevi, che devasta.
Dalla sezione Censurato
Sterilità
Penetro dentro il dipinto di lei, ora
sto al centro nitida io a testa in giù,
le gambe aperte richiamano alberi
a darvi conforto, dirci ancora in vita,
ecco a voi la principessa proibita
–
ragazzi acerbi, prima di sparire
innaffiate il mondo saremo altro.
Dalla sezione Fermi nella secca
Finalmente
Una sola stella oggi è apparsa
a Milano, ecco in cielo, dalla mia
stanza in affitto, la mia terra lontana
–
isola prima di partire
o restare, fuori di qui un grande mare,
il continente che sfuma e ci smarrisce
–
l’isola dice la verità, cioè che torni
e il tuo luogo resta ancorato a nulla.
Dalla sezione Una riproduzione acerba
Alluvione a Capoterra
Nonna ancora si aspetta una ragazza
mio padre si è fatto sempre più piccolo,
io verterò a te rappreso nel tuo
acerbo, nel tuo vero, per la vita
–
l’acqua si riprendeva la sua terra
io e mio fratello salivamo sui tetti
di corsa in casa abbracciando la madre,
ancora ferma, nell’isola, terra
–
ma niente rimarrà piantato nei ricordi
quattro generazioni e poi via,
poche parole quelle che straripano
noi che attendiamo dopo un addio.
*
Affrancati Franco affranchiamoci tutti –
resterà un solstizio, un corpo chiuso
nerissimo tra due mani impossibili
confessa che è tutto, tutto finito.
Scrivi per qualcosa che non esiste
se è esistito si perde, hai perduto.
I tuoi occhi non sono veri né reali
un disperato gesto del domani.
Dimmi adesso perché scegli di vivere
Francesco Ottonello (Cagliari, 1993) ha vissuto a Cagliari, Freiburg, Milano.
Attualmente dottorando di ricerca, ha pubblicato la monografia Pasolini traduttore di Eschilo (Grin Verlag, 2018), articoli su riviste cartacee come «l’immaginazione», «Romaneske» (UniLeuven), «ACME» (UniMi) e online quali «Le parole e le cose», «Nazione Indiana». Sue poesie sono uscite su riviste, giornali e siti nazionali e esteri, nella plaquette collettiva Dentro la poesia (Lampioni Aerei, 2018) e nell’antologia Poeti italiani nati negli anni ’80 e ’90. Vol. II (Interno Poesia, 2020).
Ha fondato il sito www.mediumpoesia.com, ideato la rassegna MediumPoesia: Poesia e Contemporaneo a Milano, curato Poesia e Contemporaneo. A dialogo con i poeti contemporanei (Lampioni Aerei, 2019-20). Come attore ricordiamo il film Il Rosa nudo (2013), lo spettacolo La terza onda (2014-15), le performance Niente in tasca e Frammenti di Viaggio (2017-19). Isola aperta è il suo libro di esordio.
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