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Immagine del redattoreEmanuele Andrea Spano

«Si scompare lontani da chi ci ricorda»: recensione a "Corpuscoli di Krause" di F. Alborghetti

Esiste probabilmente una chiave di lettura per quest’ultimo libro di Fabiano Alborghetti, Corpuscoli di Krause, uscito quest’anno per Capelli Editore, che trascenda la stratificazione delle varie sezioni e consenta un carotaggio dentro la struttura granitica di questa raccolta. Esiste, come esistono diverse possibili prospettive attraverso cui guardare i versi di Alborghetti, a patto che si rinunci all’idea confortante, per quanto consolidata, che la complessità sia nemica della poesia e che la scrittura debba in qualche maniera offrirsi al lettore con la sua rete di simboli e significati, con la sua tela di rimandi e allusioni. Chi dovesse partire da questo preconcetto rimarrebbe senz’altro deluso da questo libro di Alborghetti che rinuncia a priori a qualsiasi forma di semplificazione, che non ammicca al lettore con la sua armonia suadente, che non offre consolazioni o salvezze. Un libro, insomma, che è disarmonico fin da principio e che trova proprio nella frizione tra elementi opposti, tra materiali diversi, tra cantieri linguistici, stilistici e letterari differenti la sua cifra più autentica.

Tuttavia, guardando in trasparenza il libro, pare che tutto possa essere ricondotto a un’antinomia, per certi versi fondante: quella tra umano e inumano, o disumano, che si spinge fino al sovrumano, inteso come una qualche forma di ordine che ci determina e ci governa, o come ciò che ci preesiste e ci sopravvive; un’antinomia che si estende fino ad includere altre antinomie e altri contrasti e che si allarga fino ad accogliere la radice stessa della scrittura, intesa come strumento per affacciarci fuori di noi, come alfabeto per decifrare il senso delle cose.

Ecco che il titolo, preso a prestito da quel lessico medico-scientifico, con cui in qualche modo abbiamo familiarizzato negli ultimi mesi, assume allora un suo significato: quei corpuscoli appartengono alla nostra pelle, sono lo strumento primo attraverso cui percepiamo la fisicità delle cose, la loro temperatura, sono il mezzo attraverso cui, senza saperlo, ogni giorno ci rapportiamo a ciò che sta fuori di noi. L’umano, appunto, che è umano solo nel momento in cui trova una collocazione tra le cose, un equilibrio nel mondo, quell’umano che si svela in tutta la sua nudità, in tutta la sua solitudine dentro la deflagrazione lenta della pandemia ed è costretto a decidere se affogare o sopravvivere – come lascia intendere il titolo della sezione, L’occhio di Plimsoll – quell’umano, in fondo, che ha ragione d’essere, solo se trova il suo posto, il suo ruolo, la sua “vocazione” dentro lo schema della realtà.

In questo senso paiono muoversi anche i testi della Sezione del lavoro, che da un lato raccontano l’alienazione dentro quel lavoro che non ci riscatta, dall’altro la necessità di avere una funzione, un’utilità, come accade all’ex perito che continua a dirigere una squadra di persone inconsapevoli per la strada, come stesse portando avanti un qualche lavoro, e non accetta di essere in pensione. Allo stesso modo la sezione dedicata al Landestreik del 1918 esplora il confine sottile tra umano e umanità, portando alla luce dentro la Storia la microstoria degli ultimi, dei «piegati», che comprendono cosa voglia dire condividere un destino, essere comunità, che sono capaci di muoversi all’unisono, seguendo un braccio alzato, un segno.

Dall’umanità alle emanazioni più aberranti dell’umano, a quel mondo fatto di slogan pubblicitari, di messaggi vuoti, di reclame televisive in cui l’individuo non si riconosce e verso cui esercita il proprio rifiuto, la propria rinuncia (Poemetto della vergogna), giù fino alle origini di tutto, ai legami semplici, alla fisica che regola ogni cosa e ci riporta a un mondo prima dell’uomo, giù fino agli «amanti di Valdaro», al loro abbraccio che ha resistito nei millenni e che si trova infine trasformato in un triste carrozzone mediatico, in una “love story” da usare a San Valentino

Alborghetti ci parla dell’uomo con uno sguardo lucido, con una scrittura limpida e netta anche quando ad essere coinvolti sono i suoi affetti, impedendo che il ricordo del padre si trasformi in retorica facile e patetica, ci parla dell’uomo anche quando ci parla di se stesso in ospedale, sottoposto a indagini ed esami, bucato e invaso, spostato da una barella a un letto a un’ambulanza, andando a chiudere in una circolarità quasi perfetta il libro, riagganciando idealmente quella prima intensa sezione sulla pandemia e muovendosi con la consueta disinvoltura dall’universale al particolare, dalla massa all’individuo.

Si potrà facilmente parlare di poesia civile, a guardare una parte consistente dei testi di questa raccolta, discutere della bravura di Alborghetti, della sua parola duttile, della capacità di inglobare nella sua scrittura registri e lessici tanto distanti, ma la verità in fondo è che questo libro è un libro necessario e che la complessità, quella di cui si diceva in apertura, è la complessità del mondo che racconta, che la poesia ha il dovere di testimoniare.


Fabiano Alborghetti (1970). Ha scritto di critica, fondato riviste, creato programmi radio, progetti in carceri, scuole e ospedali ed è promotore culturale. Attualmente è nella commissione di programmazione di Chiassoletteraria, direttore della collana di poesia per Gabriele Capelli Editore di Mendrisio e co-direttore della collana di poesia di poesia Svizzera per RIL editores (Cile, Spagna). Collabora inoltre con diverse case editrici italiane e svizzere per le quali ha fatto pubblicare esordienti oppure autori d'eccellenza del panorama poetico mondiale quali Jackie Kay, Katheleen Jamie, Janet Frame, Seamus Heaney. Nel 2019 porta in Ticino il Premio Nobel Wole Soyinka per il festival Chiassoletteraria. È il presidente della Casa della Letteratura per la Svizzera italiana con sede a Lugano. Come poeta, ha pubblicato le raccolte Verso Buda (LietoColle, 2004), L’opposta riva (ibid., 2006), Registro dei fragili (Edizioni Casagrande, 2009), L’opposta riva – dieci anni dopo (Edizioni La Vita Felice, 2013) oltre a svariate plaquettes e edizioni d’arte e alle suite Supernova (L’arcolaio, 2011) e Barbarossa (dino&pulcino, 2020). ​Del 2017 è il romanzo in versi Maiser (Milano, Marcos y Marcos, collana Le Ali), prodotto dalla RSI, Radiotelevisione Svizzera italiana per essere un radiodramma e messo in onda a Febbraio/Marzo 2019. Ha rappresentato la lingua italiana e la Svizzera nel mondo su mandati ufficiali. Traduzioni di sue poesie sono apparse in volume, riviste o antologie in più di 10 lingue. Nel 2018 gli viene conferito il Premio Svizzero di Letteratura e nel 2020 la Bourse Littéraire della Fondazione UBS Cultura. Nel 2022 pubblica Corpuscoli di Krause con le edizioni Gabriele Capelli, di Mendrisio (Svizzera). (www.fabianoalborghetti.ch )

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