«Saudade, o dell’inesprimibile splendore»: recensione a "Saudade" di Maria Pia Quintavalla
Saudade, di Maria Pia Quintavalla (Puntoacapo editrice 2024), è un libro popolato da acqua, naufragi e desiderio: tre elementi che chiamano in questione la «saudade» nella sua essenza più profonda. Saudade come ritmo esistenziale, come base del fado – musica popolare portoghese – dal latino fatum, fato, ovvero il timbro della storia che accade irreversibilmente senza dare spazio ad alternative. E proprio dove la necessità degli eventi schianta ogni speranza, il dolore per ciò che non è avvenuto o per ciò che non c’è più assume dimensioni smisurate, lacerazioni profonde, che si ripresentano in forme sempre più intense, senza fine. «Saudade – come suggerisce Giancarlo Sammito nell’introduzione – è combinazione e madre del sentimento del tempo, del desiderio, tesoro compresso tra futuro e passato: del nostos, Sehnsucht protesa al viaggio nel luogo o nel tempo del percorso linfatico, invisibile ma presente, che a maggior ragione esige dunque voce, espressione, storie».
Per Quintavalla, la saudade sembra incarnare una delle migliori forme poetiche, capaci di raccontare le voragini umane. Essa è, infatti, sentimento profondo di nostalgia, malinconia e desiderio per qualcosa o qualcuno che è stato perso o che è lontano. È un sentimento complesso che può essere associato a varie situazioni, come la lontananza da casa, la separazione da una persona cara o la nostalgia per un momento passato. Ma la saudade emerge anche quando ci si strugge per qualcosa che poteva essere e non è stato, e per questo non sarà mai. È un sentimento che strazia e taglia, è la ferita sanguinante da cui veniamo, è lo squarcio generatore di terrore e meraviglia. Terrore e meraviglia insieme: sì, saudade è espressione anche della contraddizione. Può essere un sentimento positivo, in quanto rappresenta un legame emotivo forte con il passato e con le proprie radici; ma allo stesso tempo, può anche essere fonte di sofferenza e tristezza, perché implica il senso di vuoto e di incompiutezza causato dalla perdita o dalla separazione.
L’uomo, sembra sussurrare Quintavalla, è esule e naufrago per eccellenza. Fra le onde di un mare in tempesta, controvento e in mare aperto, ognuno di noi è naufrago e alla deriva. Naufrago senza certezze; esule per costituzione; migrante per mare, per acqua: «amo Parigi / quell’aria di castello blu intessuto, / intorno a nubi nude e mobili, striate / intorno al fiume, / i mille e mille di palazzi – / le mille di francesi etnie viaggianti, / dacché la storia che ci ha generati / segue quel gesto di volontà profonda / di traversare il mio / in infiniti modi avrà ragione – // oggi, i tuoi sospiri / e mani che agivano nella tua / voce di amanti che noi siamo, / separati in chilometri dall’era digitale / per meglio ricongiungere nel fiume / della vita / la razza che noi siamo, meticci armeni / di francesi, o castigliani / il loro volto al nostro che si mescola / africano, avvolto in nubi e / che fluisce piano / dal sorriso di un Quijote solitario, / chiede / non vendetta, solamente amore».
L’acqua è l’elemento caratterizzante di Saudade. Acqua come vita, come spazio di galleggiamento, ma anche come componente che scorre, trascina via, lava e annulla.
Ma Saudade non è solo un testo poetico esistenziale, ha anche una tensione che potremmo definire politica.
Fra i segreti dei versi, infatti, possiamo rintracciare una profonda insoddisfazione per il tempo in cui viviamo e per una società che l'autrice percepisce come bisognosa di una rifondazione radicale. Questo sentimento riflette non solo un desiderio di cambiamento e di novità, ma anche un forte anelito a riportare la poesia fuori dalla ristretta cerchia dello specialismo accademico.
La poesia, sembra suggerire Quintavalla, torni a svolgere il suo ruolo comunitario e politico che aveva prima della separazione dal mondo; torni a essere capace di incidere sul tessuto sociale e civile, sì da fungere quale rinnovato strumento di riflessione e trasformazione collettiva.
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