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Immagine del redattoreAlessandra Corbetta

Nota di lettura "Tutte le cose che chiudono gli occhi" di Annalisa Ciampalini

Sono pagine di attese, passaggi effimeri, silenzi pregni di significato quelle della silloge di Annalisa Ciampalini, Tutte le cose che chiudono gli occhi (edizioni peQuod, 2021). Titolo di grande potenza evocativa, viene da una delle liriche di un libro in cui la luce è fra le principali protagoniste, con le sue varie intensità. «Nasce dall’erba», illumina tutto, anche i ricorrenti spazi abitati da un’assenza - «nessuno guarda la sedia vuota al suo fianco» - che chiede considerazione e quindi si fa sentire più della presenza. Ci pensa proprio la sapienza della luce a riempirli, quegli spazi vuoti. La parola poetica arriva per un istante a tradurre, a decifrare, per poi farsi da parte, perché non serve commentare: occorre soltanto contemplare l’attimo che, accadendo, fa le cose. E le fa meglio di noi: «Lì c’è un luogo in cui la luce arriva piano / il punto che ci guarda / e va taciuto». O ancora: «La luce sulla soglia / è promessa di futuro / (…) Un’alba che vince la sua stessa agonia».

Per altro, leggiamo compiendo un viaggio immerso nelle atmosfere tipiche del sogno, «non va bene stare appresso alle cose mentre si stanno trasformando». Bisogna lasciarle stare. Chiudere gli occhi, appunto. Arrendersi alla corrente del fiume, giacché «tutto accade appena fuori di noi». Come l’estate, il cui «corpo cresce», mentre «la vita le brucia dentro» con «l’alto richiamo del sole».

La poetessa, pur seminando qua e là qualche indizio che rimanda alla sua formazione – ha una laurea in matematica – costruisce una geometria nuova. Dove lo spazio e il tempo sono ricreati dai gesti, dai pensieri, dal desiderio di non cedere all’umana finitezza: «I più anziani si spostano nel retro della casa / voltano le spalle al mare / creano un tempo sottile in cui splendere ancora». Allora le dimensioni spazio-temporali prendono l’una il posto dell’altra, si scambiano.

Le cose che chiudono gli occhi «dormono nel profondo / sotto le loro radici», «confondono l’inizio con la fine». Sono cose inafferrabili, che stravolgono la nostra prospettiva. Lasciando scivolare il divino nel mondo e fra i versi. Tanto che se non fosse per quei momenti che «si flettono», temiamo che «ogni notte scomparirà per sempre».

La poesia di Annalisa Ciampalini culmina in una misteriosa e intima «stanza condivisa», dove si alternano scene da prestare al teatro, fra «tocchi sulla fronte», «insonnie», «riflessi che svettano». È tutta pervasa «dall’idea breve di un’altra dimensione», che si scorge in certi interstizi, nei quali l’autrice ha il dono di spingersi. Lanciando un appello che assegna a ciascuno un compito rincuorante: «Noi dobbiamo solo restare vivi/immaginare un luogo che ci aspetta / e una luce prematura. / Inventare questa gioia».



Quando lascio il fiume alle spalle

l’aria è limpida e luminosa. Un’aquila

potrebbe raggiungere il sole

se solo restasse non vista.

Alberi chiarissimi si dispongono in filari

fanno archi di luce sopra il fiume.

Cresce il corpo dell’estate

l’alto richiamo del sole

la vita brucia al centro di questa stagione

e tutto accade appena fuori di noi.


*


Tutte le cose che chiudono gli occhi.

Tutte le cose che chiudono gli occhi

un attimo prima

e crescono un avanzo di tempo

dove si flettono dimenticano

confondono l’inizio con la fine.

Dove dormono nel profondo

sotto le loro stesse radici.

Dove l’occhio del ventre si chiude.

Dentro al ventre e sotto le radici:

un tempo fuori campo

in attesa

un sangue scuro, maggiore

che si oppone alla morte.


*


All’improvviso scende un grande silenzio

e un ordine pallido

si dispone nella casa.

I pasti serali hanno la disciplina delle cose fredde

dei corpi tenuti a distanza. Nessuno

guarda la sedia vuota al suo fianco.

Lì c’è un luogo in cui la luce arriva piano

il punto che ci guarda

e va taciuto.


*


I nostri corpi complementari

il tuo chiarore

la mia esile oscurità.

Tua è la pietra dell’inverno

il seme dormiente nel giaciglio scuro

le mani che sanno dove premere:

A me resta l’albero lontano

il bianco che si accumula piano

il fiore pallido

esitante tra le dita.


Annalisa Ciampalini è nata a Firenze nel 1968 e lavora a Empoli, dove risiede. Ama da sempre la poesia e la matematica, la musica e la natura. Nel 2008 ha pubblicato la raccolta L’istante si dilata con Ibiskos Editrice, nel 2014 la raccolta L’assenza edita da Ladolfi Editore. Nel 2018 pubblica Le distrazioni del viaggio con Samuele editore, libro tradotto in spagnolo da Antonio Nazzaro. Suoi contributi appaiono su diverse antologie edite da Fara editore. Insieme a Giancarlo Stoccoro ha contribuito al libro Pierino Porcospino e l’analista selvaggio (ADV Publishing House 2016) volume che raccoglie testi di diversi autori. Nell’aprile 2022 pubblica Tutte le cose che chiudono gli occhi (peQuod, collana portosepolto diretta da Luca Pizzolitto). Dal 2017 frequenta la scuola La poesia è di tutti diretta da Massimilano Bardotti.

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