Nota di lettura a "To touch or not to touch?" di Enzo Campi
To touch or not to touch? di Enzo Campi, pubblicato da Puntoacapo Editrice, si inscrive nel brulicante divenire zoomimetico, peristaltico ed eiettivo che è il linguaggio contemporaneo. Come scrive nella prefazione Vincenzo Bagnoli: «Dalla lingua non si esce […]. E dalla lingua To touch or not to touch? non esce: si abbandona al suo fluire, al suo autogenerarsi per echi metonimici, richiami e slittamenti nelle zone di ridondanza del pensiero, quella parte limbica del cervello postadamitico che produce significanti inesauribilmente, come in uno stato di semicoscienza, come un’attività basale dell’essere umano.».
La questione dell’individuo derridiano è centrale: in ritardo sul mondo e su se stesso, fa esperienza di qualcosa che è avvenuto prima di sé: «catapultato in questa risibile saga / a delinquere / o a delinquere”, “anche se non c’ / è nulla da / salvaguardare / o salvaguardare.».
Il divenire animale diventa elemento principale. Formulato da Deleuze e Guattari verso la metà degli anni Settanta, attraverso il recupero della teoria spinoziana dei corpi e degli affetti, la via tracciata è anche ispiratrice della più recente prospettiva post-human, a cui il poema di Enzo campi è orientato, dal momento che il divenire-animale può corrispondere, in linea di massima, a ciò che Roberto Marchesini definisce zoomimesi, ossia un atto di ibridazione tale da condurre a una modificazione identitaria e a una decostruzione permanente
Nel poema, composto di centoventi pagine, senza interruzioni marcate da titoli o sezioni, scandito in ventitré lasse che cominciano tutte, tranne la prima, con una negazione, c’è una costante ricerca dell’Altro nell’inevitabile intreccio con la ricerca e il desiderio di Sé. «[…] che cos’/è la foglia se non una figura che/rappresenta la caduta? la sua stessa/caduta, il suo continuo precipitare in/quel fragile sistema che egli stesso ha/contribuito a creare, e poi perché finge di/non cadere? bisognerebbe moltiplicare le/entrate e le uscite, […]».
Il “divenire-animale” è infatti un movimento di scambio e ibridazione continuo tra l’uomo e l’animale, di alleanze temporali che da intendere come processi di mutazione; esso è concepibile come la costruzione di un ponte tra etica ed etologia, in grado di supportare un dialogo orizzontale[1]. Campi riesce a dominare il linguaggio, i riferimenti, la drammaturgia appassionata di un discorso che serve a sfondare le pareti.
L’Altro è una categoria scivolosa, il rischio complicherebbe necessariamente la sua possibile essenzializzazione, e logicamente finirebbe per rafforzare la sua controparte, il medesimo.
Enzo Campi lancia una sfida a perdersi, arrivando però al limite più alto della letteratura, consapevole di essere «sciamano di una parola che non può / costituire nient’ / altro che vacue sequenze di finti / cunei e risibili cilindri», «il poema non / può che dichiararsi ininterrotto».
Ciò che conta, alla fine, è l’
indizio non recepito all’
inizio della saga, ciò che
conta, alla fine, è continuare a
essere in ritardo con tutto ciò che
ci definisce e sfinisce, per questo non
sarà certo una sorpresa se la
figura-ultima, ammesso e non
concesso che si possa identificare con
chiarezza una figura definitiva,
risulterà uguale
a quella figura che ci ha
catapultato in questa risibile saga
a delinquere
o a delinquere,
e che insiste
nella ricerca del punto più
consono da cui cominciare a
dipanare il filo, e dunque:
si estranea dal
sorgivo, perde il contatto con l’
ultimità, sì, è distratto dallo
schermo, dalla
schermata che riproduce
impietosamente il suo
fallimento to touch or
not to touch, disse, ma
non è questo il problema, no,
semmai si tonifica se
viene sfiorato col guanto
che ripara
la rottura
o la rottura,
ma, così come è giusto che sia,
schiva il contatto come
per cercare un prodigio
a rinsaldare
o a rinsaldare,
perché evitando il
contatto ci si libera dall’
impulso di creare un precedente, è
una questione di indizi, ribadì
perentoriamente, ma non una
pura disseminazione quanto il
dispiegamento degli indizi senza l’
avvento di palinsesti che
possano fuorviare l’
incedere
del flusso
o del flusso,
e si spiegò meglio:
[1] G. Deleuze, F. Guattari, Mille piani: capitalismo e schizofrenia (1980), trad.it di A. Pardi, Ombre Corte, Verona 2007. P. 364. L’interrogarsi sulle potenzialità del corpo, partendo dalle considerazioni spinoziane, sembra una costante nel pensiero di Deleuze. Cfr. inoltre G. Deleuze, Cosa può un corpo? (1980), trad.it di A. Pardi, Ombre Corte, Verona 2007.
Enzo Campi (1961). Autore e regista teatrale, videomaker, poeta, critico, saggista, filosofo. Ha curato volumi monografici su Emilio Villa, Pier Paolo Pasolini, Amelia Rosselli. Suoi scritti letterari e critici sono stati pubblicati in forma cartacea su riviste, antologie, volumi monografici, cataloghi di mostre e in rete su svariati siti e blog di scrittura. Tra le sue ultime pubblicazioni ricordiamo: ex tra sistole (Marco Saya Edizioni, Milano 2017), L’inarrivabile mosaico (Anterem, Verona 2017, XXXI Premio Lorenzo Montano), Artaud. Il supplizio della lingua (Marco Saya Edizioni, Milano 2018), Le nostre (de)posizioni, scritto con Sonia Caporossi (Bonanno, Acireale-Roma 2020), Fuochi Fatui (Oèdipus, Salerno 2021), To touch or not to touch (puntoacapo editrice 2022) e la curatela plurilingue BABEL stati di alterazione (Bertoni Editore 2022). È stato tradotto in inglese, francese, spagnolo, russo, polacco. È direttore artistico del Festival Multidisciplinare Internazionale “Bologna in Lettere”, giunto alla XI edizione.
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