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Immagine del redattoreMario Saccomanno

Nota di lettura a "Sotto l'ala del leone" di Antonio Nepita

Nel leggere le varie composizioni che conformano la raccolta Sotto l’ala del leone (Puntoacapo Editrice, 2021) di Antonio Nepita ci si trova dinanzi a un percorso poetico il cui obiettivo principale è la creazione di un paesaggio rasato, epurato da ogni ambiguità. INota di lettura a "Sotto l'ala del leone" di Antonio Nepita Si tratta di un modo d’agire che porta a circoscrivere in maniera sempre più accurata gli innumerevoli particolari. Non solo: il ruolo da vedutista, che acquisisce dal vero un paesaggio, si trova intimamente connesso al brulicare di umori che segnano in modo irrimediabile quel determinato scorcio del presente. Così, lo sguardo tende sempre verso un’«infinita precisione» capace di accogliere e avvalorare qualsiasi differenza.

Nel particolarizzare quanto appena affermato è rilevante far notare come in Sotto l’ala del leone non ci siano vincoli che conducono a omogeneizzare ogni nuovo resoconto, di volta in volta, offerto. Infatti, come chiarisce sapientemente Emanuele Andrea Spano nella Prefazione al testo: «Nepita muove per scavare e sondare oltre l’immagine, per affondare in quei particolari minuscoli che stanno lì tra maestosità e palazzi, oltre i tratteggi e gli arabeschi della luce, e che sono parte integrante e viva di quella realtà intatta e immutabile che l’occhio pare consegnarci».

L’osservazione, per quanto accurata debba essere, è un punto di partenza, uno «scrigno di minuterie» da aprire, in cui figura non solo la luce, ma, va da sé, anche una quantità considerevole di ombre che occorre necessariamente indagare. È un aspetto decisivo, che ritorna più volte nelle varie sezioni in cui è diviso il testo. Infatti, qualsiasi rappresentazione che voglia essere fedele al connaturarsi del presente deve tener conto non solo dell’aspetto razionale e puramente visivo che immobilizza una qualunque riproduzione. Da qui, il tentativo di definire artisticamente una veduta si nutre pure (e, forse, soprattutto) della decifrazione di una serie di elementi che soltanto l’alfabeto poetico sembra possa definire. È così che, per esempio, si inserisce compiutamente il ruolo nevralgico della memoria, che, chiarisce Nepita, dà significato vitale e consente di «sbeffeggiare la noia».

Per specchiarsi nelle miniature, lo sguardo dell’autore è diretto dal bisogno di consumarsi su tutta quella serie di energie fisiche e mentali che gli uomini compiono affinché le necessità dell’esistenza possano dirsi in qualche senso soddisfatte. Sia chiaro: l’osservazione deve essere sempre un punto di partenza e, nel prosieguo del percorso tracciato, un solido appiglio capace di evitare dannose astrazioni. In merito, basta riportare alcuni versi emblematici: «Solo i perversi / non vedono il presente, / l’orgasmo per il celato / è miseria del pensiero».

Affinché nell’universo si possa garantire il bello – con tutto il carico di rimandi e significati che un termine siffatto trascina con sé – Nepita esprime il bisogno di salvaguardare quel costante atteggiamento che mira a riportare le varie conoscenze alle loro origini, in maniera tale da indagarle in modo più compiuto. Questa sorta di azione dialettica inesauribile, che fa leva sempre sul prezioso negativo, conduce ad avvalorare una posizione, a renderla vivibile. Così facendo, il rapporto tra il soggetto e l’oggetto reale ramifica a partire dalla consapevolezza e dall’unificazione. Del resto, proprio questi ultimi due termini si possono indubbiamente accludere in quel vocabolario di parole principali che definiscono l’agire poetico che scandisce i versi della raccolta.

Nell’operazione compiuta dall’autore le cose sensibili, riproposte tramite la poesia e il rimando costante alla pittura – in particolare, come si nota facilmente, a Giovanni Antonio Canal, meglio noto come Canaletto – fanno sì che ogni elemento materiale, più che rimandare a un modello ineguagliabile (mimesi), risulti essere un tassello imprescindibile, già partecipe dell’essenza (metessi). Ecco perché l’uomo (poeta-pittore-vedutista) deve svestirsi dinanzi al mondo, come «un San Francesco dell’arte / che lascia i suoi averi / per un credo più alto». Solo in questo modo risulta possibile comprenderne le peculiarità.

Le difficoltà di un agire siffatto sono evidenti. Si tratta di superare molteplici ostacoli. Intanto, occorre opporsi al «cancro del ripensamento» proprio attraverso la costruzione di «nuove visuali». Ancora, è necessario basarsi su quelle ombre, di cui già si è accennato in precedenza, che mostrano come un’inquadratura semplice non possa mai darsi. Su questo aspetto specifico risulta proficuo riportare altri versi presenti in Sotto l’ala del leone: «La poesia candida / non esiste, / anche l’inquadratura / banale cela / una sofferenza di colore / o disfatta dello spirito, / si trasforma / agli occhi ingenui / solo per vera bellezza».

Così, Nepita mostra in versi come ci sia la necessità di intraprendere un percorso, ben consci delle numerose difficoltà che può presentare. Del resto: «Le grandi querce / non si abbracciano e / lasciano frutti lontani, / così è questo viaggio».



Siamo falsari del ticchettio,

usiamo pennelli

come lancette d’orologio

per ingannare il sole

e l’anima di sprovveduti.


Cerchiamo la penna

della beccaccia

per firmare la sorte,

la riga fine per l’avvenire,

evitiamo l’ombra vera

dei ponti senza riva.


Ammaestro le tavole

con spesse biacche,

fondi opachi

di rosa cadente


E una cipria da quadro

priva di volgarità,

con uccelli di nuvole

che formano il pianto.


*


Mi consumo sovente

per entrare

come una linfa,

che dà merito

a queste meraviglie

di rugiade bianche,

gratuitamente rilasciate

per specchiarmi

nelle sue miniature.


Riformo la creta

con uno stecco di gelso.

Il volto di ragnatela

dimentica la bella stagione,

l’isola di pietra

brontola

la futura cottura,

e gli occhi forati

bruciano

in una mattina.


*


Tinteggia la povertà

lo schiavo moro,

sopra ai cuscini

di gusci,

per arrivare alle volte.


La pelle infeltrita

dagli acidi della prigione,

con le ginocchia corte

prima della morte.


L’urlo del mendicante

della vita,

tra le grate corrose,

guarda a quadri

la nebbia che non si disfa.


Antonio Nepita è nato ad Orsomarso (CS) nel 1960 e vive a Taggia (IM). Dal 1980 l'arte diventa parte integrante della sua vita. In qualità di artista poliedrico, nel corso degli anni ha esposto in Gallerie pubbliche e private sia in Italia che all'estero; è stato curatore di spazi espositivi, fra cui Villa Boselli. Da sempre la poesia è complementare al suo percorso pittorico. I suoi versi hanno ricevuto riconoscimenti in diversi concorsi poetici e compaiono nelle antologie di: Ossi di Seppia 2000 "Per le Isole del vento", Le Occasioni 2018 con la silloge "Il mare all'angolo", I colori dell'anima 2018 "Giovane primavera", Il Sublime Lerici 2018 insieme di poesie, I Colori dell'anima 2019 "Il cerchio", Il Sublime 2020 "Evaporazioni del nero", Premio Besio 2020 "Io e i colombi". Ha ricevuto il Premio Speciale della Giuria al Premio Ossi di Seppia 2020. Nel 2021 pubblica il suo libro di esordio "Sotto l'Ala del Leone" Puntoacapo Editrice che è stato premiato nell'ambito del Concorso Letterario Caravaggio-Argentario nel 2022.


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