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Immagine del redattoreAlessandra Corbetta

Nota di lettura a "Soglie vietate" di Massimo Parolini

La poesia di Soglie vietate, raccolta di Massimo Parolini edito da Arcipelago Itaca, è, come la definisce Umberto Piersanti ’«convinta della “verità” che narra, verità di sentimenti e situazioni. Una riflessione continua l’accompagna, senza però intaccare il racconto».

Ma che cos’è una soglia vietata? Il limite davanti al quale ci fermiamo, verrebbe da dire, o quella che, nonostante il divieto, sorpassiamo. Bisogna, sembra dirci Parolini, andare oltre il divieto prodotto, attraverso l’uso della parola poetica.

Ma quanto è difficile varcare una soglia? Flaiano, scriveva che l’intera distanza che percorriamo nella vita non è che uno spazio ornamentale rispetto a quelle sei o sette soglie fondamentali che ognuno oltrepassa. Le soglie di Massimo Parolini ci riportano all’idea di casa, di un sostare sull’uscio in attesa, ma richiamano anche un pensiero di superamento del limite.

Esistono delle soglie personali all’interno delle sue poesie, ma anche poetiche. Si contrappongono, spesso, nei testi, figure umane e familiari, visi noti o solo marginali della quotidianità, di contro alla dimensione più eterea della stessa poesia. Questo dice tanto della dimensione di concretezza che Parolini inserisce nelle proprie liriche, come, ad esempio, l’uso dei tessuti del materiale poetico di Montale o Sbarbaro. Un poeta civile, familiare, che riesce a sacralizzare il proprio vissuto passando attraverso la cruna del lirismo novecentesco. Preferisco mia figlia a te/Eugenio Montale, che ti volti andando/in un’aria di vetro/per vedere accamparsi/il nulla alle tue spalle/o la tua ombra stamparsi/su uno scalcinato muro…/la preferisco anche/al tuo amico Camillo/e alle sue stime sbarbare/che vedono solo /facce volpine stupide o beate /ambigue e pitturate. (p.18)

Ma ci sono anche le soglie storiche, affrontate, anche queste, con il linguaggio più adeguato. Secondo quella che è la dimensione lirica tradizione del’'io poetico, la quale non disdegna un uso più basso e dimesso del linguaggio e mantiene una postura ‘a metà’; riconoscibile ma disposta a scendere a compromessi.

È un linguaggio, quello di Parolini, che riutilizzata e rimodula dei passaggi poetici e storici fondamentali del nostro Novecento, ma non in direzione intellettualistica o dotta: vengono assimilitati nel proprio vissuto. Sono strumento attraverso cui riproporre un concetto di concordia; di bene fra gli uomini, in una trama resa così fitta da far disperdere il citazionismo. Si chiamava… non ha più nome, è basso sulle ali/l’ennesimo caduto bocconi su una spiaggia qualunque4…/cancella anche quello nel vomito del mare/l’occidente baumaniano nelle sue liquidità…/rimane, ma per poco, una nuova icona pop, /virale in poche ore, sui social coi “mi piace…”/ei fu5… siccome immobile la spoglia immemore/la terra attonita al video sta…/here lies one whose name was writ in water6. (p.44)

Esiste, in definitiva, nella poesia di Parolini uno sguardo che disseziona, indaga il concetto di relazione, o meglio di collegamento. Un rinvio a una visione dove domina la consapevolezza dell’iperconessione tra fatti, cose e persone; e che innestano le loro storie su una maglia comune.



Il padre prodigo


Forse perché della fatal pace tu sei la forma

che improvvisa mi investe in questa sera di dicembre

a me si caro vieni o padre

su questo marciapiede di confine

fra i resti di negozi pakistani

da riaffittare, compraoro spenti

e luminarie che invitano a un Natale

di pace, mercatini e viaggi organizzati…

forse sei qui così

vivo e totalmente animato

come un cane sulla soglia di un pasto

morso dalla fame, a riscaldarti…

conservo la tua giacca di pelo d’acrilico e

finta pelle: indossala mentre accendo la fiamma

della corona dell’avvento…

lo so: un purgatorio in transito

o un paradiso estatico

cedi per un po’ di brodo tiepido,

un pane che si sbriccia, un bicchiere di buon rosso…

attaccato a un tubo clinico

ti sei spento in un rantolo muto…

adesso maceri gli acini

nel torchio del mio affetto

da un bordo bianco in cui cola il tuo vissuto


Aylan


Si chiamava… non ha più nome, è basso sulle ali

l’ennesimo caduto bocconi su una spiaggia qualunque4…

cancella anche quello nel vomito del mare

l’occidente baumaniano nelle sue liquidità…

rimane, ma per poco, una nuova icona pop,

virale in poche ore, sui social coi “mi piace…”

ei fu5… siccome immobile la spoglia immemore

la terra attonita al video sta…

here lies one whose name was writ in water6

Dormi, Aylan con tuo fratello Galip, con tua madre Rihan…

non dare ascolto, allegro bimbo curdo

di Kobane, su quella spiaggia

a tutti i senza terra che neanche il mare sa accettare…

un dio, impietosito, ti avrebbe mutato in corpo astrale:

oggi, invece, ti rendiamo – virtualmente – speciale…

all’ombra del verde melograno7

fra un pianto antico ed un “i like” nuovo

rispuntano i fiori del dolore, corolle oscure

di un atro fondo che nessun dio vuol più spiegare,

che nessun mondo – dietro al mondo –

potrà con un guizzo giallo illuminare…

4 Ripresa con variazione di “Non sa più nulla, è alto sulle ali / il primo caduto bocconi sulla spiaggia normanna” (Vittorio Sereni, Diario d’Algeria).

5 Ripresa con variazione dell’ode manzoniana Cinquemaggio.

6 Iscrizione funebre del poeta inglese John Keats.

7 Ripresa con variazione della poesia Pianto antico di Giosuè Carducci



Spine cadute

a Maria, dal papi

Eugenio Montale, che ti volti andando

in un’aria di vetro

per vedere accamparsi

il nulla alle tue spalle

o la tua ombra stamparsi

su uno scalcinato muro…

la preferisco anche

al tuo amico Camillo

e alle sue stime sbarbare

che vedono solo

facce volpine stupide o beate

ambigue e pitturate

rincorrere farfalle lungo l’orlo di un abisso…

mia figlia è tra coloro

che si fermano

sulle ferite di chi sanguina

fra coloro che in ogni vita

vedono una stessa meta

– non nel buio – anche se ignota.

La vicenda di gioia e di dolore

la tocca, non si muove fra la gente

con gli aperti estranei occhi,

ha due mani che raccolgono

spine ai bordi dell’umano.

Non accetta che si dica

“non si può più fare niente…”

“sono lì per loro scelta…”



Nato a Castelfranco Veneto (TV) nel 1967, laureato in Antropologia filosofica presso l'Università Ca' Foscari di Venezia. Insegnante di materie letterarie a Trento dal 1995. Pubblicazioni: Non più martire in assenza d'ali (Editoria Universitaria-Venezia, 1994), poesie sulla guerra nella ex-Jugoslavia; La via cava (LietoColle, 2015), #(non)piove (LietoColle, 2018), poemetto dedicato ad una giornata di rinascita di d’Annunzio e Duse ai giorni nostri; L’ora di Pascoli (Fara Editore, 2020), poemetto dedicato alla riunione del nido della famiglia Pascoli a Barga; Cerette (Fara Editore, 2020), raccolta di racconti; Soglie vietate (Arcipelago itaca, 2022). Ha collaborato con l''artista Giuliano Orsingher nella mostra di arte ambientale “E-VENTO” (sull'uragano Vaia) con il poemetto Lamento per lo schianto (Publistampa) e nella mostra “DEL TEMPO” (con versi sul tempo incisi con caratteri a fuoco). Collabora con alcuni blog letterari e col quotidiano “L’Adige”.

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