Nota di lettura a "Sibilla" di Zahira Ziello
- Alessandra Corbetta
- 14 mar 2022
- Tempo di lettura: 2 min
La figura della sibilla, codificata sia storicamente che mitologicamente, rimanda a quella di una vergine che, ispirata da un dio, era in grado di vaticinare su cose e persone, sebbene in una forma oscura e non comprensibile in maniera univoca e, normalmente, durante uno stato di trance.
Scegliere di evocare questo personaggio significa volere creare da subito un legame con ciò che ci trascende e, allo stesso tempo, negare la possibilità di una verità unica e definitiva; anche per questo, Zahira Ziello intitola Sibilla (Terra d’ulivi 2021) la sua raccolta, oltre che per potere avvolgere il focus di osservazione di un’aura prettamente femminile, come già ci suggerisce il testo di apertura dell’opera:
Non so di essere nata
mi hanno fatta nascere
eppure ho il ventre caldo
di chi sta per partorire,
come se dovesse ancora essere.
Eppure, e in questo risiede uno degli aspetti più interessanti dello scrivere di Ziello, i versi procedono allo smantellamento di qualsiasi forma di sacralità e l’atto stesso del generare, spesso menzionato, assume tinte cupe e sacrileghe; non è solo la difficoltà di interpretare ciò che ci viene annunciato a essere oggetto di riflessione ma, soprattutto, la messa in discussione di chi è chiamato a dirci qualcosa, poiché tutto quello che ha in sé il seme della nascita, ventre o parola che sia, contiene simultaneamente il germe dello sfacelo, della distruzione. C’è nero, sangue, umidità; ci sono corpi visti nelle parti che li costituiscono a fare da sfondo alle figura-ombra che si muovono dentro le pagine di questa raccolta, nella quale Ziello tutto scarnifica attraverso un processo antropofagico che, tra gli altri, già Lévi-Strauss aveva individuato come via di conoscenza del sé e dell’Altro. «Ma questa fune punta in basso» perché ogni atto, quanto più intriso di valore culturale o simbolico, è destinato a mostrarsi in tutta la sua inutilità, nella sua incapacità di forgiare davvero il reale del quotidiano. A questo serve l’atmosfera del mito che Sibilla crea e, contestualmente, distrugge, rendendo, anche attraverso le scelte foniche e lessicali opzionate, la morte uno dei più soffocati rantoli a cui siamo destinati, il dondolio inevitabile che tutti ci cullerà.
Ziello non lascia fessure né feritoie e a dominare è il buio: la voce non riesce a cantare, la nascita è dannazione, l’amore non è sufficiente a cambiare il corso delle cose. E la Sibilla fatica a riportare il messaggio divino.

Matrigna
Come posso io
essere nata
da un ventre umidiccio,
io che ho la pelle
che puzza di vino
e le viscere che cantano
guerra.
Sibilla
È sibilla
i satiri che le marciano in testa,
ha la violenza dei padri:
un bastone fra le mani
È blasfema
nonostante faccia l’amore al dio
tutti i giorni
ha l’odore di orchidee morte secoli fa.
Gioventù
Vi auguro di non nascere
Di ignorare viscere e cordoni
Di seppellire i padri
E di rendere serve le madri
Vi auguro di allontanare le inibizioni del sangue
Il bastone degli antenati
Le catene dei morti
E le tombe di chi crede
Slanciatevi giù
Dove le vene scorrono
E le voci cessano.
L.
Grida come se fossi dentro
ascolta quel che
l’umido ti risponde
Se hai male
strappale le costole
dal petto
Leccale via la vita,
non ha altro da offrirti.
Miglioria
Spirare nella loro gola sarebbe apoteosi
ma la morte non è che dei vivi

Zahira Ziello è nata in provincia di Caserta, ha frequentato il liceo classico, studia all’accademia di recitazione, si occupa di teatro e drammaturgia. Questa è la sua prima raccolta di poesie.
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