Nota di lettura a "Sangue corrotto" di Felicia Buonomo
Occorre un grande coraggio per decidere di lasciar andare il proprio vissuto, permettergli sorretto dalla parola, di ascendere fino a tramutarsi in una stella fissa, che tutti possono osservare.
Non è semplice esplicitare il dolore, anche perché spesso non si riesce nemmeno a guardarlo in faccia, tanto è sporco di sangue il suo volto.
Già di sangue, quello che sentiamo scorrere nelle vene oramai insozzato dalle mani ruvide di un passato familiare, che torna e corrompe.
Cosa fare dunque se scappare non si può e tantomeno abbandonarsi alla dimenticanza?
Ecco, si invoca musa poesia e la si riveste del proprio corpo, dei propri lividi e la si fa parlare al posto nostro.
Le parole poetiche di Felicia Buonomo in Sangue corrotto (Interno Libri, 2021) potenti, solenni, spesso lapidarie, emergono e si allargano sopra la pagina come una macchia lenta ma che è destinata a restare indelebile e che il lettore guarda e riconosce come la propria macchia, il proprio sangue versato, la propria ferita mai rimarginata.
Dal primo peccato compiuto da Adamo ed Eva nel giardino originale, è apparsa nel mondo la sofferenza e a partire da quel gesto di rottura con il creato, l'ingiustizia, il lutto, la violenza sono fatalmente mossi a perpetrarsi a precipizio, a ricadere sulla progenie di tutti tempi a venire. E il giardino è oramai quello della disperazione, sfigurato, irriconoscibile: «Ho girato l'angolo del giardino / dove fecondo le rose della mia disperazione // è inadatto il tempo del cammino // è scoperta insufficiente/l'asfalto della liberazione / rispetto alla terra di spine.».
Buonomo sente la divisione, allunga uno sguardo struggente e lucidissimo sui rapporti familiari, sulle relazioni amorose affette dal morbo della dipendenza affettiva e ci sollecita ad adoperare la medesima attenzione, e non lo fa volendolo fare, il suo non è un tentativo conscio ma una disposizione del cuore a indicare all'Altro la strada, quella non battuta, quella della speranza seppure non si rivela mai salvezza.
Ma chi è questo Altro? Per Felicia è quel “Tu” fondamentale, importantissimo, che però troppo spesso non accoglie con lo stesso calore, la medesima partecipazione con cui è accolto: «l'Altro / da sempre amato / incapace di superare la verità nota / si agghinda col giudizio // Io e l'Altro: amore / da sempre / non corrisposto».
La sola possibilità di liberarsi dalla stretta circolare di un passato che torna, il passo da compiere verso una possibile salvezza è abitare un altrove straniante in cui evitare di «tenere la vita tra le braccia.».
Cronologia
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e la tua dipendenza.
Le poche cose certe.
Intonaco
Ho passato l'intonaco
sul muro della mia ostinazione.
Come faceva papà d'estate
quando la casa diventava bianca e velata.
E tu
sembri non farmi più male.
Settanta volte sette
Sono tua da quando i pugni chiusi
da simbolo di nascita
sono diventati sequenza
di silenzi.
Sono tornata a morire.
Ho rinnegato me
e il nome-promessa.
Ti ho già perdonato
fino a settanta volte sette.
Felicia Buonomo è giornalista e autrice. Inizia la carriera giornalistica nel 2007, occupandosi principalmente di diritti umani. È giornalista presso Mediaset e fa parte della redazione di Osservatorio Diritti. Alcune sue poesie sono state pubblicate su riviste e blog letterari in Italia, Stati Uniti e Francia. Pubblica il saggio Pasolini profeta (Mucchi Editore, 2011), il libro-reportage I bambini spaccapietre. L'infanzia negata in Benin (Aut Aut Edizioni, 2020), la raccolta poetica Cara catastrofe (Miraggi Edizioni, 2020) e la raccolta poetica Sangue corrotto (Interno Libri, 2021). Dirige la collana di poesia sociale/civile, “Récit”, per Aut Aut Edizioni.
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