Nota di lettura a "Poesie di ieri" di Stefano Bottero
I tratti distintivi della raccolta d’esordio di Stefano Bottero, Poesie di ieri (Oèdipus Edizioni 2019), li delinea con grande consapevolezza Biancamaria Frabotta nella prefazione all’opera: innanzitutto la possibile origine del titolo, riconducibile al romanzo Tutti i nostri ieri, di Natalia Ginzburg, a sua volta parafrasi dei versi del Macbeth shakespeariano «And all our yesterdays have lighted fools / The way to dusty death»; in secondo luogo i principali riferimenti letterari (tra gli altri, Sbarbaro, Petrarca, Ginsberg, Pasolini, Bellezza, Ashbery, Lowell, Auden), che segnano la formazione di Bottero e che ritornano, in altre vesti, in questi suoi versi; poi, il nichilismo, il linguaggio scheggiato e quel senso di tempo sospeso tra un passato conclusosi in un’epoca o in un’ora che non è più questa e un futuro agognato da lontano, ma difficilissimo da mettere a fuoco e, quindi, incapace di essere progettato.
Il viaggio che Bottero ci conduce a fare con questa sua opera, attraverso le cinque sezioni che la compongono, A ritmo del nulla, Metastasi di un ricordo, Omissioni e farfalle, To John Cheever, Circe (Preludio), si muove sulla linea tracciata dall’incontro di due coordinate ben precise, presenti nel loro intreccio in tutti i testi e responsabili della solida struttura che li caratterizza: ascissa-onestà, ordinata-apertura. Bottero presenta, infatti, direttamente e indirettamente, le influenze extra-letterarie intervenute nella realizzazione della raccolta dimostrando, con coraggio e merito, come la poesia non sia per forza figlia solo della poesia; e non teme nemmeno di dovere schermare con ghirigori linguistici il timore del nulla, la paura di non riuscire a trattenere che un frammento di quello che è stato, chiamando le cose con il loro nome, scavando dentro sé stesso per provare a colmare la falla del mondo in cui si muove la sua e la nostra esistenza.
In effetti, il continuo richiamo dell’assenza, alla quale Bottero si riferisce con ampia gamma terminologica, non è mai statico, ma sempre proposto in un gesto di moto, di slancio; esiste, in Poesie di ieri, un dinamismo perpetuo di tipo spaziale, evocato dalla nominazione di luoghi precisi e dalla definizione di spostamenti, e uno di tipo temporale, dal quale diparte l’interrogativo che penetra tutto il libro: ciò che è stato, è trampolino o zavorra di quello che sarà? Il ricordo di noi ci tiene su lo specchio o lo frantuma davanti ai nostri occhi, togliendoci la possibilità di osservare il nostro divenire? La poesia di Bottero, spezzata e ricca di immagini a contrasto perché autentica, ha inizio nella ricerca e, messa su carta, perdura nell’intento di trovare risposte che, contestualmente, attengono alla sfera letteraria in senso stretto (che ne sarà, sembra chiedersi e chiederci Bottero, della grande poesia del Novecento) e a quella del vivere in senso lato, dove la figura dell’infante, spesse volte rievocata nell’immagine della bambina, si fa ricordo e insieme entità ricercata nel presente. Eppure, gli interrogativi sull’esistenza, le riflessioni su cosa potrà essere poi la memoria se poco è quello che si può trattenere, hanno sempre la concretezza di un biglietto del treno o la forma del corpo, intero o nominato nelle sue parti, principale contrappeso ai vuoti che abitano Poesie di ieri, una raccolta che sulla gondola del presente rinviene nel passato le coordinate esatte per muoversi verso il futuro, non smettendo mai di cercare ovunque la bellezza.
Mi perdo nell’altrove
del nulla di Roma
- contrario del nulla,
familiare.
Scritto sul muro bianco sporco
del corridoio dell’appartamento
tu vuoi l’incondizionato,
ti sia concesso, ma irriconoscibile.
*
Contrappeso della mia solitudine
i miei incubi d‘autostrada.
il desiderio di dimenticarti,
domani
di non dimenticarti.
Sei l’intimità della mia dissociazione,
così scivoli dietro di me come la notte
che mi adagia un nastro sulle palpebre
e lo tira da dietro.
*
Vorrei gridare fino a svuotare i polmoni
per la malinconia.
Forse dormi nel morbido antro
di ognuno dei miei sogni indecenti.
Stanco di rincorrerti sulle strisce bianche degli aerei
- anche se non lo sai
ninfetta conosco a memoria
ogni accadere del profilo di timore
che sei.
Resta
avvolta nella vertigine
nei petali di candore del bicchiere in pezzi
per l‘impreparazione.
*
I minuti dell’unica cosa che manca
alleviano il peso del mai abbastanza
e nella vertigine inespressa, cullato da un errore
l’orco degli incubi instabili
annega la sensazione confusa di dolcezza e assenza,
così simili da non distinguersi.
In enorme misura è colpa mia - Pierpaolo
non aver mai reso amore i miei affetti.
*
Circe
Se avessi il diritto di pensarti nell’erba
in cui mi hai lasciato in fasce,
ti guarderei indifeso con degli occhi non miei.
Ho bisogno che tu sia qualcosa
nei momenti più bui, qualsiasi cosa.
Ho bisogno che mi accarezzi la gola con le dita
dove niente sana il bruciore delle parole
che non sono parole
ma sogni di orgasmi e demoni a sonagli.
Ho bisogno dei tuoi piedi sugli occhi, Circe
non riesco a respirare altrimenti
quando crolla in me ogn’inutile odissea dell’età adulta
e mi tieni al guinzaglio.
Stefano Bottero è un poeta. Nasce a Roma nel 1994. Si laurea con lode in Filologia Moderna nel 2019. Pochi mesi prima, esce per Oèdipus la sua raccolta poetica d'esordio Poesie di ieri. La poetessa femminista Biancamaria Frabotta, di cui Bottero è allievo, ne scrive la prefazione.
È redattore della rivista «Polisemie» della Warwick University Press. Il suo lavoro critico appare su riviste italiane e internazionali come «Nuovi Argomenti» (per la pagina online di Officina poesia), «Poeti e poesia», «Poesia» (Rai News), «Antinomie».
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