Nota di lettura a "La stessa persona" di Antonio Fiori
Con La stessa persona (Pequod, 2024) Antonio Fiori presenta un’opera che affonda le radici nel terreno fertile del ricordo, del rimpianto e della ricerca di senso. Diviso in due sezioni – La stessa persona e Perdonati e salvati – il libro si chiude con un Epitaffio in attesa di lapide, che suggella il percorso del lettore con la meditazione ultima sull’amore e la finitudine.
La prima sezione si snoda come un dialogo intimo con il passato, un viaggio tra i paesaggi interiori di chi ricorda per non perdersi. L’incipit, che dà il titolo alla raccolta, è un potente canto alla fragilità dell’identità e al desiderio di riconciliazione:
Sei la stessa persona
che alla stazione pianse, un giorno...
Questo componimento incarna il rimorso di un amore taciuto, lasciando il lettore sospeso tra il rimpianto e l’urgenza di esprimere ciò che il tempo sottrae. Il linguaggio di Fiori è essenziale, quasi aforistico, eppure ricco di suggestioni: ogni verso apre una ferita che il silenzio – onnipresente come il «bianco del foglio» – non sa guarire. Il bianco, inteso come luogo di potenzialità e negazione, attraversa molte delle poesie, in particolare quella dedicata alla parola non scritta:
Amore è scriverla col bianco
inchiostro che la dice e insieme la cancella.
Fiori celebra e teme il silenzio, rendendo omaggio al non detto, al senso che si nasconde chissà dove.
L’omaggio a Caproni intensifica il senso di un percorso individuale e solitario, mentre il poeta affronta il dilemma esistenziale di essere «finito in una vita» che pare non appartenergli. La riflessione sull’essere e sul limite culmina in immagini potenti, come il «macigno» che chiude il pozzo, metafora della parola inespressa e della verità inaccessibile.
La seconda sezione, «Perdonati e salvati», si apre con una richiesta di ritorno a una spiritualità perduta:
Si ritornasse a discutere degli angeli...
Qui, Fiori propone una meditazione sull’anima collettiva, immaginando un’umanità capace di ritrovare una salvezza nascosta nei gesti semplici, nelle vite brevi e autentiche. Il tema del perdono – verso se stessi e gli altri – attraversa i testi come un filo sottile. La poesia suggerisce che il perdono non sia una concessione al passato, ma una condizione necessaria per continuare a vivere:
Chiediamo perdono senza ragione (...)
Sentiamo una colpa vaga
ma non ricordiamo niente.
Il tono si fa sempre più universale, aprendo uno spazio tra spiritualità e filosofia esistenziale. L’immagine del poeta come navigante solitario, presente nei versi sull’ultimo viaggio con Caronte, richiama il mito ed evoca il confronto con la morte: tema che attraversa l’intera raccolta senza mai volgere alla disperazione. Piuttosto, emerge un’accettazione consapevole, un anelito verso una risposta che resta appena fuori portata:
Sogno sempre l’omelia perfetta(...)
una parola che infine dica
cosa lasciare e cosa prendere.
L’Epitaffio in attesa di lapide è il suggello ideale. Con una semplicità che tradisce una profonda saggezza, Fiori scrive:
Felice riposa infine
perché ha amato tanto
e tanto amato è stato.
Non è un epitaffio di resa, ma di pienezza: celebra la vita vissuta e amata fino in fondo, nonostante le sue mancanze e i suoi silenzi.
Antonio Fiori è nato a Sassari nel 1955. Nel 2004 è tra i sette poeti vincitori per la silloge inedita al Premio Montale Europa e nel 2019 ha ricevuto il riconoscimento 'Per una vita in poesia' al Premio Lorenzo Montano. Ha pubblicato: Sotto mentite spoglie (Manni, 2003), La quotidiana dose (Lietocolle, 2006), Trattare la resa (Lietocolle, 2009), In merceria (Delfino, 2012), Nel verso ancora da scrivere (Manni, 2018). Suoi testi sono apparsi su ‘L’immaginazione’, ‘Mathesis' e 'Gradiva'. Dal 2015 collabora come recensore al mensile ‘Poesia’. È stato giurato del Premio Letterario Internazionale Città di Sassari.
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