Nota di lettura a "L'immagine accanto" di Jacopo Curi
Un esordio fatto di pensiero, domande e risposte, quello di Jacopo Curi. L’immagine accanto (Arcipelago itaca, 2019) è un’opera concettualmente densa, che sembra nascere dall’interrogazione del poeta su un’esistenza in medias res («Cominciò con un trovarsi/ in mezzo alle cose»). Un’esistenza fatta in primis di sensazioni, immagini, sguardi e intuizioni: molti infatti, dalla seconda sezione in poi, sono i termini e le espressioni legati allo sguardo o alla riproduzione di un’immagine («coni di luce, istantanea, ritrarre, ologrammi degl'incontri, illusione ottica»). In tal senso, pur se il riferimento al titolo non è facilmente intuibile, il richiamo alla parola immagine può essere rimando a qualcosa di mutevole e impossibile da cogliere e riconoscere appieno, se non attraverso l’esercizio della memoria e della mente.
Ecco dunque emergere il desiderio di una vita còlta pienamente, la comprensione di uno scopo, la definizione di un’origine. Un nulla cui tornare, insondabile e inesprimibile, percepito nel progressivo prendere atto di una connaturata inconsistenza della realtà che il poeta esperisce nel quotidiano. Nel suo scrivere, Curi sembra quindi giustamente non voler offrire al lettore soluzioni aforistiche o verdetti definitivi, in componimenti brevi caratterizzati da un lessico immediato, diretto, attento al dettaglio delle cose, con una funzione cólta di invito a ulteriori riflessioni. Forti gli indizi filosofici, con rimandi a una mente presocratica o ad aspetti della filosofia heideggeriana: la temporalità dell’anima e la sua estraneità al mondo, la ricerca (sempre partendo dal quotidiano) di un principio, di un fondamento ultimo del mondo. Altrettanto forti risultano infine richiami psicologici a situazioni dissociative, con conseguenti effetti di irrealtà e, nuovamente, di estraneità («Ritrovo lo spazio/ che mi occupa/ se per caso accada/ d’incrociarmi»).
Un esordio certamente interessante, un lavoro che conduce il lettore a rinnovare domande fondamentali sullo spazio e sul tempo, sulla vita nella sua estensione e nel suo progressivo svolgimento, laddove esistere è prima di tutto quel «trovarsi/ in mezzo alle cose», un continuo disporsi a ricercare conferme.
Dove eravamo prima di nascere?
Tutto esiste troppo e da sempre
per conto d’altri
anche senza i nostri occhi
fino a che sono entrato
senza sapere
in tutto quel già saputo
di cui ricordo
qualcosa che non trovo.
Autorappresentazione
I giorni avvengono
senza avverarsi
e solo a volte capita
di sorprendersi vivi
di sentire il tatto
allora ci si ritrova
tutti a convivere
nei passaggi persi
in attesa che torni
quel passato mai còlto
capaci in anticipo
o in ritardo
forse solo di ricordare.
A volte mi sveglio dalla veglia e penso:
sei tu questo vedere, questo fare tardi
per avere più tempo e per un momento
sento la pelle intorno e la carne addosso
mi percepisco insieme assopito e desto
che entro ed esco da questo corpo.
Entropia
Non si può aprire
l’ultima scatola
né sfondare
lo scuro della mente
ma solo approssimarsi
alla radice dell’essere.
Quale impulso genera gli eventi?
Sono io che mi ci butto
o latente resto in disparte
tra equazioni invisibili
a non esistere.
Ph. GianDomenico Papa
Jacopo Curi (1990) vive in provincia di Macerata ed è docente di lettere. Collabora con le associazioni “Versante” (anche come giurato del Premio “Poesia Onesta”) e “Umanieventi” e si occupa di critica letteraria nelle redazioni di «Poesia del nostro tempo» e «Nuova Ciminiera». Ha pubblicato una silloge dialettale in Lingua lengua. Poeti in dialetto e in italiano (Italic Pequod, 2017) e con F. M. Serpilli ha curato Poeti neodialettali marchigiani (Quaderni del Consiglio Regionale delle Marche, 2018). Del 2019 è la sua raccolta d’esordio L’immagine accanto, edita da Arcipelago itaca. Suoi testi sono apparsi anche su blog e riviste e sono stati inseriti nell’antologia Abitare la parola. Poeti nati negli Anni Novanta (Ladolfi, 2019) di E. Rimolo e G. Ibello.
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