Nota di lettura a "L'amore dei lupi" di Alessandro Brusa
L’amore dei lupi di Alessandro Brusa (Perrone, 2021) si costituisce come atto di oltraggio tanto alla poesia comunemente intesa quanto alla morale dominante. Che non si tiri indietro dall’osare lo si vede fin da subito guardando la disposizione dei versi e l’uso improprio della punteggiatura, ma anche dalla scelta di una lingua impoetica e pura nella sua “indecenza”. Il nucleo tematico attorno al quale ruota il discorso poetico si nutre e alimenta dell’amore omoerotico, dove passione carnale e intellettuale servono a scendere fino al recondito più primitivo di sé. E certamente nell’esperienza totale descritta da Brusa il primo ricettore è il corpo, di cui senza censura si manifestano i godimenti, gli spasmi, l’animalità che si vorrebbe negare e che qui addirittura si fa verso poetico. L’Io-pelle, secondo la definizione dello psicanalista Didier Anzieu, è l’involucro del corpo ma soprattutto dell’apparato psichico, e proprio qui si interfacciano le dimensioni interna ed esterna di ciascun individuo; così in Brusa l’amore omosessuale non si limita ad un piacere fisico ma risulta un percorso di attraversamento autoanalitico. E ancora, seguendo le tracce dell’erotismo secondo George Bataille, esso è «l’approvazione della vita fino alla morte», espressione che tiene insieme la passione, il dolore, la conoscenza, la vita che si tocca con mano solo quando si lotta per conquistarsi. Nella raccolta a volte anche il rapporto con l’altro si manifesta come scontro fisico bestiale, dove non manca mai la meticolosa attenzione al dettaglio, le parti del corpo, gli odori, i movimenti esatti: «mi ruggisci in faccia il tuo / garbo strappato che senza / sonno si infila nella gola allora comincio/ a ringhiare i denti», «mi hai chiuso la gola / e ingoiato l’aria che ti spettava / . ma l’errore è stato mio», «Pensavo ci saremmo azzannati /sollevandoci di sette leghe e da terra / lasciando sobborghi desolati / e periferie in fiamme». In altri casi è il pensiero di un amore perduto a dare voce alla poesia, tra «l’irrequieto sopravvivere» a una mancanza e il cercare il passato in altri corpi. C’è poi il tradimento, l’errore, il non essere riuscito a onorare un patto d’unione. Tutto, compresa la perversione dichiarata, non è mai fine a se stesso, non è fatto per impressionare o, potremmo dire, per scandalizzare, ma per fedeltà a una verità intima e naturale. Atto che, se riportato in poesia, non si fa solo autoreferenziale ma si mette al servizio dell’universale.
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Alessandro Brusa è nato a Imola nel 1972 e dal 1976 vive a Bologna. Il suo esordio letterario è il romanzo Il Cobra e la Farfalla (Pendragon – Bologna 2004), cui sono seguite due raccolte di poesia La Raccolta del Sale (Perrone – Roma 2013, premio Orlando) e In Tagli Ripidi (nel corpo che abitiamo in punta) (Perrone – Roma 2017). Nel 2015 insieme a Martina Campi e Valerio Grutt si è fatto promotore di un progetto sulla scena poetica bolognese che ha portato alla pubblicazione di Centrale di Transito (ceci n’est pas une anthologie) (Perrone – Roma 2016). È del 2019 il secondo romanzo L’Essenza Stessa (L’Erudita – Roma 2019). L’ultima uscita editoriale è la raccolta di poesia L’Amore dei Lupi (Perrone - Roma 2021). Suoi testi poetici ed in prosa sono apparsi su antologie e riviste, cartacee ed online, sia in Italia sia, in traduzione, negli Stati Uniti, Francia, Belgio, Romania, Spagna ed America Latina. Accompagna il lavoro di scrittura a quello di traduzione dall’inglese con testi pubblicati su riviste online e cartacee (Testo a Fronte, Le Voci della Luna, PoetarumSilva, La Macchina Sognante, Nazione Indiana). Fin dalla prima edizione del 2013 fa parte del comitato organizzatore del Festival Letterario a prevalenza poetica Bologna In Lettere.
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