Nota di lettura a "Ipotesi sul mio disfacimento" di Bernardo Pacini
Esiste nel titolo di quest’ultima raccolta di Bernardo Pacini, Ipotesi sul mio disfacimento, uscito per Mar dei Sargassi nel 2024, una chiave di lettura che certo consente al lettore di comprendere non solo la ratio di questo libro, ma anche i volteggi a cui Pacini sottopone la sua parola, pur restando, almeno all’apparenza, dentro i confini di una struttura poetica canonica, resa talvolta singhiozzante e sincopata e altrove dilatata fino ai limiti della prosa. Quel disfacimento di cui ci parla, che non è una forma di distruzione o autodistruzione, ma piuttosto un movimento lento e inerte che spinge l’io a dissolversi inesorabilmente, lo troviamo dispiegato lungo le pagine di questo libro, raccontato secondo modi e cadenze diverse, talvolta annunciato o fotografato a un passo dal compiersi. Se nella prima parte di questa raccolta quel disfacimento assume una consistenza fisica e quasi materica, che passa attraverso un folto registro lessicale che ne sancisce l’esistenza – e penso ai vari «svanire», «diradarsi», «friare» o addirittura «squamarsi», spesso riferiti ad oggetti che per osmosi trasferiscono l’azione all’io stesso – nella seconda parte lo si avverte attraverso il vuoto, il nulla in cui quell’io pare disintegrarsi, scomporsi fino a farsi nebbia impalpabile, vapore, «aerosol».
L’io, appunto, anche quando pare estromesso dall’azione, resta l’elemento nodale della poesia di Pacini, tanto che il possessivo del titolo, al netto di qualsiasi presunzione narcisistica o meramente egocentrica che certo non appartiene alla sua scrittura, rivendica il riferimento all’io come centro, come punto di partenza e di arrivo della poesia. L’io che osserva le cose, pur nella distorsione inevitabile che il suo sguardo subisce per effetto delle troppe lenti che ne onnubilano la vista – e basterebbero quei «muri di smartphone» a comprendere la difficoltà a percepire realmente ciò che lo circonda – l’io che investiga e indaga l’altro fuori di sé, e sopra di sé, fino a svuotare di senso la possibilità di trovare un appiglio in un qualche cielo o in una qualche venerazione, l’io che cerca il contatto con gli altri, con il mondo, perfino nel gesto un po’ puerile di aprire l’auto a distanza, non visto, per intercettare lo sguardo e la coscienza di un qualche passante.
Il dato esperienziale, empirico riveste un ruolo fondamentale in questo libro, perfino quando si scontra con l’impossibilità di realizzarsi, come nelle mail di phishing, trascritte senza filtri ulteriori e solo piegate alle forme del linguaggio poetico, che ci restituiscono un mittente assente, indefinito, irraggiungibile o quando il reale stesso appare inconoscibile e sfumato o viziato da falsi segnali, e penso al suono del Sapientino che resta identico tanto che si azzecchi la riposta, tanto se entrano in collisione le penne tra loro. Il cortocircuito, il contatto – “l’attrito di A con B” della prima sezione – lo scontro, come quello grottesco dell’ambulanza con il carro funebre che fa “rimorire” la salma dentro la bara – l’ossimoro di senso, quello del macellaio che spacca le ossa e i tendini delle carcasse mentre la musica barocca invade il negozio, lo sfiorare qualcosa, come i piedi del figlio sull’altalena che toccano le foglie dell’albero, sono tutti gesti che riempiono il vuoto sottesa alla parola di Pacini, quel vuoto che certo gli schermi, il cellulare che resta in attesa e non registra passi se lo lasciamo solo sul pouf della sala, amplificano, ma che pure esistono da sempre e da sempre tentiamo di riempire, ammansire e perfino giustificare con la nostra scrittura.
Nessuna raccolta, più di questa, riesce a raccontarci la solitudine del gesto, il brancolare di ognuno di noi dentro uno spazio che non sappiamo realmente conoscere. E pure il gesto del poeta, il suo azzardare sulle cose, per approssimazione e scommessa, resta un’ipotesi, l’ipotesi di poter conoscere almeno qualcosa o di trovare una via fuga, un antidoto o forse solo un anestetico che ci ostiniamo a chiamare “gioia” o, come capita ai più sprovveduti, felicità.
Tu, con me, fai come le gattare di paese.
Mi lanci palline, pezzetti di spago, m’inganni
accartocciando la bustina del mangiare, strofini
le dita, zippo irresistibile incendiario.
Fai uno due tre stella, mi incanti con la nenia
coreana che improvvisi, mi spari, poi sparisci.
Tu metti a dura prova la mia mediocrità.
Io ci provo ad avvertire della trappola il respiro
ma tu mi schianti a terra con un powerslam
di grazia – la crepa che spalanco ti permette
di calarti col tuo vero nel mio falso, o viceversa.
IV
Nel anno 2004 ci sta un ragazzo
che si ricovera con me in Psichiatria
che se come ha Incarichi di lavoro del Ministero
del Interno ed è molto geloso della sua ragazza
e qual cosa mi deve invidiare
prima quando vado su l’ha Statale Settempedana
con la mia Automobile manomettendomi
la barra direzionale del volante
mi manda ha sbattere contro un Tir
e dopo quando zia Moira Battellani
ci accompagna a me e a mia Madre
alla spiaggia di Civitanova a Fonte Spina
nel mare mi fa prendere una stretta di gola
nel acqua. Per Favore cercate di persuadirlo
che non faccia niente di tutto ciò
non è come a lui gli sembra
sono infelice e un invalido civile.
I casi sono tanti. Può succedere
che un giorno, nel momento esatto in cui
riconosci il retrogusto dell’acciuga
nella salsa verde che ti sei preparato,
tu ti scopra all’improvviso felice.
La coincidenza ti spinga a credere
che, come del bene, anche del male
esiste un habitat marino, due oceani
dei quali solo tu sei tributario.
Segui la corrente, troverai
lo specchio dove stagni in miserere
preleva una decina di bottiglie
di quel liquame salmastro.
Usale come zavorra per il telo
della vasca olimpionica di salsa verde
che vorrai costruire sul terrazzo
quella che da allora chiamerai
il tuo personalissimo Cantabrico.
Bernardo Pacini (1987) è un poeta fiorentino. Nel 2012 ha esordito vincendo il premio De Palchi-Raiziss per la poesia inedita. Ha pubblicato Miracolo di cemento (autoprodotto) con introduzione di Walter Rossi; Cos’è il rosso (Edizioni della Meridiana 2013 - premi “Sertoli Salis”, “Beppe Manfredi”, “Antica Badia di San Savino”, “Libero de Libero”, Selezione Ceppo “Luca Giachi”) con introduzione di Gianfranco Lauretano; il libro d’arte Perfavore rimanete nell’ombra (Origini 2015) e La drammatica evoluzione (Oèdipus 2016) con postfazione di Rosaria Lo Russo. Il libro Fly mode esce nel 2020 per Amos Edizioni nella collana "A27 poesia". Alcune poesie dell’autore sono contenute nelle antologie Poeti italiani nati negli anni '80 e '90 (Interno Poesia 2019), Come sei bella (Aliberti 2017), Voci di oggi (Istos 2017), Abitare il deserto (Osservatorio Fotografico Fusignano 2016) e La consolazione della poesia (Ianieri 2015). Ha tradotto per "Le Parole e le cose" e "L'Ulisse" le prose poetiche di Russell Edson (1935-2014). Prose, poesie e materiali critici sulla sua opera e a sua firma sono reperibili su varie riviste, tra cui “Nazione indiana”, “Poesia”, “Atelier”, “Nuovi argomenti”, “La balena bianca”, “Blanc de ta nuque”, “UT”, “formavera”, “Soglie”, “Samgha”, “Il primo amore”, “Argo”, "Giocattoli", “Perigeion”, “Quid Culturae”, “Una casa sull’albero”, “Midnight”, "Succedeoggi", "Carteggi letterari".
Comentarios