Nota di lettura a "Il paese invisibile e il passo per inventarlo" di Roberto Marconi
«Tu prendine uno non il primo manco il secondo / di paese prendi il tuo.»
Fin dai primi versi introduttivi all’opera di Roberto Marconi dal titolo Il paese invisibile e il passo per inventarlo (Arcipelago Itaca Edizioni, 2023) il lettore viene invitato ad affrontare due viaggi: uno reale, fisico, in una dimensione paesaggistica nota all’autore per provenienza; l’altro di tipo poetico fatto di «esistenze dimenticate ai più del cielo / e della terra». Il paese occupa uno spazio geografico preciso, carico di valenza esistenziale che da personale raggiunge l’universale. Una testimonianza che diventa manifesto per i paesi e quelle mura che vivono nella dimenticanza: «ogni numero conta la responsabilità d’essere civico».
Marconi in questa raccolta ha le caratteristiche di un esperto di paesologia e questo amore, attraverso il racconto poetico della sua terra, converge in una competenza descrittiva notevole. Nel denominare le vie, nel raccontare minuziosamente il territorio di Potenza Picena, paesino delle Marche, viene fuori lo spasimo dell’autore per la trascuranza del paese, a volte anche una rassegnazione: «chiamatelo come vi pare / questo albergo di qualunque piazza che non vedete che / a parole perché non c’è più […]»
Per governare occorre competenza, riconoscenza e memoria del passato, sapere le strade e attraversarle, renderle visibili, percorribili, eterne: «immagina quanto sarebbe contro- / indicativo governare non sapendo la storia.»
L’opera di Marconi è, usando le parole di Umberto Piersanti, «un racconto che non è in versi ma neppure in prosa», narrata con un fascino estremo quasi ipnotico con «una lingua tanto tormentata quanto intensa». L’uso misto di corsivi, allineamenti a destra e a sinistra danno l’impressione di voler comprendere tutto e tutto voler significare, senza esclusioni né emarginazioni.
Tra la contemplazione dei luoghi, la spiritualità dell’autore rafforza il legame con il territorio e la ricerca della verità mediante la parola e la poesia. Una verticalità tangibile nell’invisibilità: «accorgersi dei vivi» e trovare l’amore fraterno, la carità coincidente con la verità: «ho trovato ciò che non aspettavo ciò che non sapevo.» Il paese invisibile e il passo per inventarlo è un libro che svela tra le parole e libera con le immagini. È filosofia e fisica, religione e geografia. La voce si accorda con il cuore che prova a nascondere il passato e ci soccorre nel fare i conti con le radici perché è «come se dentro la pelle ci fosse una copia / dell’abitato […] ch’esorcizza ogni minima paura».
fin da piccolo a fine dita l’olio mi colava lento
nell’acqua svaniva. In altre (sgranando) faceva
sbucare stille moverla bocca di nenie. O quando
spinto in su le guance pareva bucarle insegnando
alle labbra una immensa mezzaluna. Ho imparato
coi disegni futuri che la mano aveva un cuore: ri-
calcavo con la matita le colline delle dita un paese
alla portata ciò che spuntava era ridotto all’unghia
d’un’alba come se dentro la pelle ci fosse una copia
dell’abitato ma non all’opposto più una fotocopia
a fine inchiostro. Ora m’è rimasta questa sorridente
linea raggrinzita ch’esorcizza ogni minima paura
*
perché la vita per i colpi perché la replica non calma
il guado sui mondi e i respiri azzurri. Babbo Natale:
ho ancora il costume e le toccatine delle ave sulle
natiche. E le quaglie cantano la contentezza nell’aria:
così il padre di mia madre profetizzava con la mano
fissa a un dorato bicchiere. Ma ecco chi da questi versi
era la sintesi: la lingua impastata –la percentuale alta
liquida del corpo non era acqua (forse birra) sorrideva
sempre come una lattina che dalla bocca fuoriusciva
un po’ di schiuma (avete presente il sole nella nebbia
ecco come mi trovo a scrivere di lui) l’uomo più bello
dalla faccia della terra ed erano a dirlo gl’uomini:
mai nessuno a dirgli ch’è la terra qui che traballa da
millenni ed è il sole (mi conferma) a scortarla: lui che
veniva chiamato soltanto come la solitudine al plurale
*
erano macchie di quelle che un medico ti dice:
cosa vedi: macchie. Ma quelle portavano una
fontana i vari passaggi per andare dritti s’una
panchina coi piedi e l’aria condita dall’aroma
del caffè: il Pincio questo c’è l’ha per esordio.
Un partecipante a una lettura animata continuò
con disegno in scala pareva la circonvallazione
ma quelle chiazze strillavano di più: e al centro
poteva stare il gran cedro del Libano che faceva
nascere un frutteto la sete e un tizio con un saio
sembravano figliare lì le prime persone e i ripari
abbarbicati –poi però questa montagna di tronco
diventò un albero di natale. Ora facciamo la lista
del ferro battuto: dalla grata alla ringhiera fino ai
tombini: il nome ripetuto sulla ghisa non è che il
benvenuto non solo il punto di vista. Le nuvole
fino a oziare erano unicamente sogno su sedile
Roberto Marconi nasce a Recanati nel 1968. Fa l’educatore per persone con difficoltà e il bibliotecario nelle Marche. Ha fatto vari lavori manuali. Ha scritto una tesi su Scipione, l’artista del ‘900, e si ripromette di farne un romanzo biografico. Conduce incontri di letture animate e laboratori di poesia dalle scuole materne alle medie. Dal 2014 sostiene una Scuola di cultura e scrittura poetica per adulti. Suoi testi in versi e note di lettura escono in varie riviste. A cavallo del XXI secolo ha dato alle stampe Filtro d’amore fase lunare e Il poeta non può essere ateo (entrambe introvabili), si può forse avere invece Il collaudatore d’altalene (affinità elettive 2016) che è un saggio di letterature e autismi. A marzo del 2023 è uscito il libro tra poesia e narrazione il paese invisibile e il passo per inventarlo (Arcipelago itaca Edizioni). Per scrivergli: rolocomotor@gmail.com
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