Nota di lettura a "Giardini in occidente" di Enrico De Lea
In Giardini in occidente (Seri editore, 2022) Enrico De Lea costruisce un’accurata geografia dei luoghi, delle assenze e dei sentimenti. Tracciato in versi, il percorso prende corpo nella sua Sicilia e ramifica fino ad abbracciare non solo gli umori dell’intera Penisola, ma anche qualsiasi tradizione, odore, e suono mediterraneo.
Senza alcun dubbio, le composizioni, al di là dell’aspetto specifico su cui si soffermano di volta in volta, restano sempre impregnate di questo modo d’agire. Così, qualsiasi predicazione dell’essere – perfino quelle accidentali – si carica sovente di un mistero da cogliere o da rivivere in poesie che appaiono segnate da una sempiterna ricerca, analisi, e riscrizione di un vissuto che si insinua nel presente fino al punto da marcarlo in modo ben definito.
Da questo punto di vista, appare proficuo sottolineare quanto afferma Diego Conticello nella sapiente Introduzione al testo, in cui, tra gli altri aspetti, viene chiarito come il tempo delle liriche di De Lea sia irraggiungibile. Così, si può affermare che le composizioni racchiuse nella raccolta siano poste in una sorta di passato aureo. Eppure, d’altro canto, risulta indispensabile precisare che, nella silloge, tutti i tratti dipinti avvalendosi del linguaggio poetico formano una sorta di ideale che, inevitabilmente, smuove verso un cammino da compiere in modo concreto.
Pertanto, il ripetersi della percezione porta a costruire schemi generali. In un certo senso si ha a che fare con quelle che Epicuro definirebbe anticipazioni, termine che per il celebre filosofo greco designa, insieme alle sensazioni e alle emozioni, uno dei tre criteri di verità.
Per questo motivo, in Giardini in occidente, gli schemi generali – che nei versi diventano questa sorta di campo lungo in cui, turnerianamente, vi è molta attenzione nei riguardi di ogni singola qualità cromatica al punto da far diventare il paesaggio stesso un vero e proprio soggetto poetico – permettono, proprio attraverso il bagaglio esperienziale sia singolo, sia collettivo, di precorrere le cose nella mente.
Anche soltanto da quanto affermato fino a questo momento si comprende l’importanza che ricopre lo sguardo mentale. Del resto, è un elemento che viene chiarito apertamente dall’autore a più riprese nella silloge e che figura in modo perentorio nella quartina 107 della sezione Simulacri o teatri: «Te ne accorgi in ritardo, improvvisamente / è leggero lo sguardo, o è un’altra delle sviste: / luoghi persone mondo, tutto esiste, / davvero esiste, esiste nella mente».
In chiave cinematografica si parlerebbe di una sorta di piano sequenza, una tecnica in grado di accogliere con un’unica inquadratura la pluralità di quanto forma l’orizzonte in cui ci si muove. Così, i versi di De Lea, che diventano una sorta di montaggio del vissuto, attuano una sintesi e la narrazione di ogni singolo aspetto confluisce sempre in una ripresa dall’alto, in quei campi lunghi sottolineati in precedenza. È un modo d’agire che si incontra abitualmente nella raccolta. Come esempio si vedano anche soltanto le quartine 35-39 della prima parte del testo, Certo del sangue, che precede le altre due sezioni, Simulacri o teatri , già citata in precedenza, e Piccoli trionfi.
Dunque, non si tratta soltanto di ripercorrere quanto accaduto, ma le percezioni ripetute (e rivissute) portano sempre un carico di previsione che necessita di essere calpestato. Infatti, questo modo d’agire tracciato finora, dettato dalla riproposizione e dall’anticipazione, potrebbe far pensare a una sorta di immobilismo, al raggiungimento di una contemplazione meramente intellettuale, che potrebbe essere di per sé intesa già come soddisfacente per la ricerca.
Al contrario, De Lea chiarisce che, se così fosse, l’osservazione distaccata porterebbe un forte carico di distorsione e il presente diventerebbe semplicemente il tempo di un’attesa sempiterna. Così facendo, si potrebbe tutt’al più godere in disparte soltanto dei frutti del ricordo e gli slanci sarebbero prettamente operazioni mentali.
In altri termini, in Giardini in occidente si dà ampio risalto alle anticipationes naturae baconiane che si contrapponevano all’interpretatio naturae, conoscenza rigorosa e oggettiva. Sta qui il compito principale dell’arte e della poesia. Infatti, De Lea rende chiaro come sia l’azione a definire l’essere e a inverare tutta la serie di propositi che possono e devono essere debitamente costruiti.
Solo questa serie corposa di proprietà, debitamente afferrate, può portare a una comprensione più accurata, alla definizione del proprio esserci, alla lenta trasformazione della selva in giardino, così come sancisce apertamente il termine che l’autore utilizza nel titolo della raccolta.
4.
Sempre in cerchi concentrici si segna
quel perdersi infinito dentro il mondo,
dei padri, delle madri, che non degna
l’epoca, col tempo allo sprofondo.
5.
E non ha luce che dia luce vera
la pienezza del marchio, in un mercato
d’immagini in conteggio, da bottega nera
del corpo dato, affitto, comodato.
10.
Nel colmo del mio sonno a volte nuoto,
lenta bracciata nel corso d’acqua scura,
notte che non è notte, è mare vuoto –
la domandina di tale impostura.
11.
Fatemorgane insulse ho superato
o l’insulso fui io, passando il mare –
chiedo, nel segno dell’interrogato,
che segna il passo, senza ritornare.
Luna
L’avranno vista, la luna,
gli sbandati dell’ultima guerra,
attraversata l’intera terra
a piedi, e qui con barche di fortuna;
mio padre, i padri di tanti
poi dimentichi delle morti davanti,
gli occhi alla luce, al perfetto
mutevole segno, la rema lo Stretto,
occhi gravi al silenzio di un nero ricetto,
miravano di nascosto a San Raineri,
arrivare ai Colli, oltre lo Stretto,
alla disperata al Faro, presto e interi
Enrico De Lea (‘58, Messina), vive in Lombardia. Raccolte poetiche: Pause (1992, Edizioni del Leone), Ruderi del Tauro (2009, L'arcolaio ed.), Dall'intramata tessitura (2011, Ed. Smasher), Da un'urgenza della terra-luce (2012, Ass. La Luna, nella collana diretta da Eugenio De Signoribus), Suffragi del bianco (2014) e Sarmura (2015), per Officina Coviello- Milano, e La furia refurtiva (2016, Vydia editore). E’ apparso sulle riviste Wimbledon, Specchio (de La Stampa), Sud, Atelier, Tuttolibri, Registro di Poesia, Caffé Michelangiolo: nelle antologie “Poesia di strada - Licenze Poetiche” – Vydia, 2011 - Seri Ed., 2018), e Parabol(ich)e dell’ultimo giorno – per Emilio Villa –– DotCom Press edizioni, 2013. Presente in rete, fra gli altri hanno scritto di lui Sebastiano Aglieco, Nadia Agustoni, Viola Amarelli, Giorgio Bonacini, Laura Caccia, Davide Castiglione, Giacomo Cerrai, Anna Maria Curci, Federico Francucci, Michele Ortore, Alessandra Pigliaru, Rosa Pierno.
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