Nota di lettura a "Feriti dall'acqua" di Pietro Romano
Leggendo Feriti dall’acqua, raccolta d’esordio di Pietro Romano, edito da peQuod 2022, si ha la sensazione di immergersi in una voce densa e piena. Un flusso meditativo costante.
Siamo tutti immersi, nessuno escluso, in qualcosa che è un divenire e metamorfico riproporsi dell’identico. Così Deleuze suggeriva il concetto di rizoma, come a indicare un principio di innesto invisibile alla terra, concausa della vita. L’acqua, in questo, è metafora e figura attinente a un’idea di origine.
Feriti dall’acqua ha una forte struttura compositiva. Divisa in quattro sezioni, Acque di confine, Dentro la foschia, Cancelli, Sono qui ad attendere, ciascuna di 20 componimenti.
Il viaggio compiuto dall’io poetico di Feriti dall’acqua è quello di chi cerca conforto. Il soggetto si interroga e interroga la realtà, circoscrivendo l’esperienza ontologica a uno scandagliare oggetti, percezioni, luoghi, realtà: «Un turbinio, rumori umani, viali. / Quel che è successo infuria in un tempo / cristallizzato: l’aria è il passo / verso la costa, gli occhi che guardano/sono le case, il corteo, le panche. / Mantenere la vita, sollevarla/alla bocca, senza occhi a sponda della fine.» (p.7).
L’acqua, dunque, come segno del divenire reca in sé gli elementi della memoria e della distanza; ma anche qualcos’altro che è inserito nella nostra storia comune: «Da vuoto a vuoto lo spazio di strade, /a ogni passo non so dove l’affanno. // Io da bambino, voce di confine, / smembrato nella vita di ogni giorno.» (p.17).
Uno scavo archeologico, quello di Romano. Una voce forte che varia in un sapiente utilizzo del metro spezzato, nel disporre gli elementi ritmici e sintattici, nel mutare la composizione rifacendosi anche alla formula del distico. Un verso che si tende in avanti, che non indugia nel suo riflettere su tutti gli spazi, materiali e immateriali, della conoscenza, e che lo fa con immagini vivide: «Come tradurre l’azzurro arreso del cielo, / quando, con l’odore di terra riarsa, le parole / separano le nubi dalle nubi, gli uccelli / dagli uccelli, le foglie dalle foglie?» (p. 34).
Diventa, questa voce, nel risalire la corrente, un grido anche all’impossibilità di poter restituire un senso pieno, un legame che sappia di casa: «Non si appiana la sete. È un altro giorno / Scatole vuote, parole deposte a margine» (p.24).
I.
Un turbinio, rumori umani, viali.
Quel che è successo infuria in un tempo
cristallizzato: l’aria è il passo
verso la costa, gli occhi che guardano
sono le case, il corteo, le panche.
Mantenere la vita, sollevarla
alla bocca, senza occhi a sponda della fine.
XVIII.
Come tradurre l’azzurro arreso del cielo,
quando, con l’odore di terra riarsa, le parole
separano le nubi dalle nubi, gli uccelli
dagli uccelli, le foglie dalle foglie?
IV.
Necessaria ferocia, il diniego, l’attesa.
Il cammino verso il cerchio oramai chiuso
degli anni. Parvenze di confessione,
un patto di ordinaria sussistenza:
gerbera riarsa contro l’aurora.
XX.
Quest’ombra si interra
per dissetare l’impronta a un passo
dalla pietra a cui dicevi viva
la parola. Era forse il seme raggelato
sotto il sole di dicembre, la voce
che si stemperava dentro il dolore
dirsi soli e incompiuti
tra le braccia del padre.
Pietro Romano (Palermo, 1994) si è laureato in Italianistica presso l’Alma Mater Studiorum di Bologna con una tesi su Nino De Vita. Ha pubblicato alcune raccolte poetiche, tra le quali Fra mani rifiutate (I Quaderni del Bardo, 2018) e Case sepolte (I Quaderni del Bardo, 2020- pref. di Gian Ruggero Manzoni, postfazione di Franca Alaimo), quest’ultimo classificatosi tra i libri finalisti del Premio Mauro Prestigiacomo. I suoi versi sono stati tradotti in russo («Мой дом — до молчанья», “La mia casa è prima del silenzio”, Free Poetry, 2019, con pref. e traduz. di Olga Logoch, collana di poesia italiana a cura di Paolo Galvagni, traduzione di Fra mani rifiutate), greco, catalano e spagnolo, e inseriti nell’antologia Le parole a quest’ora (Free Poetry, 2019, a cura di Paolo Galvagni).
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