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Immagine del redattoreAlessandra Corbetta

Nota di lettura a "Farsi amica la notte" di Guglielmo Aprile

Se è un tempo, il nostro, teleologicamente orientato al consumo, alla prestazione, alla spettacolarizzazione della società, la poesia di Guglielmo Aprile ne denuncia in pieno tutte le costruzioni-relazioni. Con la raccolta Farsi amica la notte, edita da Giuliano Ladolfi, leggiamo di un invito a sfuggire la solarità di un’esperienza vuota. Ricordando le parole di Alberto Savinio: «Ma chi assicura che la luce è migliore delle tenebre? Al buio io penso meglio[1]».

Dal titolo della sezione introduttiva, Principio di realtà, l’io poetico osserva come il tempo sia strangolato e soppresso da un principio di piacere che è indotto, manipolato. Nella seconda sezione, Disastro di Ma’rib, si enuncia una vera e propria topografia dell’orrore. Nella terza sezione, che porta il titolo della celebre opera di Frazer, Il ramo d’oro, la topografia dell’orrore si unisce all’antropologia dell’oggi. Nella quarta sezione, Gibilterra, viene ripresto il topos delle colonne d’Ercole ma anche della specificità del luogo di confine come scarto e margine. Nell’ultima sezione, si mette in evidenza l’insufficienza stessa dell’esserci, del bruciare per raccontare, dalla citazione shakespeariana «Breve candela, spegniti!».

Le immagini che Aprile utilizza sono appropriate variazioni sul tema, senza per questo generare stanchezza e monotonia. Piuttosto, è nell’insistenza continua su un lirismo di denuncia, che carica sull’arsi senza porre una costruzione o una via da percorrere, (che non sia l’alta sensibilità dell’io lirico per cui il poeta riesce a coglierne i tratti disumanizzanti) che la raccolta risulta depotenziata nel messaggio.

D’altra parte, le pagine più interessanti sono quelle in cui si assiste a un’esattezza di pronuncia dello stile di vita monodimensionale e prestativo, ‘cosificato’. Una presa di consapevolezza: «È stato come, al risveglio, scoprirsi / abbandonati / in un luogo di cui non si hanno ricordi, / nel mezzo di una pianura / sventrata / dal morso del vento: nudi tremanti […]» (p.26)

Si impone, da subito, a emblema il richiamo alla composizione spaziale delle città che viviamo: corpi su corpi. Così come immediata è la denuncia dei mezzi senza i fini: «Se sapessimo cos’è che nasconde / il camion delle sei / nel suo vagone in ferro verniciato, / ci strapperemmo gli occhi: non sapremmo / che farcene, degli sconti sul prezzo.». (p.91)

La scissione tra le parole e le cose, di cui rimane un residuale e taumaturgico appellarsi solo per mettere ordine è accompagnata al bisogno di un agire egoistico, in cui si ridisegnano i recinti a misura di coscienza.

[1] Alberto Savinio, Nuova Enciclopedia, 1977, p. 55



Esilio


È stato come, al risveglio, scoprirsi

abbandonati

in un luogo di cui non si hanno ricordi,

nel mezzo di una pianura

sventrata

dal morso del vento: nudi tremanti

su un letto di ardesia, all’oscuro

di un capo d’imputazione, e di come

siano riusciti i rapitori anonimi

a condurci fin lì a nostra insaputa;

la nebbia è così spessa

che ha poco senso chiedersi

verso che nord procedere, o a quanti

giorni sia l’oasi più vicina


Non verrà mai nessuno


In punta di piedi, allunghiamo il collo

oltre il più alto orlo del parapetto:

ansiosi di scorgere, da lontano,

nella brughiera folta, il messaggero

giungere, anche se in ritardo, a darci

notizie su un evento che ci tocca

direttamente, a consegnarci il farmaco

che vince l’incantesimo del sonno.

Ma l’orizzonte non cambia parere,

indossa una sola faccia da sempre,

oppone l’ironica sfinge

del suo sorriso di macigno ai nostri

sforzi di eluderne la guardia,

e un silenzio che fa alla lunga folli


Cornicione


Per vivere, bisogna essere pazzi:

rinnegare una prova,

uscire dal cerchio sul foglio,

spezzare comete non confutabili,

tradire l’algebra e i suoi giuramenti.

Se sapessimo cos’è che nasconde

il camion delle sei

nel suo vagone in ferro verniciato,

ci strapperemmo gli occhi: non sapremmo

che farcene, degli sconti sul prezzo.

Ma siamo, per fortuna, ottimi attori;

ogni partita ha un esito già scritto,

eppure il braccio della gru anche oggi

ci ha schivato, di un soffio; ce lo insegna

il sonnambulo: bisogna bendarsi

per vivere, per non precipitare,

anche se il vuoto sotto i nostri passi

ci persuade

a una resa terribile, ci implora

sul grembo degli alisei di distenderci

Guglielmo Aprile è nato a Napoli nel 1978. Attualmente vive a Verona. È stato autore di diverse raccolte di poesia, tra cui "Primavera indomabile danza", 2014; "Calypso", 2016; "Il talento dell'equilibrista", 2018; "Teatro d'ombre", 2020; "Falò di carnevale", 2021; ha inoltre collaborato con alcune riviste accademiche tramite studi critici su autori e testi della tradizione letteraria italiana.

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