Nota di lettura a "Dal Lazzaretto" di Luigi Cannillo
e si doveva scendere/affrontare la strada disarmati
La vede da lontano l’altalena, con la gloria in volto del suo anno e mezzo di vita. La indica felice, chiamandola “din don”. Ci ho messo un po’ a capirlo. Ma sì, certo: per mia figlia l’altalena oscilla come la campana che fa “din don”. Lei sta ricordando. Anzi, commemora. Cioè, vive “con” il ricordo di una campana vista chissà dove, in un modo così intenso da “salvarla”, da farla rivivere, al di là della sua effettiva esperienza, in quel giocoso dondolio. Sì, i bimbi sono i primi poeti.
Se parto da qui è perché nel suo ultimo libro Dal Lazzaretto (La vita felice, 2024) il poeta Luigi Cannillo ci ricorda come la memoria sia il campo di battaglia di ogni uomo, capace, nella grande poesia, di offrirsi in relazione al moto della storia e dell’umanità. Simbolo ne è l’odierno quartiere milanese da cui proviene l’autore, un tempo ricovero per gli ammalati (luogo di “languore, angoscia, spavento” per il Manzoni de I Promessi Sposi). E sono proprio due immagini bambinesche, della fanciullezza, il fiocco azzurro mosso da una corrente sconosciuta e lo stesso Lazzaretto che dorme/trasportato da un treno/che lo fa scivolare nel tempo, a delimitare inizio e fine di questo poema di formazione che, come tale, ha la forza dell’epica.
Epico è il racconto che ciascuno, a suo modo, fa della propria esistenza, tra dilatazioni, deformazioni, sincopi, fantasmi che definiscono trame di vita reale e immaginaria spesso indistinguibili tra loro, a cui i poeti sanno dare parole a viso nudo. È, appunto, la memoria, vizio che non si rassegna a seppellire i vivi e rianimare i morti, che opera sui significati della vita dell’individuo, rendendo intellegibile l’esperienza della sua storia, attraverso un senso che ne eccede i limiti, li supera. La poesia è una delle forme di questa eccedenza che, nei suoi esiti più brucianti, può arrivare a toccare una dimensione più ampia dell’umano per «manifestare ciò che gli uomini hanno sentito, voluto e sofferto», secondo il Manzoni della lettera a Chauvet.
Proprio il manzoniano Lazzaretto è nell’opera di Cannillo mutevole identità storica e urbana (con le nuove case/a battezzare il Novecento, il bar degli eritrei) ma anche e soprattutto scheggia intatta di memoria che insiste a congelare/sul lago fermo della piazza/i desideri insieme alle agonie. Come a dire, si cerca ancora una strana e insperata salvezza in quel luogo, oggi come ieri. È la salvezza di quei volti, nomi, parole, gesti, perduti nel tempo, dove sembrava potersi comunque/realizzare da un momento all’altro/la grazia. E di questa salvezza la poesia ne è movimento concreto e impossibile (formula sommersa nelle grotte/irraggiungibile corallo).
Dico movimento perché è la stessa memoria a muoversi in avanti con la vita, reagendo a essa in un lavoro di sintesi che aggiunge senso, lo toglie, vaglia, rilegge il passato, lo trasforma, tenendo solo ciò che è contato davvero. È un moto che nelle pagine di Cannillo resta assai problematico, affatto pacifico e risolto, poiché fa i conti con un presente incerto, di negazioni e conflitti: Per questo rianimiamo gli scomparsi/che appaiano almeno come bagliori/o fermati in un passo di danza.
Eppure, ogni sogno in divenire/cerca ostinato la sua lingua/senza sosta. C’è come uno scatto più forte da rischiare, a cui obbedire, qualcosa che ci spinge a uscire allo scoperto. Non è forse un caso che in alcune poesie centrali del libro, tra le più vibranti, appaia anche la fotografia, l’altra arte che più lavora con il presente e il tempo, con il guardare, con il “fare la guardia” per cogliere un segno, con i sensi tesi per ascoltare e trascrivere ogni volta.
Cannillo, con la sua scrittura, fa del Lazzaretto un luogo assoluto non solo per la sua vicenda ma anche per noi che leggiamo. Lo rende, cioè, attuale, simbolo per tutti di uno spazio non morto, ristagnante in sé stesso, irrimediabilmente chiuso nel passato, ma vivo poiché tempesta ancora il desiderio, interrogando noi che siamo i salvati. Salvati da cosa? Salvati dalla morte, dalla dimenticanza, dall’assenza.
Così come i malati di ieri vivevano il Lazzaretto nell’angosciante incertezza se uscirne vivi o meno, allo stesso modo questo luogo pone ai nostri occhi, in quanto spazio di memoria, la questione della vita. Perché dire memoria è soprattutto dire vita, dire la vita di cui siamo fatti, la vita che ci ha attraversati e ci attraversa, il senso, il peso, il ritegno che diamo a tutto questo, salvando l’istante, strappandolo al buio, custodendo e onorando i sommersi della nostra storia: chi è andato via, chi è rimasto senza voce, chi resta invisibile («Dio non voglia che possano vedere in noi una gioia rumorosa» è l’esergo manzoniano di padre Felice che chiude l’opera di Cannillo). È in fondo il movimento etico che questo libro sembra delicatamente suggerire a temi odierni, come l’immagine, la sua condivisione, la sua istantaneità, la sua “memoria breve”.
Abitare poeticamente il mondo vuol dire forse pure questo. È la potenza del commemorare, dell’essere con ciò che ci abita, risignificandolo alla luce della vita che avanza, nel tempo che si slancia in una freccia. A questo movimento in avanti sembra forse rispondere la sequenza finale del Lazzaretto che, come in un film di Fellini, scivola nel tempo trasportato su di un treno. Come a dire, seppur la mancanza originaria/lievita e ci segue inesorabile, c’è ancora qualcosa da vedere, qualcosa per cui tenere l’obiettivo in mano, per cui rimettere ancora a fuoco, perché, come scrive Cannillo nell’ultima poesia, quello che conta adesso/è il panorama che ci sta aspettando.
Figure in posa sulla spianata
mentre del vecchio Lazzaretto resta
ormai solo il colonnato nord
Anni dopo qualche carro sparso
clienti nelle bottiglierie, sempre
visibili nel silenzio delle foto
dove le ombre si fissano perenni
Non c’ero allora, non vedevo
le piaghe, poi le nuove case
a battezzare il Novecento
me stesso a una finestra
ancora sigillato in quel presente
Ma il tempo sul campo di battaglia
contrappone spietato le sue ore
futuro incluso, e si doveva scendere
affrontare la strada disarmati
Noi siamo i salvati adesso, i nostri
occhi a fotografare le impronte:
lo stemma borromeo, il bar
degli eritrei – a futura memora
*
Qui mentre restiamo irreperibili
o fingiamo di esserci perduti
il tempo sta sospeso a mezz’aria
Non è un cortile per serenate
non ci è mai rotolato un pallone
Ma nel giardino segreto si fa strada
l’orizzonte prossimo del quartiere
la mappa dell’universo in divenire
*
Ultimo atto: la polvere sulle cornici
lucidare i vetri, carezzando i profili
Ognuno i suoi caduti da celebrare
La memoria spalanca le terrazze
e le ombre si rianimano in corpi
colti all’ultimo scatto, nello slancio
di un sorriso in posa per sempre
L’origine appartiene al sapere
mentre il distacco lotta col mistero
Pietà per il destino che ci aspetta
nel ritratto che si va compiendo
La mia casa con la finestra aperta
e il vento che mi cerca
mentre sono altrove
*
Dorme il Lazzaretto
trasportato da un treno
che lo fa scivolare nel tempo
Le valigie aperte, le smorfie
di chi lotta con il brutto sogno
Hanno spento le luci in corridoio
e il gomitolo di ombre
si gira lento su se stesso
Sospesi i ricordi in un convoglio
quello che conta adesso
è il panorama che ci sta aspettando
ancora sfumato al finestrino
Dormendo scorrono le stazioni
in passaggi come lampi
mentre l’arco profondo della notte
porta a destinazione ignota
Dormono insieme nl suo labirinto
le vite perdute e le attuali
condividono racconto e itinerario
il movimento che ci sveglia e ci assopisce
Luigi Cannillo, poeta, saggista e traduttore, è nato e vive a Milano. Ha pubblicato, tra le raccolte di poesia più recenti, Sesto senso (Campanotto 1999); Cielo Privato (Joker 2005) e Galleria del vento (La Vita Felice 2014) e, di recente, l’antologia bilingue Between Windows and Skies – Selected Poems 1985 – 2020 (Gradiva Publications 2022). È presente in antologie, raccolte di saggi e blog. Ha collaborato alla redazione dell’Annuario Crocetti 2000 edi Sotto la Superficie – Letture di poeti italiani contemporanei (Bocca 2004). Ha curato La biblioteca delle voci – Interviste a 25 poeti italiani (Joker 2006) l’antologia Il corpo segreto – Corpo ed Eros nella poesia maschile (LietoColle 2008) e, con Sebastiano Aglieco e Nino Iacovella, Passione Poesia – Letture di poesia contemporanea (CFR 2016). È organizzatore culturale, collaboratore editoriale, socio dell’Associazione Culturale Milanocosa. È stato redattore e co-direttore della rivista “La Mosca di Milano”. È collaboratore della rivista internazionale “Gradiva”, New York/Firenze. Collabora con artisti visivi e musicisti.
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