Nota di lettura a "Cosmologie" di Luca Vaglio
Il termine «Cosmologia» indica, secondo la definizione data dal Vocabolario Treccani, quella scienza che studia la struttura e l’evoluzione dell’Universo. Una scienza, parafrasando la fonte, oggi basata prevalentemente sull’applicazione della teoria della relatività dalla quale e per la quale discendono, semplificando, diversi modelli di Universo. L’universo in cui noi viviamo oggi è l’universo della fase espansiva. Una fase di espansione che apre a due strade entrambe plausibili, entrambe possibili. Una che procede per continuità e prosegue indefinitamente l’allargamento, l’estensione, l’ampliamento (Universo aperto). L’altra, al contrario, prefigura una fase di contrazione, di collasso: è la prospettiva dell’Universo chiuso, di un cedimento gravitazionale che nel suo stadio finale occorrerà nel cosiddetto big-crunch, stato di altissima densità materiale. Cosmologie di Luca Vaglio (Marco Saya Edizioni, 2022) è una raccolta che mi sembra muoversi, con sguardo investigatore, tra universi chiusi e universi aperti, in un continuo e fruttuoso rimbalzo di accensioni, spiragli e ostruzioni, sbarramenti, inabissamenti ed emersioni. Una raccolta poetica che vaglia le possibilità, le raccoglie, le porge in versi, le passa in disamina con sguardo critico e scientifico, le lascia vivere sulla pagina senza per questo tentare o obbligarsi ad imboccare con protervia una strada. Vaglio scruta, osserva e interroga il mondo, facendolo girare sul suo asse di rotazione più e più volte. E lo scandaglia non solo attraverso i suoi occhi e i suoi strumenti conoscitivi: lo ragiona per mezzo di Pitagora, Eraclito, Socrate, Platone, Anassagora, Wittgenstein, Mach, Russell, Pessoa. Invita inoltre a parlare dal pulpito le antiche cosmogonie egizie e, nelle ultime sei poesie (Saturnali di Luna Nera), «richiama la festività religiosa romana dei Saturnali durante la quale si realizzava un sovvertimento rituale dell’ordine sociale». L’intento, pare a chi scrive, sia quello di abbracciare quanto più possibile un cosmo composito e complesso (nel senso etimologico del termine: dal latino complexus, participio passato di complecti «stringere, comprendere, abbracciare»). Un cosmo poetico che, come sottolinea l’autore nella Nota in chiusura alla silloge, «prende in prestito intuizioni provenienti dalla storia del pensiero, dalla fisica e da altri discorsi collettivi e le fa interagire con occasioni di esplorazione di natura diversa, con memorie private e vicende particolari». Nella prefazione al volume, Tra flânerie e infinito, Lorenzo Cardilli acutamente rileva «un continuo negoziato tra slancio uranico e schiacciamento sulla contingenza»: «due istanze che si scontrano, flirtano o mercanteggiano, seguendo le oscillazioni dell’io, i suoi sbalzi». Una sineciosi di fondo che emerge come una propensione e una inclinazione propria del dettato e del pensiero poetico. Non tesa tuttavia a dividere, a contrappore bensì a tenere insieme gli opposti, a renderli ragionevolmente entrambi veri, o non meno veri in virtù dell’esistere e del sussistere del proprio contrario. Un contrasto che vive nella messa in relazione di realtà e utopia, padre l’una e madre l’altra, tra i quali non è pensabile scegliere: «Sembra quasi che le persone / scelgano con chi parlare / di realtà e con chi di utopia. / Fin da piccolo, e a partire dal padre / e dalla madre. Forse non è un male, / oppure è una legge naturale». Ma il contrasto, l’antinomia apparente o reale, sussiste anche tra fuori e dentro, tra esperienza particulare ed esperienza collettiva, tra bianco e nero, tra luce e ombra, tra logos-parola, pensieri e referenti. Una parola che al tempo nasconde e rivela, inganna e invera, unisce o allontana il pensiero, («il logos che siamo, / la forma-parola che, forse, ci crea: / ed è realtà percepita, conseguenza / di una coscienza, o sostanza che viene / da prima, e a modo suo significante?»; «come suggerisce il logos biblico, / parola e pensiero potrebbero essere / una materia sola, o avere la stessa natura, / originata nel medesimo tempo, / e che forse senza l’una non sarebbe / neppure l’altro». Un’«anima bipolare», un’anima strabica. La contraddizione non può essere risolta, eppure «mente ed esperienza sono parti uguali del tutto / schegge indivise dello stesso lembo del mondo», così come indivise sono la magia semplice del risotto alle fragole di Londra o la bambina quattrenne che gioca attorno a un tavolo all’Hemingway Cafè di Milano nord-est dalla «idea di un eterno mobile» di Eraclito o dalla «teologia logica» e «scienza immanente» di Pitagora. Quello di Cosmologie è un impianto poetico dialettico e problematizzante che non cerca risposte, o meglio che non pretende di risolvere i suoi interrogativi una volta per tutte. Un tentativo che il poeta affronta operando di volta in volta scelte stilistiche diverse: ora più narrative e prosaiche, ma non per questo meno poetiche dal punto di vista iconografico e immaginifico, ora più argomentative-espositive con una certa precisione scientifica. Ora confessando, ora iterando, ora articolando la sintassi, Vaglio sonda esperienze e sapienze e suggerisce, ricordando Pessoa, che «forse ogni vita / si manifesta / a partire da un attrito».
Quando pensiamo
a come siamo
ci capita di dare la colpa
agli altri, oppure
immaginiamo
che le cose
che succedono
abbiano a che fare
con noi,
con una specie
di destino:
non ci sono regole,
ricorda Pessoa,
tutti gli uomini,
naturalmente, sono
eccezioni a una norma
che non esiste
o, con parole diverse,
forse ogni vita
si manifesta
a partire da un attrito.
*
In una notte di pioggia a Galway,
mentre il vento scuoteva le finestre
della stanza, a Londra, anni prima,
in una grande casa dove un risotto
alle fragole era una magia semplice
e strana che apriva la vita a opere
nuove, a Edimburgo giocando
a scacchi con una cartomante
che non aveva bisogno di scrutare
gli arcani per sapere tutto di me,
e a Dublino sprofondato in un taxi
che attraversava il buio e la luce
dei lampioni e delle case georgiane
che ancora dormivano, quando
mi era sembrato di intuire
un senso, un frammento di libertà,
forse di felicità, e la stessa cosa
in un giorno bellissimo, perduto
e introvabile, risalendo Bilbao
in bicicletta, mentre ero come ora
non sono più, essendo migliore,
più sincero e saggio di allora,
e la nostalgia di come ero unica
via per essere ancora quelle cose.
*
Quando si è attraversati da un grande piacere
o da un nuovo dolore, o se si chiude un amore,
se si vive qualcosa di particolare, quasi sempre
si cerca di dedurne una tesi, una teoria generale,
anche se in fondo ci sembra innaturale pensare
in astratto a quello che appare unico e speciale,
eppure non si può risolvere la contraddizione,
libere le opinioni, la duplicità non viene meno,
allo stesso modo nel linguaggio dell’astrologia
conosciamo i segni individuali e quelli collettivi,
ci sono i Gemelli e la simbologia dove la parola
si fa per prima concreta, e ancora l’idea di altri
simili a noi, il qui e ora, e lo spazio circostante,
e c’è il campo del Sagittario, le distanze remote,
le terre, le lingue e le culture lontane, e infiniti
o innumerevoli istanti di un presente condiviso,
salvo che, come dice Ernst Mach, non si sappia
fare una sintesi tra le due polarità e riconoscere
che idea e materia, e quindi soggetto e oggetto,
particolare e generale e, se si vuole osare di più,
mente ed esperienza sono parti uguali del tutto,
schegge indivise dello stesso lembo del mondo.
*
Tutto è sempre stato, è ora
e infinitamente sarà un Fuoco
immortale, diceva Eraclito,
più o meno, regalandoci
l’idea di un eterno mobile,
mutante, come le fiamme,
luminoso e più seducente
di una cosa soltanto fuori
dal tempo, senza prima e poi.
Luca Vaglio è uno scrittore e poeta che vive a Milano. Scrive di letteratura per diverse testate, tra cui Il Foglio, Gli Stati Generali, Forbes Italia e La Balena Bianca. Ha pubblicato il romanzo Il vuoto (Morellini Editore, 2019) e le raccolte di poesia Milano dalle finestre dei bar e Il mondo nel cerchio di cinque metri, Cosmologie per Marco Saya Editore, nel 2013, nel 2018 e nel 2022.
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