Nota di lettura a “Biglietti con vista sulle crepe della storia” di Alessandro Pertosa
Biglietti, annotazioni, promemoria, fino a frammenti diaristici o “intromissione del lettore” in stralci di monologo. Biglietti con vista sulle crepe della storia (Puntoacapo editrice, 2020) è questo e molto più.
Ma per poter accennare un commento alla raccolta di Pertosa nel suo complesso, più che in altri casi ritengo necessario soffermarsi sulla poesia d’apertura, preludio potente e azzeccato come raramente accade: «Io sono voce che grida nel deserto; la corrente di naufragio e il vento in poppa;». Così inizia la poesia, con un io biblico, una vox clamantis in deserto che non è solo indice di una tendenza religiosa percepibile nel corso di tutta la lettura (diversi i riferimenti a Dio e ad atti di preghiera e raccoglimento), ma che è soprattutto attestazione e ammissione, anticipazione di un tono di una persona i cui consigli o ammonimenti di pericolo rimangono inascoltati, o forse ci si aspetta restino tali.
Impressione che trova riscontro nelle parole di Antonio Alleva, il quale nella prefazione conferma un intento – o tentativo – di conversione: propensione che confermerebbe il pieno attingere a questa citazione evangelica.
Mi permetto di soffermarmi ancora sulla seconda parte del verso sia per il dualismo tra corrente che porta alla deriva e vento a favore (indice forse di una dirompente lotta interna), sia per la scelta del termine “naufragio”. Naufragare è infatti il titolo dell’ultima delle quattro sezioni della raccolta, e a quel punto del libro per il lettore non è difficile pensare alla jasperiana figura del naufragio: quel ragionare attorno all’essere non come ente immutabile ma come qualcosa che si fa sempre più ricco di significati, che sfugge a una definizione netta e definitiva, che per il Qui ricerca un senso nell’Altrove e viceversa.
E la ricerca di un senso emerge costantemente nella raccolta prosimetro di Pertosa, per esempio nelle poesie della seconda sezione, Generare, dedicata ai figli: «un rito quotidiano del pensiero» in una «paranoica ostinazione senso nascosto fra le pieghe dei nomi, delle cose», nel corso di una vita che «sta tutta dentro una sintassi sciagurata che ognuno aggiusta a modo suo».
Permane, in questo rincorrere il senso, nelle contraddizioni emotive del poeta, nella sua visione di un’umanità tendente alla disumanizzazione, un tentativo di definizione di sé stesso e di ciò che lo circonda. Ne è esempio la poesia Autoritratto, dove in veste diversa ritorna quel “io sono”: qui, il (dichiarato) riferimento è al pensiero wittgensteiniano, alla definizione dei limiti del proprio linguaggio (e di concezioni) legati ai limiti del proprio mondo.
In conclusione, questa di Pertosa è una raccolta che viaggia sul continuo intreccio di tre valori: civile, spirituale e affettivo: valori da cui nascono dichiarazioni di prospettiva, tentativi di monito e confessione che, stringendo il lettore in un senso di partecipazione o di riflessione, lo portano a chiedersi anche lui è al contempo deriva e dritta via.
Preludio
Io sono voce di uno che grida nel deserto; la corrente di naufragio e il vento in poppa; l’approdo malsicuro in ogni spazio aperto.
Falce di luce, la mia parola falsa. Lingua scintillante, la mia parola vera; che cammina e s’insinua nel folto di ogni bosco; e raggiunge il culmine affilato del crinale, per sprofondare meglio.
Io sono voce che dorme alle estremità di tutti gli alfabeti; che parla e grida senza lacci né catene; e girovaga fra i sogni, insonne.
Io sono voce che sbanda oltre il confine; dove l’estremo torce in mare aperto, le stravaganze di questa mia preghiera smisurata.
Navigo a vista senza conoscere la meta; né il senso del mio andare: del mio dire, del parlare.
Tanti passi faccio avanti, per altrettanti frano indietro; e ricomincio sempre dall’inizio i balbettii;
l’identico terrore; lo stesso strazio.
*
Nell’inferno di feste religiose e civili, i luoghi abbandonati vomitano corpi a fiumi dalle vie strette, dalle piazze minuscole ineducate al chiasso. E in quei giorni maledetti, fra i banchetti, gli acquirenti mostruosi e disumani, con gli occhi consumati dalle
merci pisciano per strada, come i cani – tra la canaglia incandescente… Non la voglio questa gente attorno casa. Il turismo fatelo lontano.
Qui ci bastano i silenzi.
*
Autoritratto
Io sono questi campi; i sentieri abbandonati attorno
casa; i tratturi che si perdono in montagna. I miei
occhi sono fatti di questi sogni, di questa terra; dei
cieli azzurri e grigi, e dei declivi di questa campagna.
Io sono il mondo intero che da sempre mi circonda;
sono gli anni dietro le spalle; il futuro in cui mi perdo e credo.
Io sono questo vento fra i capelli. I volti
e i ritratti quasi schizzi, che ogni giorno vedo.
*
Alle prime luci dell’alba è tempo di andare. Quando
non è più notte e l’aurora ancora non appare: è tempo di andare. Ma dove?
Ogni volta lo stesso dilemma.
C’è qualcosa che manca; che si perde ai punti, alla distanza, dietro quel timido balenio a cespuglio; dietro un bukè forse di rose bianche. E poi la rifrazione
troppo evanescente; gli squilli; l’ultimo; l’ultimo orizzonte.
Un altro e ancora uno; proprio dove l’universo piega e si nasconde.
*
torno a parlare di nuovo ogni volta come i bambini
(quando cedono al disagio della marea); cógli occhi
arsi dai sogni; tesi; sull’orlo di uno dei tanti abissi.
Sta per cominciare la rincorsa millenaria al senso
della vita; e trovo meraviglioso corrergli dietro al
senso; prendersi pena di raggiungerlo, sapendo di
non poterci mai arrivare:
polvere di stelle e alito di vento; tanto per cambiare.
Alessandro Pertosa (1980) abita fra i monti dell’Appennino marchigiano. Insegna Filosofia teoretica all’ISSR di Ancona e Drammaturgia e linguaggio teatrale all’Accademia Nuovi Linguaggi di Loreto. Collabora con musicisti, pittori, commedianti e curatori di festival. È direttore artistico di Pensare Altro. Negli scorsi anni ha pubblicato vari saggi di filosofia ed è autore di alcuni testi teatrali (alcuni pubblicati). Ha curato l’edizione del Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’Italiani di Giacomo Leopardi (Lindau 2017); ha tradotto dal latino i Canti per Lesbia di Catullo (Cartacanta 2020). Alcune sue poesie sono state tradotte in francese (da Marilyne Bertoncini su Recours au Poème e Phoenix), in macedone (da Ismail Iliasi, sulla rivista Vlera) e in inglese (da Gabriele Codifava su Journal of poetry). I suoi ultimi libri di poesia sono: Passio. Con gli occhi degli altri (Cartacanta 2019); Biglietti con vista sulle crepe della storia (Puntoacapo editrice 2020).
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