Nota di lettura a "Alogenuri d'argento" di Marina Baldoni
Stando al manuale di chimica, gli alogenuri d’argento sono composti formati dall’argento e da un alogeno e la loro principale caratteristica è quella di essere fotosensibili e, quindi, di annerire velocemente all'esposizione luminosa; quando tale fenomeno si verifica, non essendo reversibile, li rovina in maniera irrimediabile. Ciò significa che un metallo, da cui ci si aspetterebbe forza e resistenza, se dentro una particolare combinazione e in relazione a un certo evento, diventa precario, instabile, mutevole.
Credo sia proprio questa associazione che ha portato Marina Baldoni a intitolare Alogenuri d’argento (Arcipelago Itaca, 2020) la sua ultima pubblicazione che, non a caso, muove intorno al tema delle prove di dolore e sofferenza che l’esistenza costringe ad attraversare e che, indipendentemente dalla capacità di reazione individuale, non esime dal valutare da vicino la nostra provvisorietà e il nostro fragile esserci. Eppure la presa di coscienza di non potere valicare in nessun modo le colonne d’Ercole non corrisponde in Baldoni a rassegnazione o assenza di slancio al dopo e al nuovo; sebbene, infatti, la raccolta sia intrisa di un senso di irrimediabilità di fronte all’accaduto, l’autrice non smette di cercare un pertugio, una feritoia da cui provare a fare entrare ancora luce, come nota anche Umberto Piersanti nella postfazione. Del resto la scelta di una titolazione così specifica e settoriale, come lo è anche parte del lessico dei testi, è segnale evidente dell’impossibilità di dire in altro modo, poiché il processo di razionalizzazione, anche terminologica, attuato è la prima via per tentare di tenere a bada la belva del patimento.
Senza cedere a patetismi, con un uso minimo della punteggiatura e uno scrivere calibrato, Baldoni cerca di dimenarsi tra assenze, vuoti e bui ma il suo viaggio di risalita non è un percorso individuale bensì quello che ciascuno di noi, prima o dopo, è chiamato a compiere, perché Alogenuri d’argento, partendo dall’esperienza del singolo, è capace davvero di parlare a tutti.
la curva dei fianchi differente
e un passo cauto che smorzava i picchi
di un diagramma folle incongruente
giocavi a non essere mai tu
tra le canne diritte e ancora secche
un’immagine del tutto disonesta
luce attinica e alogenuri d’argento
ma quando sarà tutto quel che resta
qui, guarderanno e non vedrà nessuno
realmente quanto gioco e quanto vero
in quelle linee sparse c’è di te
per prima, lì, in tutta quella vita
a chiederti in che cosa sconfinavi
*
con qualche anno di ritardo
hai avuto il tuo undici settembre
un collasso tutto personale
è stato il giorno tredici del mese
ore sedici e un pugno di minuti
/di venerdì, duemila e diciannove/
forse anche prima a pensarci bene
una volta c’era una magnolia
in petto e in uno spazio tra i balconi,
fiori rossi a mille
lì dove ormai ci sono crepe e cresce
ostinato e maestoso un fico d’india
poggiava strana la luce sulle ossa
le pupille piantate come spilli
il corpo curvo e teso ad ascoltare
se stesso che cedeva appena
un poco
e ancora e
dopo
e dopo allontanare, scomparire
hygròn pýr *
si è trattato, pare, di
autocombustione
lì sulla sedia l’ha colta,
nel giardino
hanno trovato
in mezzo alla cenere di
mille alberi arsi un corpo
un cuore nero più in là
niente più sangue né acqua
dicono che sia iniziato tutto
da un pensiero
* Fuoco greco, o fuoco liquido, inventato nel VII secolo, che non può essere spento con l’acqua.
Marina Baldoni è nata nel 1962 a Loreto, dove vive. Ha pubblicato due raccolte di poesie: In un angolo del Mare (2010) e Fili di sale (2011), entrambi per Controvento Editrice. Da alcuni anni frequenta la Scuola di cultura e scrittura poetica “Sibilla Aleramo” di Civitanova Marche, fondata e diretta da Umberto Piersanti. Nel 2018 ha vinto la prima edizione del concorso “Poesia Immaginata”, spin-off del premio letterario nazionale “Paolo Volponi”. Le sue passioni sono la lettura, la scrittura, l’arte e il disegno, la fotografia e la musica.
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