Le Rubriche di Alma: Alma & Scataglini (I Appuntamento)
«El senso de ‘l mio testo / è ‘na cancelatura»: la lingua poetica di Franco Scataglini
Vita e scritura
Per me vita e scritura
ène compagni, el sai,
tuta scancelatura
dopo dulor de sbai.
Se cerca ‘n sòno lindo
drento de sé e se trova
el biatolà d’un dindo
spèrsose ‘nte la piova.[1]
Franco Scataglini nasce ad Ancona il 25 luglio del 1930, cresce nel quartiere di Valle Miano, quartiere periferico della città, in una famiglia proletaria e il suo covile va ricercato, come da lui stesso riconosciuto, nei «grasciari d’Ancona», “grasciari” ovvero i luoghi dove veniva scaricata la “grascia” (i rifiuti) posti a simbolo di una provenienza popolare che il poeta orgogliosamente rivendica:
No de raza padrona
io so’ no de servile,
i grasciari d’Ancona
m’ha fatto da covile.
Me fúrene parenti
per parte de mi’ madre
sète oto delinquenti
tuti co’ le mà ladre.
Venivane puntuali
- nemanco i rondinoti -
(oh i ochi dei rionali!)
Ogni anno i polizioti.
Da la paterna parte
ciò avuto ’na bontà
che drento me scumparte,
contraria eredità.
Sfati come i susini
(zuchero e acqua giala)
io porto i Scataglini
a cavaloni in spalla.[2]
Nel 2022 la Quodlibet, all’interno della collana Ardilut diretta da Giorgio Agamben, ha pubblicato un volume che finalmente riunisce l’opera in versi completa (in italiano e in dialetto) di Franco Scataglini e che ci permette quindi di ripensare, ripercorrere, rimetterci all’ascolto di una delle voci poetiche più inconfondibili e riconoscibili del Novecento italiano. Una voce dalla quale emerge con inedita chiarezza, come sottolinea Agamben nell’avvertenza al volume, «quell’essenziale bilinguismo della poesia italiana» in ragione del quale le parole di Scataglini si situano irrimediabilmente da un lato «nel bilico sottile e illocalizzabile che divide il dialetto anconetano dall’italiano», e dall’altro nel naufragio altrettanto irrevocabile di ogni tentativo «di assegnare un’identità alla lingua della poesia».[3] Scataglini scrive in dialetto anconitano, anche se il suo esordio è nel segno della lingua italiana con la primissima raccolta Echi del 1950,[4] eppure si può a fatica compararlo ad altri poeti dialettali del Novecento il cui idioma finisce per configurarsi come «massimamente originale e massimamente lontano dalla lingua nazionale».[5] A ragione difatti, avverte Paolo Canettieri nell’Introduzione all’opera completa, per la poesia di Scataglini definizioni come quelle di «dialettale, neodialettale, neovolgare», diventano «rischiosissime e fuorvianti» giacché per Scataglini sarebbe più opportuno parlare di «una lingua d’autore fondata su un anconetano rivisitato sulla base di specifiche ricerche colte, condotte da un poeta autodidatta fra gli arcaismi della lingua dell'Italia mediana delle origini».[6] I poeti dialettali spingono le loro scelte linguistiche giocando sulla tensione che si genera a partire dal contrasto, dalla distanza della lingua letteraria dalla loro lingua, Scataglini invece muove i suoi versi ritagliando lo spazio poetico all’interno di una parlata, di un dettato che si pone in una condizione di prossimità rispetto all’italiano e che quasi ne costituisce una variante da un lato comprensibilissima e dall’altro preziosa, singolare, sperimentale. Il vernacolo di Scataglini mostra difatti «una distanza dall’italiano contenuta nel quadro della massima comprensibilità e questa caratteristica collocazione, in un gradino intermedio fra lingua nazionale e dialetto che non comunica al di fuori del campanile, viene continuamente messa a profitto».[7] Questo profitto è reso possibile alla pronuncia dei versi di Scataglini anzitutto per la condizione propria del dialetto anconitano, il quale manca di una importante tradizione poetica nel suo vernacolo ma soprattutto poco si discosta dalla lingua italiana; per questo i suoi «elementi lessicali appaiono così spesso come varianti, più corpose o invece più aggraziate, dell’italiano stesso».[8] Scataglini sa mettere a frutto questa particolare condizione, sa sfruttarla con abilità «sovraccaricando il testo dialettale di un lessico vistoso e allotrio»,[9] o ancora costruendo testi in quartine di settenari e senari nei quali spiccano, nel mezzo della patina di dialetto italianizzante del complesso testuale, singoli dialettalismi marcati. A titolo esemplificativo dei dialettalismi lessicali marcati, che volutamente Scataglini inserisce e che finiscono per spiccare con forza, possiamo leggere da So’ rimaso la spina, la poesia Portonovo:
La rosa de clausura
renvoltata ’ntra i spí
pe’ te vuría scarpí
for de la rete scura
de ’n giardí abandonato
(’costo a l’anima giacia)
del mar che la robacia
del fondo ha rigetato),
rete che se desmàia
ruginita dal sale.
Un cà sorte dal sciale
de la nebia e me ’baia.[10]
La pronuncia poetica di Scataglini, la sua «parola assertiva»,[11] si differenzia e si distanzia da quella dei poeti dialettali classici del Novecento (si pensi a Giotti, Marin o Noventa) e da quella dei poeti più o meno suoi contemporanei (si guardi ad esempio invece a Pedretti, Bertolino, Cecchinel, Ghiandoni) anche a partire dalle scelte metriche: essi prediligono per la più parte strutture ametriche laddove invece Scataglini procede differentemente «avvolgendo quasi sempre i suoi pronunciamenti drammatici e comunque risentiti in strutture italianissime e tradizionalissime e per così dire metastasiane».[12] Il metro difatti che risulta dominante all’interno delle costruzioni poetiche di Scataglini è quello delle quartine di settenari a rime abab o, meno frequentemente, abba. Non è un caso che Scataglini sia giunto alla sua produzione poetica dopo un lungo tirocinio sui testi del Duecento e del Trecento: «Il mio dialetto non corrisponde al parlato, o solo nelle sonorità che lo fondano. E attraverso quelle io risalgo a somiglianze originarie: i miei modelli sono duecenteschi»[13], nei quali ritrovava le cadenze di una lingua parlata, «volgare», «che dalla dissoluzione della lingua latina, schiudeva, dal silenzio, una nuova cultura».[14] Scataglini inserisce «nelle strutture chiuse di una lingua letteraria circoscritta l’elemento disintegratore e smitizzante del linguaggio popolare, cercando nel termine dialettale la realtà della cosa».[15] Varrà la pena qui riportare l’avvio della risposta che Scataglini concede, con grande lucidità critica, alla domanda «Perché scrivi in dialetto?» nel Questionario in «Diverse Lingue» del 1988:
Le motivazioni della scelta linguistica sono di ordine musicale, esistenziale e letterario. Sebbene intrecciate nell'esperienza dell'apprendere e dell'esprimere, esse vanno distinte e trattate separatamente. Per la parte musicale: ho imparato presto a distinguere la sonorità di un verso dal suo significato e a dissociare le parole dalla cadenza. Sulla base di questa pratica di lettura ho potuto individuare, più tardi, le sonorità essenziali dell'anconetano e intuire la relazione con quelle della poesia umbro-marchigiana delle origini (dal Ritmo di Sant'Alessio a Jacopone da Todi). Il mio lavoro, dal punto di vista musicale, si è svolto per la più parte in questa direzione.[16]
Ma la scelta non è soltanto mossa da ragioni di ordine musicale; in questa scelta linguistica di Scataglini è possibile anche leggere «l’adesione ad una ideologia progressista sull’isolamento dell’uomo come conseguenza di una condizione sociale di sfruttamento, con la piena fiducia nella capacità del dialetto di restituire intera la sua condizione e la sua natura»:[17]
In termini esistenziali: l'assunzione del dialetto è connessa ad una segreta identificazione della mia vicenda di intellettuale solitario ed isolato con quella degli uomini che vengono posti al margine della storia: gli esclusi, quelli che sono deprivati degli strumenti in cui il potere si manifesta: la lingua (incommensurabile per chi la guarda dal suo povero idioma di subalterno) e la cogenza dell'uso della forza quando viene irreparabilmente patita. La lingua dei servi, dunque: lingua dell'affettività domestica e del rassegnato abbandono al corso delle cose. Oppure lingua dell'oscenità e della bestemmia quando la rabbia può sollevare solo un empio brandello di bandiera contro la soggezione sociale diventata destino.[18]
Un dialetto tuttavia che Scataglini assume perseguendo la commistione di lingue alte e lingue basse, «di contemporaneità dialettale e di storicità letteraria», una lingua che come si è cercato sin da subito di sottolineare non è totalmente sua e neanche totalmente della città di Ancona. È un dialetto che è mezzo suo e mezzo della città, preso in prestito e restituito ornato di senso, investito di una nuova luce. È la lingua di quella poesia scritta da chi e per chi «avrebbe dovuto essere muto per decreto della storia del dominio: muto come le piante e gli animali, asservito all’immanenza della natura asservita».[19] Per Scataglini diventa la lingua della poesia.
[1] F. Scataglini, Vita e scritura, in Id., So’ rimaso la spina, prefazione di Carlo Betocchi, Edizioni L’Astrogallo, Ancona 1877, ora in Id., Tutte le poesie, avvertenza di Giorgio Agamben, Prefazione di Pier Vincenzo Mengaldo, a cura e con un saggio introduttivo di Paolo Canettieri, Quodlibet, Ancona 2022, p. 70.
[2] F. Scataglini, Strofe per un’autobiografia, in Id., So’ rimaso la spina, ora in Id., Tutte le poesie cit., pp. 131-133: p. 131.
[3] G. Agamben, Avvertenza a F. Scataglini, Tutte le poesie cit., pp. VII-VIII: VII.
[4] F. Scataglini, Echi, Tip. S.E.V.A, Ancona 1950.
[5] P. V. Mengaldo, Prefazione a F. Scataglini, Tutte le poesie cit., pp. XI-XXI: p. XI.
[6] P. Canettieri, Introduzione a F. Scataglini, Tutte le poesie cit., pp. XXV-CV: pp. XXXII-XXXIII.
[7] Ivi, p. XXXIII.
[8] P. V. Mengaldo, Prefazione a F. Scataglini, Tutte le poesie cit., p. XI.
[9] Ibidem.
[10] F. Scataglini, Portonovo in F. Scataglini, Strofe per un’autobiografia, in Id., So’ rimaso la spina, ora in Id., Tutte le poesie cit., p. 79.
[11] Si veda P. V. Mengaldo, Prefazione a F. Scataglini, Tutte le poesie cit., pp. XIX-XX.
[12] Ivi, p. XII.
[13] F. Scataglini, Questionario per i poeti in dialetto, in «Diverse lingue», i, 5, dicembre 1988 ora consultabile al link https://www.francoscataglini.it/MAIN/di.htm (url consultato in data 30/09/2024).
[14] Nota bio-bibliografica, in E per un frutto piace tutto un orto, Edizioni L’’Astrogallo, Ancona 1973, p. 84.
[15] A. Luzi, Profilo critico, in Marche: poeti oggi, a cura di A. Luzi e R. Ventola, introduzione di L. Ranghieri, con cinque disegni di R. Rossi, Edizioni Bramante, Urbania 1979, p. 17.
[16] F. Scataglini, Questionario per i poeti in dialetto, in «Diverse lingue», i, 5, dicembre 1988 ora consultabile al link https://www.francoscataglini.it/MAIN/di.htm (url consultato in data 30/09/2024).
[17] A. Luzi, Profilo critico, in Marche: poeti oggi, a cura di A. Luzi e R. Ventola, introduzione di L. Ranghieri, con cinque disegni di R. Rossi, Edizioni Bramante, Urbania 1979, p. 18.
[18] F. Scataglini, Questionario per i poeti in dialetto, in «Diverse lingue», i, 5, dicembre 1988 ora consultabile al link https://www.francoscataglini.it/MAIN/di.htm (url consultato in data 30/09/2024).
[19] Ibidem.
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