Le Giovani Interviste: Dimitri Milleri
Prosegue con Dimitri Milleri lo spazio "Le Giovani Interviste di Alma" dedicato alla messa a fuoco del pensiero e della poetica di giovani autrici e autori talentuosi.
I primi sei appuntamenti saranno dedicati alle poetesse e ai poeti inclusi nel Sedicesimo quaderno italiano di poesia contemporanea (Marcos y Marcos 2023).
Nel pieno di nor, contenuto nell’ultimo Quaderno italiano di poesia contemporanea (Marcos y Marcos, 2023) è un concentrato di saperi trasversali che riescono ad integrarsi perfettamente senza risultare un esercizio di stile, bensì si mettono al servizio di una conoscenza tout court. Il tuo modo di fare poesia, così come già avevi mostrato in Sistemi (Interno poesia, 2020) unisce la cultura umanistica a quella scientifica e, per quanto sia poco in uso oggi, appartiene ad una tradizione che sta alle radici del sapere occidentale (dalla cultura classica a quella rinascimentale), quando con scientia si indicava il sapere in senso assoluto e non distinguibile in queste due categorie. Scientifico però è anche il rigore che usi nelle scelte lessicali, nell’organizzazione del macrotesto e dei testi stessi. Qual è il rapporto che esiste per te tra poesia e scienza?
Ti ringrazio di aver riaperto questo discorso, perché in più di un’occasione avrei voluto affrontarlo ma non sono mai riuscito, per un motivo o per un altro. Giustamente hai parlato di continuità di Nel pieno di nor con Sistemi, e giustamente hai accennato a un’idea di sapere non distinguibile, anche se non assoluto, dalla mia prospettiva. Ora: l’attraversamento di questo sapere olistico, in cui finiscono sia le scienze più dure e astratte che quelle contaminate in modo più esplicito con le prospettive di soggetti determinati, rappresenta una delle tensioni fondamentali della voce per come è intesa in Nel pieno di nor. L’altra, che possiamo benissimo chiamare “la poesia”, è invece rappresentata da un sentire interno, non interpretativo e non dimostrabile, euforico-disforico e in ultima analisi illogico, che si muove con grande indipendenza rispetto a tutto quello che la voce sa di sé e del mondo. Si è trattato, in pratica, di tenere insieme, attraverso il meravigliarsi, l’assurdo di essere un soggetto con la sua esperienza e l’assurdo dell’incomparabilità schiacciante fra quell’esperienza e i saperi.
Mi vorrei poi concentrare sul titolo, che pone al centro una parola inglese e che può assumere qui molteplici significati. “Nor” si impone come negazione, opposta all’“or”, che invece presuppone una possibilità. Ma è anche una presa di posizione netta, annuncia un percorso poetico nel segno di una ricerca radicale, senza vie di mezzo ammissibili. E infine, “Nor” come spirito guida, come segno sotto al quale problematizzare il reale e l’esistenza. Puoi dirci qualcosa di più sul significato di questa parola?
È scorretto, forse, spiegare una scelta compositiva alla luce di letture che nel momento in cui si compiva quella scelta non erano affatto tenute presenti, però non credo ci sia un modo più efficace di chiarire quel “nor” che riferendosi al concetto di teologia negativa. Il “nor” della logica formale, sostanzialmente, cassa tutte le prospettive enumerate da “or”, consuma tutte le etiche gettandole in una fornace. Eppure, allo stesso tempo, quel gesto apparentemente auto ed eterodistruttivo è mosso dal desiderio di un di più, da un’insoddisfazione che può far emergere, per litote, il fantasma del possibile – allo stesso modo in cui, sfrondando l’idea di dio da ciò che questi non è, la via negativa tenta di imprimerne una traccia più autentica.
Vorrei spostare la conversazione sul discorso relativo a poesia e Rete, di cui Alma è attenta a raccogliere testimonianze. Sappiamo che il dibattito attuale si muove passando da una posizione all’altra, riassumibili in “la Rete sta rovinando la poesia”, oppure “la Rete salverà la poesia”. In questa dicotomia, semplificatrice e banalizzatrice di un fenomeno ben più complesso, si intravede, però, una realtà indiscutibile e cioè che i nuovi linguaggi della Rete hanno avuto un impatto rilevante su quelli poetici, in termini di comunicazione, diffusione e, forse, anche su forme e contenuti. Qual è la tua posizione a riguardo? Come vedi il futuro della poesia in relazione alle sue interconnessioni con il Web?
La poesia, nelle sue forme a basso carico cognitivo, è perfetta per entrare nei meccanismi della circolazione digitale, e del resto credo ormai sia abbastanza chiaro, in linea di massima, quale poesia possa aspirare alla viralità. Ad ogni modo, i social hanno contribuito a una sovrastimolazione che, almeno nel mio caso, è coincisa con una desensibilizzazione nei confronti di qualsiasi media artistico. Questo implica, allo stesso tempo, una crisi nella crisi (essendo quello della poesia un insieme di pratiche eternamente in crisi) e un collo di bottiglia. È così facile annoiarsi, è così facile che le nostre attenzioni siano già occupate da qualcosa che in realtà ci ripugna (e vale per tutti, anche per gli addetti e i lettori attrezzati). Se penso al futuro della poesia, lo penso al di fuori dell’oggetto libro, all’insegna della multimedialità e nella duplice forma dei metaversi e dell’intervento su spazi concreti. Non credo infatti ci sia più spazio per un’arte che non accetti, nel suo modo di esistere, almeno un minimo d’invadenza.
Siamo nel 2024, eppure il dibattito intorno alla questione del gender in poesia sembra non essersi ancora esaurito: da una parte ci si continua a chiedere se, in effetti, la poesia possa averne uno o se, in quanto arte, prescinda da qualsiasi suddivisione a riguardo; dall’altra l’inevitabile constatazione della prevalenza di poeti uomini nelle antologie scolastiche e pure nel panorama poetico contemporaneo.
Alla luce della preponderanza che il tema del femminile sta assumendo nel dibattito odierno tout court e in riferimento anche alla conta che sempre viene fatta di autori uomini e autrici donne presenti in lavori corali come quello di cui il tuo Nel pieno di nor fa parte, come inquadri l’argomento e qual è la tua opinione a riguardo? Soprattutto, prevedi un’evoluzione verso altre traiettorie per il futuro prossimo?
Non credo di aver compreso bene la prima parte della domanda, ma proverò comunque a spiegare la mia posizione su questi argomenti. Ci sono delle forze sociali che puntano ad appianare le asimmetrie in merito all’accesso alla produzione della cultura, comprese le asimmetrie fra i generi, e io non posso non empatizzare, perché provengo da un humus sociale in cui, di norma, la gente non legge e non scrive. Le conte possono essere stupide, certo, come qualsiasi atteggiamento che si nutra di una parzialità ed evita di confrontarsi con la statistica – ma questo non cancella l’asimmetria che quella stessa statistica descrive, se la descrive. Ci sono poi delle forze sociali, in parte coincidenti con le prime che ho descritto, che cercando di affermare il principio secondo cui l’identità di una persona è performata in accordo con un sentire e non può essere fatta discendere da nessun sapere, nessuna descrizione (di nuovo il conflitto del sapere con la soggettività). Anche in queste mi riconosco, considerando il rapporto divergente e stranito che ho con la maschilità, l’eterosessualità e la monogamia come forma di vita. Tornando alla poesia, la cosa più difficile che ci aspetta credo riguarderà la negoziazione di criteri valutativi che siano condivisi e trasparenti per la maggior parte dei soggetti in gioco, e che, quindi, superi le mediazioni necessarie rappresentate dalle quote e dalle conte mediante l’approdo a una nuova universalità, una nuova letteratura desiderabile, se vogliamo. Tutto questo, probabilmente, è e resta utopia.
Ti chiedo di scegliere da Nel pieno di nor tre testi e di riportarli qui per i lettori e le lettrici di Alma.
Ne scelgo uno da ognuna delle tre sezioni, dedicate, come in Sistemi, rispettivamente al dentro, al fuori e al noi.
Cordyceps, dalla sezione Parassiti
Non voglio mai più soffrire, rinunciare,
al compleanno il sassetto di MDA.
Il muro diventa d'acqua, mare aperto. Mercantili e cetacei si sollevano nel vento, sul fondale riposano statue monumentali.
Di sopra stendono direttamente sul tavolo. Non vedo le facce ma parlano e mi sorridono, credo –cantano tanti auguri.
Al risveglio le mani che mi tremano – un segno vuoto dell'odio che è rimasto. Fin qui solo un piccolo errore da parassiti, un desiderio.
Invece niente – tocco il corpo con cui ho dormito, mangio la colazione che ha comprato.
Penso questo una settimana, due.
Non dico nulla, non faccio
niente di male a nessuno.
***
dalla sezione: Ecosistemi
Essere non l’asfalto, né la banchina erbosa
di un tratto non scelto perché ho trent’anni e
come i bambini che non sanno arrivare al fiume,
dai sedili di dietro ascolto fatti
che non dovrebbero importarmi.
Per quanto non stiamo proprio parlando, sento
che nessuno sottende né tenta di discolparsi
e siamo innocui se rispondiamo. Addirittura
penso è stupenda la luce su queste case stasera
inscritta, con tutto il resto, nella sfera senza neve.
***
dalla sezione: Simbionti
(A. che mi guarda)
Stare al sole ti rende stupida, ma
essere stupidi è un modo per capire
che un altro corpo umano nonostante
le colonie di batteri lo vuoi ancora.
L’uso vivente del sole e della gioia
sono un esproprio nella termodinamica.
Il limite è deformato, le creature
vive quanto previste – in bagno
guardarsi è anche capirlo.
Vincerlo, invece, sarebbe darsi
al mare di LCL[1].
[1] Nel mondo della saga animata Evangelion, l’LCL è una sorta di liquido amniotico, zuppa primordiale in cui le anime si fondono una volta abbandonati i corpi.
Dimitri Milleri (1995) si è diplomato in chitarra classica sotto la guida di Stefano Grondona e Alfonso Borghese. Sue poesie e interventi di poetica sono ospitati in varie testate online, tra cui «pordenonelegge.it» e «Nazione indiana». È incluso nell’antologia Poeti italiani nati negli anni ‘80 e ‘90. Vol. I, a cura di Giulia Martini (Interno Poesia 2019). Ha pubblicato il libro di poesia Sistemi (Interno Poesia 2020, prefazione di Maria Borio). Dirige «lay0ut magazine» con Demetrio Marra, rivista di arte e cultura contemporanea. Insieme a Noemi Nagy traduce dall’ungherese e dal francese. Ha scritto per «Antinomie», l’«Atlante» di Treccani e il «Magazine» della Fondazione La Triennale di Milano. Come librettista ha collaborato con i compositori Andrea Gerratana e Riccardo Perugini.
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