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Immagine del redattoreGiuseppe Cavaleri

Nota di lettura a "Sequenze per sbagliare il bersaglio" di Giulio Maffii

Aggiornamento: 27 dic 2021

Apriamo la nuova sezione “ Le Contaminazioni” di Alma", dedicata a tutte quelle opere che dialogano con gli altri campi della creatività artistica, con una raccolta singolare e che per certi versi possiamo definire coraggiosa. Sì, perché Sequenze per sbagliare il bersaglio (Pietre vive editore, 2021) di Giulio Maffii forza i ranghi non solo della orizzontalità poetica, strizzando l’occhio alle avanguardie novecentesche, ma anche della consuetudine libraria stessa, con l’assenza di elementi para-testuali apparentemente imprescindibili come l’indice. Certo è che la lettura della raccolta richiede la presenza di un lettore forte, disposto a volte anche a negoziare il significato dell’interpretazione, perché nei versi incastonati all’interno dei layout standardizzati la sequenza stessa della lettura appare a volte incerta, altre volte obbligata, altre ancora ambigua.

Si ha la sensazione, infatti, che le griglie e i layout in cui Maffii inquadra versi come lampi, pensieri e lacerazioni siano allo stesso tempo gabbia e sentiero. Uno scontro tragicomico da cui tuttavia parte la dissoluzione e il fallimento di ogni possibile progetto di salvezza. I toni e le immagini hanno una forte matrice eliotiana. Impiegati che escono da pranzi di lavoro come uscissero da chiese richiamano proprio la folla («un tempo la gente – la gente la gente», così in un'altra poesia) indistinta che attraversava il London Bridge nella poesia dell’autore inglese.

L’impressione è che nella raccolta di Maffii tutto nasca già usurato. I versi rimangono rinchiusi nelle “prigioni informatiche” come il soggetto ormai rinchiuso nelle proprie formalizzazioni (estetiche, creative ma anche esistenziali, storiche) non riesce più a divincolarsi, a formare una crepa per trovare una risoluzione nuova, imprevista, sanguinosamente esposta.

Il risvolto dell’opera di Maffii è proprio la consapevolezza di questo progetto, la denuncia (sempre individuale, mai collettiva) di uno smarrimento che investe la totalità, se anche Dio è sempre chiamato in causa in minuscolo, sbriciolato («pezzetti di dio») e impelagato nelle «terre spente» (altro richiamo eliotiano) di una insignificante quotidianità. Se l’intera raccolta è programmaticamente concepita per non risolversi, per non centrarlo il bersaglio, allora la quête dell’autore si risolve nella scoperta che «tutto è separazione», nella disarmante constatazione che «non siamo necessari al mondo».


I versi procedono così sincopati senza comunicare tra di loro, sostenuti da una sintassi spezzata che avanza per compartimenti stagni. D’altronde la parola, che del verso è unità di misura, è «frattura esposta» e le poesie sono «alberghi a ore», aggrovigliate nella sessualità che prova a diventare amore, che anima la parte centrale della raccolta.

Nella raccolta di Maffii il rapporto tra poesia e immagini sfugge a qualsiasi sperimentabilità o teoretica, per cercare un nuovo equilibrio poetico lontano da una liricità egoriferita, dove è l’impellenza di un disagio, lo scollamento a tratti anche grottesco tra ascolto dell’interiorità e quotidianità, a far sì che la raccolta abbia un’urgenza poco concettuale, ma molto concreta, quasi vitale. Un po’ come quando si urla. È inutile, non serve, ma a volte se ne sente il bisogno per ricordare di non essere sordi o almeno, per essere consapevoli della «gabbia di sordi un cui hai vissuto». La pagina nera alla fine della raccolta diventa così l’implosione del soggetto, del poeta in questo caso, che di fronte alla complessità e all’abbondanza dei simboli e delle parole che gli stanno attorno, si richiude in sé stesso, denunciando il fallimento di qualsiasi possibile comprensione, l’impossibilità di centrare qualsiasi bersaglio, esistenziale poetico artistico che sia.









Giulio Maffii ha diretto la collana di poesia contemporanea per le Edizioni Il Foglio. È stato capo redattore della testata giornalistica “Carteggi Letterari” e adesso per la rivista “Atelier”. Suoi lavori sono stati tradotti in spagnolo, inglese e romeno. Nel 2013 è uscito per Marco Saya Edizioni il saggio breve Le mucche non leggono Montale. Nel 2014 ha pubblicato per Marco Saya Edizioni Misinabì poemetto basato sui miti della morte degli Indios Taino. Sempre nel 2014 il saggio L’Io cantore e narrante dagli aedi ai poeti domenicali: orazion picciola sulla parabola dell’epos per Bonanno Editore. Nel 2015 il poema storico Il ballo delle riluttanti per Lamantica Edizioni e nel 2016 Giusto un tarlo sulla trave per Marco Saya Edizioni. Nel 2018 Angina d’amour (Arcipelago Itaca ed.). Recentemente ha pubblicato per la storica rivista scientifica “Archivio per l’antropologia e l’etnologia” : Con i piedi in avanti: la lunga passeggiata di anthropos e thanatos tra poesia e vizi simili. Scrive per la Compagnia teatrale Bubamara Teatro. Il suo ultimo lavoro di poesia visiva è Sequenze per sbagliare il bersaglio per Pietre vive editore. Fa parte dell’associazione Pallaio per gli studi antropologici e multidisciplinari di Firenze. È docente di storia contemporanea presso il corso di laurea in Scienze giuridiche della sicurezza.






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