Intervista a Giancarlo Sissa
Questa è l'intervista che Alessandra Corbetta ha fatto a Giancarlo Sissa; il dialogo si chiude con un inedito che Sissa regala ad Alma e a tutti i suoi lettori, a partire dal quale Francesco Destro ha realizzato una suggestiva videopoesia.
Archivio del padre (MC Edizioni 2020) dà, fin dal titolo, l’idea di un lavorio attento e minuzioso svolto al fine di creare ordine, di rendere possibile una catalogazione; eppure l’oggetto di questa intensa attività è il “padre”, da intendersi come figura genitoriale specifica e personale ma anche come archetipo (il Pater di Jung) e pure in qualità di energia maschile generatrice. Chi è per lei questo padre, da dove arriva e verso cosa porta la necessità di crearne un archivio? In Archivio del Padre racconto ciò che ricordo di mio padre, della sua vita, dei suoi gesti, cercando di aprire minimi varchi luminosi nella cortina opaca del tempo. È abbastanza chiaro che il tono talvolta fiabesco e sognante di alcuni frammenti fanno riferimento anche a una dimensione archetipica che la figura stessa del pater implica e comporta. Ed è anche a questa suggestione liquida e fluente che mi sono lasciato andare scrivendo – le ceneri di mio padre sono state per sua volontà affidate a un’isola di fiori di loto che le acque del Mincio ospitano in uno dei tre laghi che creano attorno a Mantova. L’energia creatrice poi, per quanto mi riguarda, preferisco pensarla al femminile, il maschile è per l’occasione un servo felice, nella migliore delle ipotesi uno sciamano che impara, difende e restituisce antichi saperi. La successione dei testi, in Archivio del padre, è scandita dall’indicazione precisa di date che, in qualche modo, conferiscono all’opera una struttura diaristica, nella quale la dimensione spazio- temporale, nella sua precipua definizione, sembra volere fungere da cornice a ciò che, invece, è impossibile fissare con altrettanta circostanza e cioè il rapporto assenza/presenza. Come si declina questo binomio all’interno della raccolta? È possibile fare convivere, e se sì come, fantasmi e bambini? Partirei da una considerazione che mi verrebbe da dare per scontata: diario e calendario sono una poetica naturale, la morte obbedisce sempre al numero, della morte si dice che sia l’ora che non ha sorelle, per questo rappresenta un confine certo, nella migliore delle ipotesi una frontiera di cui non conosciamo la dogana. Bambini e fantasmi poi, convivono da sempre e in modo molto naturale, per il bimbo le dimensioni fantasmatica e fantastica dell’esistenza sono intatte, evidenti. È l’adulto che, strada facendo, prende le distanze, in modo scellerato e presuntuoso, dalla dimensione mitica e fiabesca, salvo poi interiorizzare i propri fantasmi fino a farne malattia. Assenza e presenza sono le parole che usiamo per rendere incontestabile l’evidenza dei fatti – come se ce ne fosse bisogno – e però portano con sé anche una parte contestabile, relativizzabile, è antico il pensiero che i morti non siano assenti bensì invisibili. Nei suoi ultimi giorni mio padre intratteneva un dialogo serrato con i suoi fantasmi, e la poesia, se ci si pensa con attenzione, lo fa da sempre.
Domenica 28 ottobre 2018 Viene il giorno che finalmente non contiamo più nulla e siamo pezzi di sole presi in una pietra. Imbozzolati nella voce. Nel silenzio della voce. Nell’inchiostro d’autunno. Della voce.
Padre l’acqua non sbaglierà direzione. La barca sbatterà vuota ai cancelli. Ogni cosa sarà lucina d’autunno. In questa poesia tratta sempre da Archivio del padre c’è una voluta ripetizione della parola “voce”: voce che avvolge, voce muta, voce chiamata a dire. Cosa rappresenta per lei la voce e in che rapporto la pone rispetto alla parola prima e alla poesia poi? La voce, parola grata e al tempo stesso sfuggente, suoni originati dalle vibrazioni del pensiero, concretezza musicale delle nostre intenzioni, delle nostre ipotesi, gesti sonori dell’anima. Nel pensare la voce mi soccorre, oltre a una ormai lunga sequenza (almeno trentennale) di letture in pubblico, anche la frequentazione del teatro, al servizio del quale ho operato più volte nei panni di “diarista” in scena e/o narratore (in passato con il Teatro delle Ariette e presentemente nell’ambito del work in progress “Rosaspina – il tempo del sogno” scritto e portato in scena da Alessandra Gabriela Baldoni) dove la voce diventa misura del respiro, traduzione di prossimità e distanze – da se stessi, da un personaggio, dal mondo – musica e passo di danza pronunciato, restituito a chi ascolta. Senza contare la voce muta del silenzioso che riecheggia nella sua stessa attenzione. O la voce del bambino che mormora fra sé e sé le parole che va leggendo.
In Persona minore (qudulibri 2015), altro ottimo esempio di prosa poetica dopo Il bambino perfetto (Manni 2008), lei continua una ricerca di canto e di temi iniziata anni prima con le sue opere in versi. Vuole raccontarci cosa la porta a scrivere ora in un modo ora nell’altro e come riesce a tenere però sempre teso il filo unico della sua poetica? Il passaggio dal verso alla prosa lirica era già avvenuto con Il bambino perfetto nel 2008 e traeva origine dallo snodo – stilistico oltre che esistenziale – che Manuale d’insonnia aveva rappresentato nel 2004. Lì la lingua poetica subiva una slogatura, rima e musicalità si ribellavano a ogni addomesticamento formale, iniziavano ad ammutinarsi, chiedevano – imponevano – un atto di disubbidienza, una migliore approssimazione a gesti di libertà. La riconoscibilità di una certa musica interiore non mi sembrava più adatta a svelare il dolore, l’impegno, la disillusione, l’incandescenza dell’amore, del ricordo, dell’autobiografia. Il linguaggio si allenava, nei lunghi anni di frequentazione del poème en prose, a frangersi nel verso/prosa di Archivio del Padre, si predisponeva a slogarsi, a balbettare, ad assumere le intermittenze di una ricezione disturbata. Oggi, le due istanze – quella più lirica e musicale e quella più franta e sperimentale – convivono, come è giusto che sia dopo essersi così a lungo amate a distanza. Vorrei spostare la conversazione sul discorso relativo a poesia e Rete, di cui Alma è attenta a raccogliere testimonianze. Sappiamo che il dibattito attuale si muove passando da una posizione all’altra, riassumibili in “la Rete sta rovinando la poesia” oppure “la Rete salverà la poesia”. In questa dicotomia, semplificatrice e banalizzante di un fenomenoben più complesso, si intravede, però, una realtà indiscutibile e cioè che i nuovi linguaggi della Rete hanno avuto un impatto rilevantesu quelli poetici, in termini di comunicazione, diffusione e, forse, anchesu forme e contenuti. Qual è la sua posizione a riguardo? Come vede il futuro della poesia in relazione alle sue interconnessioni con il Web?
È una domanda alla quale non sono certo di poter rispondere con esattezza. Trovo la rete più divertente – ma a volte desolante - che intelligente. Intendo dire che la capacità che la comunicazione in rete ha di velocizzare, da una parte, e di amplificare, dall’altra, il messaggio, espone a situazioni di severo imbarazzo coloro i quali non sappiano ben distinguere la velocità del mezzo dalla lentezza insita nel processo creativo. La poesia non vuole fretta, né quando si legge né quando si scrive, e si potrebbe – si dovrebbe? – considerare piuttosto come un severo esercizio di attenzione, di ascolto, di adesione e … di studio. Di per sé la rete non sarebbe un ostacolo, tutto dipende da come ognuno di noi si pone. Mi ha sempre fatto sorridere, al riguardo, la geniale battuta che dice che “avere molti amici (o like) sui social è come avere molti soldi a Monopoli”, ci penserei con calma.
Siamo nel 2023, eppure il dibattito intorno alla questione del gender in poesia sembra non essersi ancora esaurita: da una parte ci si continua a chiedere se, in effetti, la poesia possa averne uno o se, in quanto arte, prescinda da qualsiasi suddivisione a riguardo; dall’altra l’inevitabile constatazione della prevalenza di poeti uomini nelle antologie scolastiche e pure nel panorama poetico contemporaneo.
Anche alla luce della preponderanza che il tema del femminile sta assumendo nel dibattito odierno tout-court, come inquadra l’argomento e qual è la sua opinione a riguardo? Soprattutto, prevede un’evoluzione verso altre traiettorie per un futuro prossimo?
Credo non vi sfugga il fatto che la risposta a questa domanda non sopporta semplificazioni né generalizzazioni di sorta, per tentare di rispondere in modo esauriente occorrerebbe scrivere un saggio, o piuttosto provarci. Mi limito quindi a osservare che perché esista una poesia occorrono almeno due poeti, vale a dire chi la scrive e chi la legge. In questo rapporto, in questa relazione si giocano il senso, il significato e l’amore che ognuno di noi dà o non dà al suo stare al mondo, di fronte al mondo, nel mondo. Il resto viene di conseguenza, credo.
La consuetudine delle interviste di Alma è quella di andare a frugare nei cassetti di ogni autore per scovare un inedito.
Nei suoi ne ha uno da condividere con noi? Gliene saremmo molto grati.
Forse il dono fu leggere la neve
o il sapere di non volere più mentire
nell’improvviso sbattere di imposte al vento
di un temporale – non volerne più
del vostro sfinito e corrotto male
correggere non è guarire, non è salvare,
bensì ostinarsi a non sbagliare, sostare
nel miracolo dell’attesa, della resa,
preghiera ossessiva del mare, stremate
parole che non sanno dirsi, ascoltare
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