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Immagine del redattoreSara Serenelli

«In questo esistere ovunque»: recensione a "Grado zero" di Carlotta Cicci

Nel 1953 usciva un saggio importantissimo di Roland Barthes: Il grado zero della scrittura. Tra le altre cose Barthes, in questo suo lavoro, sottolineava la crisi che stava vivendo la letteratura ormai divenuta codice e tradizione nel suo scontrarsi con il piano della realtà. Uno scontro che determinerebbe, per lo scrittore, la regressione della scrittura al suo grado zero ovvero ad una forma priva di retaggio; ciò avviene per Barthes nella «scrittura bianca» di Camus o nella «scrittura parlata» di Queneau. La scrittura al grado zero sarebbe dunque una scrittura «lontana dal linguaggio parlato e da quello letterario propriamente detto», una scrittura «dove i caratteri sociali o mitici di un linguaggio si annullano a vantaggio di uno stato neutro o inerte della forma». Al di là al titolo, la lettura della seconda opera poetica di Carlotta Cicci, Grado zero (MC Edizioni, 2023), mi ha ricordato e riportato alla mente il saggio di Barthes: il grado zero della poesia di Cicci è quello di un dettato nudo, essenziale ma mai scarno, che fonda le proprie radici in qualcosa di primordiale che non rinfaccia la realtà, anzi proprio quando è più visionaria tanto più la sentiamo vera e autentica: «nel mio grado zero ho posato l’umanità». Questa seconda raccolta giunge a breve distanza dalla silloge dell’esordio poetico Sul banco dei pesci (L’arcolaio, 2022), e ne è a un tempo continuazione e superamento, una raccolta dove analisi autobiografica, misticismo, slancio visionario si compenetrano a farsi portavoce di un’esperienza collettiva di ritorno a ciò che è afflato umano tanto vitale quanto doloroso e mortifero, un ritorno a ciò che in noi è radicato tenacemente alla terra, all’incontro con il mondo in cui siamo calati, a tutto ciò che ci fa essere animali e a tutto ciò che dagli animali ci distingue. Cicci fa del frammento la sua misura esemplare: sono detriti, residui, sedimenti i suoi versi che sembrano rappresentare l’instabilità di una condizione precaria, il complesso tentativo di rapportarsi con il mondo fenomenico («i tentativi di salire in superficie. / nelle nostre ore vere.»), la tenace contrazione nel cercare di non sentirsi insufficienti davanti a questo («e danzo / con più violenza nel luogo / dello sconforto.»; «volteggiano i corvi nella stanza. / mi proclamano orfana.»; «quell’angolo dove sconfiggi la morte nera»; «la bellezza / è misericordia. ci attende.»). Cicci monta smonta e rimonta i versi: un montaggio mai scontato di immagini e parole si dà sulla pagina a denunciare lo sguardo filmico della poetessa:

 

come il corvo profeta purifico

gli orrori. onoro. nutro. veglio.

sono l’animale che fa la tana in te.

 

mi chiudo nel fruscio. allungo il collo.

sorveglio i pascoli. sbraito contro

gli aggressori. vigilo pietre e germogli.

 

la paura cambia tutto. come una buca

nella luce. bisogna giurare di essere vivi.

prego te. prego per te. consacro

la tua bocca con pane e miele.

 

brucio tutti i templi. nella tentazione

della promessa. batto colpi di gioia

sui tuoi polsi. ti chiamo alla finestra

per governare il nostro destino.

 

per le nostre nozze sarò nuda.

per le nostre insonnie.

per le nostre risa. e tu sii imperioso.

sii nostro come un albero secolare.

 

Alma Poesia, Carlotta Cicci, Copertina

Una materia magmatica a tratti sfuggente che è tenuta insieme dalla voce riconoscibile di Cicci. Grado zero è un libro di poesia visionaria dove un’immagine ne nutre subitamente un’altra in una serie di fotogrammi che si danno come un flusso calibrato. L’immagine, le immagini sono centrali in questa raccolta con una minuziosa attenzione ai particolari: la rappresentazione visiva della realtà dove Cicci ci conduce, permette di seguire anche le più minime angolazioni dell’inquadratura, di cogliere l’abissale cupo del buio, intendere che piega prenderà la luce. Luci e ombre, buio e accensioni sono difatti due degli elementi dicotomici che dialogano sulla pagina:  


sono apparsa nobile ai martiri.

ho deformi artigli che scavano

fossi. nel mio occhio dietro

la pena custodisco la spiaggia

dove resuscito i vivi dopo i morti.

 

c’è grandezza. la stanza è irrequieta.

è il taglio alto della luce. là dove taccio

mi vedi e non chiedi tutte quelle cose

vere. e la tua bocca sembra una parola.

 

Anche la struttura dei testi e la loro costruzione sono del tutto particolari: l’unica punteggiatura presente nella raccolta è il punto fermo, senza mai l’utilizzo delle maiuscole. Il punto fermo non ha però valore sintattico, serve piuttosto, mi sembra, per spezzare il fiato e il ritmo, cambiare inquadratura, protendersi verso un’altra visione. È come se Cicci segnalasse a noi lettori i punti dove si incrina l’andatura, ci indicasse dove va ricalibrato il passo, ci accompagnasse a seguire il battito dei suoi versi. E di tanto sulla pagina appaiono dei versi isolati in corsivo che impongono una pausa all’avanzata delle immagini, ci costringono a rallentare il passo, sospendono per un attimo il fluire serrato delle visioni. Visioni che vengono da fuori e vengono da dentro. L’occhio interiore della poetessa scruta e noi con lei mentre compone i suoi gesti e trascrive ciò che la visione le detta. A leggerli questi versi sembra quasi di assistere a una confessione ora delicata, ora violenta. Una confessione che si articola nelle tre sezioni principali della raccolta: la prima, Mondo offeso e la seconda Io come animale, che fanno perno attorno alla terza e ultima Tulipani neri la più corposa e strutturale delle tre. Ad aprire la raccolta prima delle tre sezioni c’è il componimento/poemetto «ancora vergine con la luna in cancro», seguito dal poemetto Roma: Roma che è casa, geometria a cui si torna e che sempre fa da riferimento, una madre multiforme, contrastiva, che non trova pace e non può trovarla, una città che non dorme mai: «credo a Roma senza ritegno», scrive Cicci, a quella Roma «furtiva tra i cipressi le edere e i suoi morti», che «implacabile continua a girare. / come un serpente tra antiche offese». Un altro luogo e al momento un altro tempo importante della raccolta è l’adolescenza, che rappresenta l’attimo prima della contaminazione, l’attimo prima dell’inizio della corruzione, un attimo insieme doloroso e felice, difficile e fluido. L’adolescenza di una «per sempre ragazza», che si identifica come il momento di espansione e prolungamento di ogni istanza e sua messa in gioco. Istanze che arrivano d’improvviso, come insight, alla nostra consapevolezza e in qualche modo ci rimangono: per sempre. Questi versi consegnano tra le altre cose anche questo al mondo: il tempo dell’adolescenza, il tempo violento dell’estrema tenerezza. E consegnarla al mondo è capirla, comprenderla. A partire da quell’io che è luogo dell’onestà e dell’integrità, Cicci cerca di donarci le visioni che vive animate da uno stretto rapporto con la terra, con gli animali, soprattutto nella presenza ornitologica fortissima. A dare luce, chiarezza a queste visioni sulla scena poetica stanno un gran numero di similitudini e metafore. Nei frammenti di similitudini o metafore si concentra, in una sola immagine, un tutto. In esse si rapprende il tempo, tutto il tempo che finisce per non esistere, collocando immagini e visioni poetiche fuori dall’asse cronologico. Con le similitudini e le metafore Cicci cerca di rendere immobile ciò che sfugge per sua natura: sono le forze umane a essere in qualche modo immobilizzate. Quelle forze umane che sono invece quasi mai facilmente spiegabili e sfuggenti nella loro intensità e per la loro sacralità. Nella poesia di Cicci, come si cominciava a dire, il tempo svanisce e alterata è la percezione di esso. E proprio quando il tempo svanisce, le cose possono essere davvero colte nella loro essenza, possono restare sulla pagina e fuori da essa, illuminate; rimanere quelle che sono, non consumate e non consumabili. Bianche. È il colore che domina nella raccolta che sta a significante di tutto ciò che è giusto e incontaminato. Il bianco che si pone in dialogo con altri due colori che mi sembrano emergere con forza nei versi di Cicci: il nero e il rosso.


la volpe mi spia. siamo amanti risorti

al di qua. un asilo dal mio lago nero.

 

cerco le ossa da ricomporre. ti attraverso

bianca nel regno dove risale il rosso

e splende il nero.

 

precipito nella tregua dopo l’assedio.

guardo il segreto dei segni. gli attimi

del centro. sono sposa schierata.

 

C’è infatti ad attraversare tutta la raccolta un continuo muoversi tra le sfumature cromatiche, ora disvelate ora no, degli estremi di noi stessi, dell’umano e del mondo tutto. Un movimento tra gli estremi intesi e resi da varie angolature: c’è una oscillazione continua tra polarità opposte: buio e luce, nascita e morte, mistico e profano, umano e non umano, dentro e fuori, l’ignoto e ciò che conosciamo. Una serie di dicotomie non risolvibili né riducibili che portano a muovere la penna di Cicci nel terreno di ciò che è sacrale. Parrebbe emergere, nel leggere i versi di Cicci, la concezione di vita come divinazione, di esistenza come rito e rituale («è rituale. il rosario è illuminato. / si spalanca uno spazio profondo. / tutto sarà specchio. anche il corpo. / sgretolato e indagato nell’ora delle ossa.»). Un sacrale che sembrerebbe darsi come un tentativo di giustificare e spiegare l’ignoto. Eppure dall’altro lato la poesia di Cicci parrebbe credere solo a quel che sente e vede, nel e del mondo, mentre i riferimenti seppur copiosi alla religiosità finiscono per rappresentare una grande metafora e un grande emblema: la metafora per eccellenza. In Tulipani neri Cicci compie la più convincente operazione di saldatura tra alto e basso, tra mistico e profano, tra vita e morte. Percosso costantemente da queste polarità è l’essere umano, umano che non nega e non può mai negare di essere animale, un animale spinto dalle paure e corrotto dalle sue fragilità, che non può far altro, per sconfiggere l’horror vacui e la paura, che mettersi sulla strada della ricerca, ascoltando il suo slancio mai esausto verso la conoscenza.


Carlotta Cicci, Alma Poesia

Carlotta Cicci, poeta, fotografa, videomaker nata a Roma nel 1984, dal 2016 vive e lavora a Bologna. Ha curato riprese, fotografia e montaggio di vari video dedicati a eventi istituzionali e culturali tra Bologna e provincia oltre a realizzare diversi format video per web e TV. Dal 2016 ha lavorato in progetti documentari selezionati in vari Festival che hanno ottenuto riconoscimenti internazionali. Suoi i progetti fotografici: M-MILANO, R-ROMA, T-TRANSITO, V-Voci del mio viso. Attualmente cura e realizza con Stefano Massari il Format videopoesia zona|disforme. ​Nel mese di luglio 2022 pubblica la sua opera prima in poesia: Sul Banco dei pesci (L’arcolaio editrice) con prefazione di Alberto Bertoni e nel 2023 Grado Zero (MC edizioni).

 



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