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Immagine del redattoreAlessandra Corbetta

«Il sonno non mi appartiene»: recensione a "Hotel Aster" di Mariagiorgia Ulbar

Una delle prime domande che ci si pone di fronte a un testo è cosa sia da un punto di vista formale, in quale genere e categoria possa essere inserito; e se questa operazione, necessaria ai nostri bisogni di semplificazione della complessità, ha delle buone ragioni d’essere, in alcuni casi non riesce a essere soddisfatta, perché quello con cui si deve interagire è qualcosa che sfugge a qualsiasi tentativo di incasellamento, qualcosa che, se ben fatto, ha già in partenza il valore aggiunto di stare sulla linea di mezzo dell’ibridazione o della multidisciplinarità o, più genericamente, dell’abbattimento di staccionate funzionali più a noi che all’opera in sé.

Hotel Aster, ultimo lavoro di Mariagiorgia Ulbar uscito per Amos Edizioni nel 2022, si colloca proprio in questo spazio di impossibilità definitoria, dal momento che qualsiasi etichetta – poesia, prosa poetica, racconto in versi – risulterebbe parziale e comunque non esaustiva rispetto al corpus di testi proposto dall’autrice che, infatti, in un’intervista rilasciata a Ernesto Vergani, ne parla come di «una storia in frammenti dove il linguaggio si definisce poetico per la portata metaforica e l'uso di determinati stilemi e di un ritmo». E, in effetti, questa visione ben si addice alla raccolta, che nonostante le peculiarità distintive rispetto alla produzione precedente di Ulbar, ne continua il percorso, configurandosi come un tassello ulteriore e completivo di cui mantiene quella raffinatezza e quella densità del verso caratteristiche dello scrivere della poeta.

Punto di partenza è il crollo di un edificio, l’Hotel Aster appunto, in seguito a un evento sismico che lo distrugge per buona parte:


Eppure non mi sembrava grave. Avevo disturbato?

Non lo credevo quando entrai in quel luogo e ancora oggi

non lo credo, sebbene sia trascorso molto tempo, sebbene io

abbia seguito il programma e gran parte delle persone incontrate

all’epoca siano scomparse.

In seguito al grande terremoto, l’asse terrestre si spostò di alcuni

centimetri e molte cose cambiarono. L’Hotel Aster crollò

sul lato occidentale.

Ci furono ore di stasi dopo quel grande rumore, poi tutti

uscirono, lentamente, abbacinati dalla luce, e si persero nella

macchia.



Ulbar, fin da questo testo iniziale, ci pone di fronte a tre elementi che rimarranno nodi focali di tutta la raccolta: un io che resta indefinito, protagonista e allo stesso tempo rappresentato sempre come in procinto di, sul margine di qualcosa, anche della sua stessa esistenza; la convivenza tra ciò che è andato perduto e quello che resta, con evidente rimando al tema della perdita e della memoria; l’arbitrarietà del tempo, che in bilico tra krònos e kairòs, muta irreversibilmente il corso degli eventi.

La scrittura procede spesso per elenchi, relativi a oggetti o ad azioni, che nella loro totalità scandiscono un andamento volutamente ridondante con il quale Ulbar riesce a rappresentare efficacemente l’incertezza del percorso e anche il suo procedere frastagliato, interrotto com’è da dubbi e domande che diventano un tutt’uno con azioni quotidiane, rese spesso botole tramite cui accedere a spazi più ampi di riflessione; diversi esempi interessanti a questo proposito, tra cui quelli legati al sonno e alla paura, sui quali più volte Ulbar ritorna:


[…]

Il sonno non mi appartiene o

mi appartiene quanto la morte,

come termine che allude alla rovina o a una liberazione

dal sapore orgonico.


*


[…]

Non incontrai

la paura – poiché il terzo elemento perché la manifestazione

avvenga è l’inconsapevolezza del passante – ma feci

alcuni altri memorabili incontri, su cui, tranne un paio

di eccezioni, sono tenuta a mantenere completo riserbo e

segreto, per avere, a quel tempo, giurato sulla vita stessa.


Dall’inizio alla fine Hotel Aster, nonostante la precisa indicazione logistica del titolo, determina nel lettore un forte senso di spaesamento e claustrofobia, rendendolo continuamente incerto su dove sia, in chi compagnia di chi e, soprattutto, in quale tempo sia collocato ciò che sta leggendo e verso quale direzione spazio-temporale si stia muovendo; Ulbar è molto brava a non creare mai sospensione rispetto a questa condizione, determinando così una totale sovrapposizione tra chi scrive e chi legge anche se, più correttamente, bisognerebbe dire tra chi scrive e chi osserva, poiché in questi testi la parola diventa in modo tangibile immagine e ogni verso sequenza e ogni componimento cortometraggio.


[…]

Per una manciata

di ore ho viaggiato in auto, in seguito ho dormito in una

stanza gialla, vicino a un fosso, per tutta la notte, una notte

di sonno agitato, l’ombra di un’enorme falena scura ha viaggiato

lungo i muri, velato la lampada accesa, ha parlato la

sua lingua di malpresagio e fatto paragoni tra il suo corpo

lungo, tozzo, grigio e peloso e il mio, bianco, riempito di

un umore che è la chiave della scontentezza. Più tardi mi

ricorderò della farfalla, di una strada di curve, di un gelo

improvviso e un odore pungente di cloroformio.


*


La fase della stasi era un divano.

Tutto durante la stasi era blu notte, nero o grigio grafite.

Non avevo pensieri. La luce cambiava a seconda della stagione,

attraverso la stessa finestra.


Avrei potuto nutrirmi senza spostarmi, come un

camaleonte, allungando la lingua. I bisogni erano pochi:

l’acqua, il cibo, le parole. Potevo soddisfarli tutti allungando

la lingua.


In un viaggio per certi aspetti senza spostamento, in una stagione estiva che sembra non volere lasciare spazio alle altre, Ulbar dà prova, con Hotel Aster di un uso interessante e originale della parola poetica, riuscendo a porre sotto luce intensa e nuova il tema sempiterno e inesauribile dell’esperienza umana, sospesa tra giallo, bianco e altri colori di cui ancora non conosciamo il nome.


Mariagiorgia Ulbar ha pubblicato I fiori dolci e le foglie velenose (Maremmi 2012), la silloge “Su pietre tagliate e smosse” all’interno dell’Undicesimo quaderno italiano di poesia contemporanea (Marcos y Marcos 2012), le plaquette illustrate Osnabrück e Transcontinentale (Collana Isola 2013), la raccolta Gli eroi sono gli eroi (Marcos y Marcos 2015), Un bestiario (Nervi Edizioni 2015) e Lighea (Elliot 2018). Hotel Aster è la sua ultima pubblicazione. Insegna, traduce, modella la ceramica e tiene laboratori di "scrittura e immaginazione". Dal 2012 è editrice e curatrice di La Collana Isola che pubblica piccoli libri sperimentali di poesia e illustrazione. Nel 2021 ha avviato il progetto Gea’s Dinner, un esperimento di testi poetici in frammenti su oggetti di ceramica da lei foggiati.

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