«Il fango è ovunque»: recensione a "L'amore e tutto il resto" di Andrea Temporelli
Non vi è dubbio alcuno che questo libro di Andrea Temporelli, L’amore e tutto il resto, uscito per Interlinea nel 2023, sia prima ancora che un libro di poesia, un libro sulla poesia. Non, come troppo spesso accade ad alcuni poeti, un libro di meta poesia in cui l’autore ci squaderna davanti i ferri – un po’ arrugginiti – del suo mestiere, o ci ammorba con le sue dissertazioni più o meno filosofiche sul senso della scrittura, ma un libro sulla poesia in assoluto in cui Temporelli ci mostra in maniera lampante, e lucida, che cosa possa la poesia, quanto accolga e compendi attraverso la sua parola, quanto infine sia tragicamente fallibile, come è fallibile qualsiasi azione umana.
D’altronde alla poesia, come ci avverte sottovoce in qualche angolo di questo libro, quasi chiosando le sue stesse parole e risparmiandoci quella solennità un po’ fasulla degli “altri” poeti – quelli della meta poesia, per capirci – spetta il compito arduo di «liberare / il torsolo di morte / dal marmo del sudario», non di esorcizzarla quella morte, ma di sottrarla al “gorgo”, all’immobilità, alla paralisi e il poeta per sua stessa natura lungo questo discrimine, lungo questo confine – quello tra morte e vita, ma anche quello tra la luce il buio – si muove come un “funambolo”, portando a termine il suo percorso, tra lo scrosciare degli applausi, senza cedere alla tentazione del vuoto, salvandosi, aggiungerei, dalla minaccia di essere trascinato in quel “gorgo” che guarda e racconta.
Ecco, credo non si possa comprendere il senso profondo di questo libro e neppure approcciarsi alla scrittura di Temporelli, una scrittura che solo a tratti ci pare chiara e intellegibile, ma che nasconde un ermetismo, sapientemente addolcito dal tono affabulatorio e lieve, senza aver metabolizzato questo fatto. E quella levità, quella leggerezza, solo apparente e abilmente cadenzata da un verso che ci risuona nella testa e un po’ ci inganna, ha la capacità di farci dimenticare che ci troviamo di fronte a un libro, più o meno antologico, che abbraccia un quarto di secolo – un lasso di tempo piuttosto lungo, perfino per un poeta – e che non dobbiamo pensare necessariamente a questo libro né come un bilancio, né come un lascito, ma piuttosto come una partitura che quei nove “movimenti”, quelle nove sezioni, brevi o brevissime, così diverse tra loro eppure così simili, rendono armonica.
Dico questo perché la verità è che in questo libro c’è tantissimo: c’è il mondo privato, personalissimo di Temporelli, c’è il suo sguardo sulle cose – soprattutto questo – ci sono le cose e c’è la riflessione su quelle cose, c’è l’io del poeta e ci sono tante altre voci, che non capiamo quanto siano un’emanazione di quell’io o arrivino da fuori, da qualche parte, e trovino un incontro dentro la sua pagina, c’è la solitudine, quella dell’io e del poeta, e c’è l’aggregazione, il trovarsi, il riunirsi, che sia quello di un cortile dell’infanzia, di una partita di calcio, di una famiglia che pure resiste solo nelle foto o in un’insegna un po’ lisa. C’è, e questo lo avverto come una spina piantata nel fianco dopo ogni verso, un senso di malinconia che non si riesce a spiegare, come se tutti fossero andati e fossimo rimasti da soli, con quelle voci, a raccontarci o a raccontarcela.
A questo punto pure quel titolo ci abbaglia e ci tramortisce, come se l’amore, la cosa più inspiegabile e indefinibile dell’universo, perfino per i poeti che ci sono campati per secoli, fosse un balsamo che tutto allevia, anche quella malinconia costante e dolorosa che ci resta nella bocca, e nel petto. Ma forse, mi dico, la chiave di volta non è tanto nell’amore, ma in tutto il resto, e in tutto quel resto c’è perfino la morte, e il dolore e l’abbandono, tutto quello che ci trafigge e ci tormenta, che ci rende così tristemente umani, e l’amore, lungi dall’essere un qualcosa che si possa definire, quell’amore che così tanti amori contiene, è piuttosto una prospettiva, una direzione, un miraggio senza il quale non sopporteremmo tutto il resto, neppure il vivere.
Figlio di un fiore e di un piccolo merlo, Andrea Temporelli con la poesia ha esplorato Il cielo di Marte (Einaudi, Torino 2005), prima di far ritorno alla Terramadre (Il Ponte del Sale, Rovigo 2012), ma i conti con il mondo letterario contemporaneo li ha risolti con il romanzo Tutte le voci di questo aldilà (Guaraldi, Rimini 2015) e con il volume di interventi critici militanti Smarcamenti, affondi e fughe (Ladolfi, Borgomanero 2016). Insegna nella scuola secondaria a Borgomanero (dove è nato nel 1973) e interviene su YouTube con un personale Dis/corso di scrittura creativa, che s’interroga sul senso della scrittura in un tempo in cui la società letteraria non esiste più. Se n’era già accorto nel 2005 quando, con il suo vero nome, aveva pubblicato presso Interlinea Poeti nel limbo. Studio sulla “generazione perduta” e sulla fine della tradizione.
Comments