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Immagine del redattoreFrancesco Destro

«Ho inseguito la tua immagine»: recensione a “Il coraggio necessario” di Luca Lanfredi

Scriveva Pierluigi Cappello che «Non si tratta di riempire, / si tratta di far parlare il vuoto». Il richiamo qui è doppio: per i versi e per il titolo della poesia da cui sono tratti, Scritta da un margine.

In effetti, leggendo la raccolta di Luca Lanfredi Il coraggio necessario (Lamantica Edizioni 2019) si hanno entrambe queste sensazioni. Che il poeta tenti di far parlare un vuoto e che per la maggior parte del tempo si metta discosto, aderendo a parole non accusatorie, non moraleggianti, ma evocative. Lo suggerisce anche il prefatore Mauro Germani, parlando di una poesia «sommessa, incrinata dal vuoto».

Un vuoto fatto anche di semi-epifanie, frammenti di dialogo ed episodi “rivelatori” di un significato che tuttavia sfugge, in cui è posto in perfetta evidenza un prima e un dopo, suggerendo una certa incostanza nel lineare tempo dell’esistenza. Un’esistenza che, nel momento in cui è chiamata dal poeta a rivelarsi, sembra destinata a perdersi o a restare incerta. «E ancora: «Io non ti voglio più vedere», / disse l'uomo fermo sotto la luce rossa, / difeso dalla trave di sostegno, / la voce ferma, le mani mosse a cenni / vuoti e pieni. / «Né qui né lì», disse, parlando non da solo. / Che ora qui la vita, adesso, è vita d’altra cosa.».

A modo suo, apprezzabile e riconoscibile, Lanfredi rappresenta molto bene l’esempio di chi esercita la propria arte come presa di coscienza, in un tentativo di appropriarsi del dono di sentire e di vedere oltre, in un rapporto continuo fra passato e presente. In questa raccolta, il ricordo non è solo tema, ma parola più volte esplicita («Non un ricordo attento dei miei passi»; «Quello che ricordo di non avere detto»; «Del mare ho un ricordo ancora nuovo»); e quel suo tornare indietro, evidenziando più discorsi lasciati aperti e incompiuti emerge già nella prima sezione, Prima del tempo, con la ripetuta (ma non costante) particolarità dell’ “E” a inizio poesia: «E come segnalibro, adesso, / lo scatto in posa della ballerina.»; <«E dopo ridere di questa idea sgualcita / come se fosse ancora pioggia là fuori.».

Ed è verissimo quello che afferma Germani sempre nella prefazione, quando scrive che «con la sua poesia, accosta ed allontana, mette a fuoco e dissolve […] lasciando rivelazioni d’esistenza e ipotesi di realtà». In un certo senso, sono immagini che si pongono come un limite rispetto all’indefinito; immagini che tendono all’intimità di ciò che sussiste ancora nel vuoto, come direbbe Blanchot. E infatti, con una scrittura notevolmente efficace e un linguaggio semplice, quasi dimesso ma curato, fatto anche di eccezioni che impreziosiscono e non stonano nella tessitura del testo, Lanfredi ci dona poesie brevi con versi liberi, le cui immagini raccontano un’intimità, un rapporto col quotidiano che va oltre il poeta, cercando di comprenderlo in immanenza e trascendenza.

Sempre, e qui ancora una volta il segno di bravura e consapevolezza, lasciando chi legge con una sensazione di incerto e di irrisolto, in un alternarsi di ricordi e condizione presente in cui amara, sofferta, privata e condivisa, affiora la sensazione del vario e ripetuto volatilizzarsi dell’esperienza.


Il difficile degli occhi


«Si è di questo tempo,

e si è qui per dire.»

Non ho un ricordo attento dei miei passi,

ma intanto ci si domandava:

«Che ne sai, tu, della paura?

In un giorno che muove troppo in fretta.»



Fine d'anno


E siamo anche stati quel gesto mimato

di riaprire il cassetto, come se ne fosse

possibile l’idea.


Sono le mani che tracciano la storia:

un vicolo di cenni, un

cerchio, e tutto

il resto.



L’attracco


Ho inseguito la tua immagine come si fa ora

come un dialogo privato, come un’ombra.

Niente di più mi è stato domandato di

tentare;

nulla di meno.


Quello che ricordo di non avere detto

e il resto tutto, che non è che sporgersi e

avanzare

da soli dentro l’acqua raccontando

del nostro maculante esser contenti.



Semine in piena terra


Le mani incrociate sui polsi.

È questo il luogo; è così

che il lago ci osservava, a memoria,

da secoli.


«Il silenzio», ribadiva, «il silenzio

è polvere che ci consola»



Troveremo la giusta sequenza


È il frastuono dei passi che mi muove,

la porta alle spalle, la frequenza.


La santità del cortile un contrappunto

allo scatto più improvviso del tuo sonno.


Del mare ho un ricordo ancora nuovo,

come d’estate, come se non fossi stato io

nel sogno dentro al sangue capovolto.


Che il giorno è stato fatto. Che si abbia

il coraggio necessario per vivere o morire

in quest’assenza.


Luca Lanfredi è nato nel 1964 e vive e lavora a Brescia.

Ha pubblicato le raccolte Il coraggio necessario (Lamantica Edizioni, Brescia 2019) con prefazione di Mauro Germani e Il tempo che si forma (L'Arcolaio, Forlì 2015; secondo classificato al Premio Internazionale di letteratura Città di Como; finalista al Premio "Solstizio" per opera prima, Fondi) con prefazione di Giacomo Cerrai.

Una breve silloge, A mezza luce, è apparsa in formato e-book nel maggio 2009 per Clepsydra Edizioni.

Suoi testi sono ospitati sul sito del poeta Nanni Cagnone e apparsi su blog quali: «Poesia» di Luigia Sorrentino; «Imperfetta Ellisse» di Giacomo Cerrai; «margo» di Mauro Germani e «Carteggi letterari».

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