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Immagine del redattoreAlessandra Corbetta

Gli inediti di Matteo Persico

Gli inediti di Matteo Persico qui proposti si allungano ben oltre la superficie occupata sulla pagina, poiché la riflessione che smuovono, e che interessa il personale e il sociale assieme, si prende una buona parte di spazio del nostro tempo. Persico affronta, con toni altamente e giustamente critici, la condizione lavorativa e comunitaria dei giovani di oggi, riferendosi alle attività che si trovano costretti a fare per mantenersi, per rimanere al passo coi tempi, per stare in qualche modo dentro quella bolla dalla quale, poi, vogliono fuggire. La capacità di Persico di inserire termini che la comunicazione attuale ha reso respingenti («Teams», «Proteine», giusto per citarne alcuni), insieme al sapiente uso dell’ironia, conferisce a questi testi un potere altamente propositivo e reattivo, nonostante essi descrivano una stasi corrosiva dove non resta che dire «ci si vede domani, come che sia.».


I.


Che a ventisei, discutere di previdenza

complementare e fondi pensione

ci sembra la morte stia già lì, rapace

dietro l'angolo, pronta a rapirci. O magari

è l'ombra dell’illimitato possibile

che sopravvaluta il ciclo di vita, un retaggio

degli studi umanistici: non ama fermarsi

alle polverose logiche di risparmio. Invece,

dovrei sbloccarmi rispetto ai valori aggiunti

e smettere di ancorarmi al non-si-addice;

che davanti ad un Caffè Mauro – assunto

alle spalle di un'alba usa e getta – di cosa

dovrei mai parlare? Calcio e pensione:

cardo e decumano, in logiche ferree.


II.


Il display s'illumina come s'illuminano nei poligoni

i domini dei fucili; crivellato di dati retributivi

rimane a farsi violare

nei pianti delle otto ore successive: sono piani verticali

fino a pranzo. Poi, orizzonte di pietà.


Usciamo, certo. Eppure fissiamoci nell'atrio

a quest'ora ancora qui? C'è una sveglia che non sbaglia

uno strillo, ci piange nelle opportunità nuove

mentre la strada di casa viene sbucciata dalla corsa: sulle spalle

una cartella di scadenze e di manette. Odore acre

nella morsa si fa da sé.


Non perdona, detto così: ci si vede domani, come che sia.



III.


Almeno non ci facciamo chiamare per nome, morte e stupore

nelle chiamate di Teams non possono coesistere. La ciurma

si divide – il fracasso stanca – le mura delle case

e dei contratti bloccati fanno il resto: soffocare in pace

nella culla di tutte le morti disonorevoli.

Il fuoco del mondo ci interessa poco: stanchi

della carbonella sotto al culo e dell'amaro in bocca,

lo sforzo di tranciare i denti se l'infezione già buca

le gengive; la Xylella buca gli ulivi, che non muovono una foglia.


Almeno non ci lamentiamo: una mandorla

in più o in meno potrebbe farci esplodere il cuore, il jogging

in città scommette sulle neoplasie polmonari

e il mare, il mare diviso in corsie non è mai stato

più malato di così. Sono lontani

dalle nostre salme

i nomi di ventura da raccontare ai nipoti

e di cui fregiarsi nella palude che viviamo e che siamo

moscerini, mosche; dicerie pronunciate

da nullità senza nome.



Senja


Letali le giornate – sì, che le ricordo –

dove non siamo che satelliti: il mondo

e il nostro inosservato ruotarci attorno.

Supernova di scrivania tra penne e fogli

non fa prigionieri: spilla

l'avvenire, il gomito di ragnatele e il muro

con la propria testa plastica, in dinamica attesa

della morte civile, un guaio di apocalisse,


[e del suo sollievo.



Bum bum tap


Sono stanco, sai; di ascoltarmi e non sentire

le orme del terremoto che mi sfugge.

È dentro di me, solletica. Casca

e immediatamente si risolleva.


Un pomeriggio in ufficio come tanti, oppure

un cumulo di detriti e dossier

conoscono a fondo le proprie conseguenze:

fanno intendere di volere e di volere attendere,

hanno sacrosanta pazienza; se cessa il rumore

trovano qualcosa di cui nutrirsi, le proteine

del silenzio intracranico. Per questo


le turbine neuronali hanno un bel da fare. Mai ferme,

proprio un bel da fare. Ci fanno intendere

di volere e di volere attendere; come fossero

il cambio di un vento che auspichiamo, oppure

una tenerezza di troppo, che non vuole

farcela passare liscia.

Di questo sono stanco. Un negozio di semiautomatici

è ovunque nel mondo: le nostre giudicanti

strade senza uscita.


Matteo Persico nasce a Roma nel 1994. All’età di vent’anni pubblica la sua prima raccolta di racconti, dal titolo Sogno e Incubo (Cavinato editore, 2014). È presente, con alcuni testi inediti, nella raccolta del premio Il Club dei Poeti (2015) e nel “Quaderno Poetare” del concorso Poetare (2021), indetto dalla Scuola di Editoria e dalla Samuele Editore. Nel corso del ventisettesimo concorso “Ossi di seppia”, è stato menzionato nei premi speciali della giuria. Alcune poesie inedite sono apparse su diversi blog cartacei e online, tra cui Il Simposio della Poesia, Il Visionario – blog di poesia, IlDetonatore.it, La Repubblica – Roma (Bottega di Poesia di Gilda Policastro), Poeti Oggi, Inverso – Giornale di poesia, Poetry Factory, Critica Impura, Poesia Ultracontemporanea e LaRosainPiu. Un suo testo è stato tradotto in spagnolo sulla pagina del “Centro Cultural Tina Modotti”.

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