Gli inediti di Danila Di Croce
La poesia di Danila Di Croce, come questi inediti testimoniano, si inscrive dentro un frame fatto di elementi naturali che, nella loro assenza di specificazione, contribuiscono a strutturare una dimensione astratta e universale allo stesso tempo. Fulcro dello scrivere di Di Croce, molto attento agli aspetti fonico-musicali, è la visione e ciò che a essa attiene, a partire dal blink - lo sbattere rapido di ciglia - fino a giungere al sonno per poi tornare alla veglia, fatta di occhio vigile e di atteggiamento-sentinella; il passaggio dal vedere al non farlo diventa qui sinonimo di attesa e preparazione alla messa a fuoco, come accade prima dell'atto del parto o della costruzione di una dimora, a cui è ancora possibile dare il nome di casa.
Dammi il compito della sentinella,
che lavora di sguardo e che lontano
allunga la spinta, ne fa un elastico
teso a tornare, a restituire
l’orizzonte agli occhi.
Certo, quel punto
frusta attese e illusioni, ma si impianta
sulla retina e rinasce di dentro,
da quel buio che pure chiama vita.
Dammi ancora un nuovo turno di veglia,
perché impari il senso della distanza,
lo zelo che ammaestra l’attenzione,
l’attesa solerte che si fa cura.
E soprattutto il metodo del tempo
che ogni volta impressiona quell’immagine
da capovolgere, da riguardare
*
Dove mi aspetti
se non hai case da abitare,
un petto dove poggiare il capo.
Anche l’ombra di un albero
sa rapire il sonno
e suggerire fremiti alla terra,
darle il suo mantello.
È lì che canta d’albe
sconosciute il codirosso
quando attende
all’esercizio di una sosta,
al miraggio dolce di una dimora.
*
Da queste parti il saluto si allunga
ben oltre lo sguardo, abbassa rapido
il cappello e quanta aria sfiata l’eco,
l’addormenta.
Se c’è un accenno d’ombra
lungo quel viale in cui sostare – chiedo –
una panchina ruvida di legno
sfilacciata, che sa tenere il sole,
però, fin nella ruggine dei chiodi.
Perché aspettare è il verbo degli amanti,
di chi combacia fodere e cappotti
e fa nobile l’inverno.
La nebbia
è bassa sull’asfalto a consegnare
il pegno di una voce,
eppure basta
il tocco delle mani – vedi – e l’acqua
per riconoscere la cicatrice.
*
Ci sono vite da riguardare,
di fronte a cui tacere in ascolto,
come quando si cerca la sorgente,
chiusi gli occhi, nel fitto
odore del bosco.
Hanno il dono, certe vite,
di sfiorare il peso dei sassi,
di avviare il rimbalzo sciolto
a pelo d’acqua, così
– perché l’onda si allarga
e sorride se c’è un tocco che chiama.
*
pulsa instabilmente, cefeide
inquieta che gonfia e sgonfia il petto
per qualche sorso in più di luce
(il valzer dei pattini dentro al cuore
a raccontare il primo degli abbracci,
l’inquietudine dell’attesa, il morso
fulmineo dell’abbandono).
Ma svela, una madre, a che distanza
esiste una galassia, con la forza
di gravità ad avvincere i corpi
infine. Forse perché vende il sonno
pure al tempo mite della sera
o forse solo perché sa di latte.
Danila Di Croce (1974) vive ad Atessa (CH) ed è docente di Lettere nel Liceo Scientifico della sua città. Ha pubblicato la sua prima raccolta di poesie, Punto coronato (ed. Carabba), nel 2011 e suoi testi inediti hanno ottenuto diversi riconoscimenti. Da segnalare, in particolare: primo premio alla XXI ed. di InediTO – Colline di Torino e al Daniela Cairoli 2023; tra i vincitori del Premio Ossi di Seppia, sez. A, 2023 e dell’VIII ed. del Premio nazionale editoriale di poesia Arcipelago itaca (sez. silloge breve); seconda classificata al Premio Gianmario Lucini 2023 e al Concorso Sinestetica 2023; tra i due finalisti del Premio Europa in versi 2023; Menzione d’onore al Premio Rodolfo Valentino 2022-23; finalista al premio Poeti Oggi 2023 e al concorso Guido Gozzano 2022; selezionata al Premio Città di Como 2022 e a Europa in versi 2022. Quest’anno è stata membro di Giuria del Premio InediTO e suoi testi figurano su alcuni blog e antologie.
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