Gli inediti di Alessandro Moscè
Gli inediti di Alessandro Moscè hanno la capacità di creare, fin dal primo verso, una corresponsione tra soggetto, oggetto e assenza degli stessi volta alla ricerca di una definizione identitaria, nella quale alla memoria spetta un ruolo centrale. Moscè, muovendosi indietro avanti sulla linea del tempo, in un continuo spostamento tra presente e passato, da intendersi primariamente come ciò che c’è e ciò che non c’è più, ridà linfa al già vissuto e rende il non vissuto aptico e concreto, come fosse un ancòra possibile, pronto da potenza a farsi atto. Ad accompagnare queste oscillazioni cronologiche è la vista, chiamata a passare a più riprese dal buio alla luce, dall’ombra al luminio e cioè costretta, in altre parole, a farsi testimone dell’esistenza, in un tentativo, convinto e malinconico insieme, di non dimenticare quello che siamo stati e conservare ricordo pulsante dei luoghi che ci hanno ospitato e delle cose che hanno seguito i nostri passi nel mondo.
Lo specchio
L’ombra di nonna Altera appoggiata
alla parete della camera da letto,
nell’inverno nevoso
al limite dell’infanzia
e sui davanzali maculati…
Il buio e il nonsenso,
uno scambio di persona guardandosi allo specchio,
un capriccio
che si adagia muto
in questa orfanità
che non risparmia
e riflette i capelli
di me bambino
Luce nella notte
Aspetta, aspetta sempre
la luce,
impigliata nella stanza dei segreti
per compiere il suo sacrificio,
incredula di un uomo
chino sulla scrivania.
Chi la fermerà, chi
le dirà di smettere
di riconoscere,
chi la separerà dall’ombra,
dall’assenza dei morti,
dal mondo dei nottambuli?
La luce nella notte
si nasconde
appena arriva il giorno,
ha paura, si sente la figlia illegittima
di uno sconosciuto incanto,
il compenso innaturale
per l’altra luce
che non ringrazia mai.
Eppure perfino l’aria lascia
spazio ai lampioni
tra quell’arrivare e quell’andare
che non hanno mai fine,
anche quando replica la luna
L’accendino
Una panchina e uno spray
dove torno a scrivere i miei amori
divorato dall’adolescenza
che si allunga sul bordo del marmo,
lungo una linea di confine.
Mi guardo vivo nello scatto dell’accendino,
come fossi un altro che mi abbraccia
davanti alla fontanella
La cabina telefonica
Ce n’è rimasta una sola
di cabina telefonica
al fianco della pattumiera,
sempre ad aspettare
nascosta alle labbra della gente,
alle parole gettate nella notte,
ai canti fischiettati dell’ora di pranzo.
Appoggio il naso al vetro
e mi accorgo che è stanca,
pronta per essere demolita.
La porterei via con me
per farle vivere altre storie
nell’infinita stazione degli incontri,
nei dialoghi parlottati giorno per giorno,
negli occhi solidali
tra un numero e l’altro
di speranza tremebonda
Il cantiere
È sfigurato il palazzone delle scuole elementari,
intabarrato dentro un’armatura
con le gru che picchiano dall’alto
e la calce a terra, sgretolata.
Muoiono gli edifici sui cornicioni,
abbattuti come rami
dagli operai con il casco arancione.
I passanti girano candidi nel giorno
e la polvere dell’intonaco è sbiadita
nell’ingresso di pietra.
Dentro le stanze la memoria di un’epoca,
un banco, una lavagna, una cattedra,
un pulviscolo che luccica
e si posa a terra
sulla bianca malinconia
Alessandro Moscè è nato ad Ancona nel 1969 e vive a Fabriano. Ha pubblicato le raccolte poetiche L’odore dei vicoli (I Quaderni del Battello Ebbro 2005), Stanze all’aperto (Moretti & Vitali 2008), Hotel della notte (Aragno 2013, Premio San Tommaso D’Aquino) e La vestaglia del padre (Aragno 2019). Ha pubblicato i romanzi Il talento della malattia (Avagliano 2012), L’età bianca (Avagliano 2016, finalista al Premio Onor d’Agobbio), Gli ultimi giorni di Anita Ekberg (Melville 2018, finalista al Premio Flaiano). Ha dato alle stampe i libri di saggi critici Luoghi del Novecento (Marsilio 2004), Galleria del millennio (Raffaelli 2016), Alberto Bevilacqua. Materna parola (Il Rio 2020) e l’antologia di poeti italiani del secondo Novecento, tradotta negli Stati Uniti, The new italian poetry (Gradiva 2006). Si occupa di critica letteraria sul quotidiano “Il Foglio”. Dirige il Premio Nazionale di Narrativa e Poesia “Città di Fabriano”.
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