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Immagine del redattoreAlessandra Corbetta

Editoriale Poesia & Rete (appuntamento n°9)

Continua, con questo nono incontro, l'editoriale su Poesia & Rete, a cura di Alessandra Corbetta, un progetto trasversale alle pubblicazioni del blog che proverà a monitorare, attraverso interventi di diversa natura, lo stato delle interrelazioni tra il linguaggio poetico e le dinamiche del Web.


Chi volesse segnalarci studi o ricerche su questo argomento o desiderasse contribuire ad arricchire con competenza il dibattito, può farlo scrivendo a redazione@almapoesia.it, specificando in oggetto “Editoriale Poesia & Rete”; tutto il materiale pervenuto verrà sottoposto a lettura e quello ritenuto più interessante e valevole verrà proposto all’interno del progetto.


L'ospite di oggi è Francesco Tripaldi con il quale, a partire dal suo L'individuo superfluo (Ronzani Editore, 2022), abbiamo approfondito queste tematiche.



In L’individuo superfluo (Ronzani Editore, 2022), già a partire dal titolo, inviti il lettore a riflettere su cosa oggi sia realmente necessario e cosa no; la società digitale ha in effetti contribuito al ribaltamento della semantizzazione del concetto di superfluità, al punto che l’utile non sembra più così importante poiché a esserlo è l’accessorio. La deriva prima di questa inversione riguarda chiaramente la condizione di limitatezza dell’essere umano rispetto alla potenziale perfezione della macchina: anche qui finitudine e infinitudine paiono sovvertirsi.

Vuoi esplicitarci il tuo pensiero a riguardo e spiegarci perché hai voluto porre il focus su questo aspetto, senz’altro cruciale, fin dalla titolazione della tua opera? Possiamo estendere la riflessione su utile/superfluo anche alla considerazione e al ruolo odierno della poesia, in riferimento al contesto italiano?


Partirei dalla definizione, una delle tante, che possiamo dare al concetto di individuo pensandolo come un elemento unico rispetto ad un sistema di riferimento. Fintanto che il sistema in questione è stato prevalentemente la società umana, fatta di interazioni biologiche e fisiche, l’identità/l’unicità dell’uomo rischiava relativamente poco di essere messa in discussione, anzi prevaleva in ragione della contrapposizione con altri suoi simili o per le capacità di collaborazione e/o d’intesa con questi ultimi. Oggi viviamo esperienze e luoghi ibridati ed il sistema di riferimento sta diventando sempre di più la dimensione digitale il che potrebbe rischiare di ridimensionare fino ad escludere l’individuo trascendendo le stesse logiche che hanno sempre governano le sue azioni. La riflessione suggerita dal titolo ha la pretesa di scendere molto in profondità nell’indagine del ruolo dell’individuo oggi per spingere il lettore a chiedersi quale sia il proprio grado di consapevolezza in relazione alle interazioni digitali. Ci siamo mai chiesti se ciò che desideriamo è frutto di una nostra genuina scelta/propensione/gusto o se è un certo tipo di profilazione automatizzata delle nostre abitudini di consumo e dei nostri interessi a suggerircelo più o meno esplicitamente fino a stabilirlo al nostro posto? Ritengo che alcune derive di utilizzo dei mezzi moderni a nostra disposizione debbano essere meglio indagati e compresi affinché l’individuo (ed è già successo: pensiamo al caso di Cambridge Analityca ad esempio) possa non rimanervi inconsapevolmente intrappolato.

Con riferimento, invece, al ruolo della poesia mi piace pensare che essa abbia un’utilità “massima” in questo contesto essendo il mezzo che meglio riesce ad appropriarsi dell’esperienza umana e a condensarla in un nucleo di significante a più livelli. In Italia, poi, potrebbe valere anche il contrario ossia potrebbe essere la particolarità della tematica trattata e la stringente attualità degli argomenti toccati dalla poesia ad attrarre i lettori verso la stessa.


Moltissimi sono i temi, tutti strettamente correlati alla società occidentale e tecnologica contemporanea, che tu affronti all’interno di L’individuo superfluo, dando uno spaccato assai realistico e preciso dell’elevato livello di complessità e interconnessione proprio del nostro vivere moderno, della compresenza di coalescenze impossibili fuori dall’ambiente digitale e dell’esistenza di false dicotomie, mantenute solo per tentare risoluzione banalizzanti dei problemi propri dell’epoca che abitiamo.

Scelgo, all’interno del quadro da te così ben delineato, tre coppie-tema e ti chiedo di commentarle, alla luce del percorso portato avanti nel tuo lavoro poetico: memoria/oblio, relazione/solitudine e presenza/assenza.


Citi dicotomie che lasciano un segno importante nella nostra vita reale orientando, sempre più, il nostro percorso all’interno della stessa. La prime di queste pone di fronte a noi un tema di eredità e di relazione con la persistenza dell’identità del nostro alter ego digitale. Così come la vita anche la morte è un elemento sempre più presente in rete, così come lo è il diritto ad allontanarsi da tutto e da tutti, ad essere dimenticato o a riabilitare la propria immagine. Ormai chiunque di noi coltivi l’estensione digitale della propria personalità on-line è venuto in contatto con account di amici/conoscenti/parenti tristemente defunti; profili che sono diventati insoliti luoghi per epitaffi se non vere e proprie lapidi su cui piangere e che, proprio come se avessero mutuato la resistenza del marmo, rimarranno in rete indefinitamente se l’utente non è stato così lungimirante o non ha avuto modo di impostare i giusti settaggi per la trasmissione ereditaria delle credenziali del proprio account. Andremo verso la creazione di cimiteri digitali, un giorno probabilmente visitabili nel meta-verso. La rete, infatti, non dimentica anzi è particolarmente complesso riuscire ad essere dimenticati dalla rete ed in determinati casi (pensiamo a notizie di cronaca giudiziaria inesatte e/o a condanne ribaltate – a distanza di anni – soltanto con l’ultimo grado di giudizio) ciò può avere degli effetti devastanti per gli individui.

Le diadi relazione/solitudine e presenza/assenza, invece, possono essere trattate insieme in quanto interconnesse. Viviamo ormai letteralmente circondati da dispositivi intelligenti ma noi siamo altrettanto “smart” nell’utilizzarli? Per quello che è il mio percepito, attualmente viviamo in condizioni di monitoraggio continuo, risultiamo sempre disponibili, sempre raggiungibili, sempre rintracciabili e non siamo più padroni della nostra solitudine. Siamo gli utilizzatori o siamo utilizzati dalla tecnologia che decidiamo di adottare, siamo noi che chiediamo al nostro assistente domestico di segnare un determinato prodotto nella nostra lista della spesa o è il nostro assistente che fa “shopping” coi nostri dati per addestrare l’algoritmo che governa le sue funzionalità? Da queste domande riemerge quindi il tema della centralità dell’individuo, della sua capacità di conservarla nel lungo periodo e di guidare l’evoluzione tecnologica non di subirla.


L’individuo superfluo sviluppa la sua critica sociale anche attraverso le scelte formali da te operate per la sua scrittura: un verso frammentato alternato a prose poetiche, l’inclusione di una terminologia tecnica insieme a una quotidiana, l’inserimento frequente di vocaboli scurrili, parole sbarrate, come a rendere visibile al lettore il processo di revisione sull’opera posto in essere, e poi testi mutuati dal teatro.

Una sovrapposizione tra elementi apparentemente discordanti che quindi, insieme alla molteplicità di immagini da te create, riproduce quell’overload informativo e visuale che ben conosciamo; vuoi raccontarci il processo che ti ha portato a compiere queste scelte di forma e di stile e dirci se il tuo intento originario era davvero quello di realizzare questa trasposizione da me evidenziata o altro, invece, ti ha guidato verso questa direzione?


Il lavoro vero è stato quello di ricerca e tentato perfezionamento di una cifra stilistica il più personale e distintiva possibile che insieme all’obiettivo di comunicazione tematica della raccolta è l’altro traguardo che mi ero posto. L’effetto sovraccaricante di cui parli non è mai, in realtà, stato progettato – tuttavia – rileggendo la raccolta nel suo complesso ho notato da subito anche io questa caratteristica e l’ho trovata (fortunatamente!) particolarmente confacente. Aggiungo che oltre a quanto giustamente riferisci, a mio avviso la sensazione creata è anche di spaesamento. Questa, invece, ti confermo essere una nota che intendevo lasciare al lettore (che spero non me ne vorrà) per meglio tradurre l’impianto sensazionista del contesto che ho cercato di rappresentare o l’effetto che si prova a venire contattati da una società di trading on-line inglese senza sapere come abbiano ottenuto il tuo numero di cellulare.

Anche l’alternanza di poesia e componimenti che strizzano l’occhio alla prosa o al teatro nasce soltanto, quindi, da una esigenza espressiva per la quale ho trovato naturale adattare il contenitore al contenuto così come la scelta lessicale risponde all’intento di rimanere quanto più aderente possibile alla realtà di tutti i giorni con tanto di improperi e scurrilità. Nel complesso ritengo che tutto venga tenuto insieme dalla tensione comunicativa ed interrogativa che permea tutti i testi.


Nella tua raccolta precedente Il machine learning e la notte stellata (Lieto Colle – Pordenonelegge, 2019) troviamo la stessa coesistenza di stili e contenuti e un’importantissima riflessione sul ruolo della poesia, chiamata in qualche modo a farsi mediatrice tra istanze contrapposte, quali quelle della tecnologia e dell’arte e, in una dimensione ancora più ampia, quelle scientifiche e quelle umanistiche.

In un’ottica di continuità tra le tue produzioni poetiche, qual è oggi il tuo pensiero a riguardo? Una capacità di azione in questo senso della poesia è davvero realizzabile o è destinata a rimanere solo sul piano della teoria?


Io credo molto nelle potenzialità comunicative di questo mezzo. Con esso è possibile condensare concetti che richiederebbero diverse pagine esplicative con il rischio, inoltre, di risultare potenzialmente fruibili soltanto da coloro che abbiano un’infarinatura tecnica o quantomeno una certa familiarità con i concetti in questione. Nella mia prima raccolta la sfida che volevo lanciare era proprio questa: usare la poesia come mezzo rivelatore in grado di rapportarsi trasversalmente con un pubblico di “addetti ai lavori” e con uno di semplici possessori di una connessione internet. Penso, infatti, che per sensibilizzare su certi aspetti dell’evoluzione tecnologica, della modernità e sugli impatti che questa ha e/o può avere (positivi o negativi che siano) sulla società in quest’epoca elettronica sia necessario che la poesia ci aiuti a sviluppare un’etica elettronica e a creare anche un’epica elettronica. Di fatto la poesia ha sempre preso spunto dalle vicende naturali e dell’uomo per raccontare e diffondere conoscenza, per questo motivo L’Individuo superfluo si pone in un’ottica di continuità con la prima raccolta nella (audace) speranza che un giorno sui messaggi di alcuni famosi cioccolatini vi sia, non so, la definizione di Internet Service Provider pregna di tutto il suo senso poetico.


Alcuni tuoi testi sono confluiti nel volume Distanze obliterate. Generazioni di poesie sulla Rete (Puntoacapo Editrice) in cui, come Alma Poesia, abbiamo provato a indagare la complessità del rapporto tra poesia e Rete, favorendo una prospettiva di analisi transgenerazionale.

In riferimento al tuo gruppo anagrafico di riferimento, quello dei nati negli anni Ottanta, quali punti di continuità hai trovato con gli altri autori? Nel complesso, quale idea ti sembra traspaia da parte di chi scrive poesia oggi rispetto al dualismo sovracitato?


La raccolta curata da Alma Poesia, a mio parere, ha il pregio proprio di far emergere le marcate differenze tra le varie generazioni creando un dialogo poetico e sociale molto interessante, perciò, non trovo grandissima somiglianza tra gli autori della mia generazione e gli altri. Il motivo probabilmente riguarda la particolarità che caratterizza gli autori nati negli anni Ottanta vissuti per una prima parte della loro vita in maniera prettamente analogica ed una seconda in maniera progressivamente sempre più digitale. Siamo stati una generazione di passaggio in grado di assimilare i progressi tecnologici meglio dei nostri genitori ma con maggiore diffidenza e “timore reverenziale” rispetto alla generazione Google.

Quanto all’idea di chi scrive poesia oggi con riferimento al dualismo poesia – rete il punto, forse, è proprio sottolinearne il dualismo. La rete è essa stessa fortemente poetica così come la tecnologia che la compone, la diversifica e la anima può essere intesa da un punto di vista profondamente poetico non solo nel senso di essere un qualcosa degno di essere detto in poesia, di ispirare poesia o di poter essere materia poetica ma anche in quanto istanza potentemente creatrice e quindi intrinsecamente connessa, per etimo, alla poesia stessa.


Ti chiedo, per concludere, di scegliere tre testi da L’individuo superfluo e condividerli con le lettrici e i lettori di Alma.


Sceglierei sicuramente E-poca, perché è un po' la sinossi concettuale dell’intera raccolta, Poesia Artificiale che contrappone il processo creativo umano a quello digitale e Una mail al giorno toglie il medico di torno, perché pone una domanda diretta al lettore, essenziale ai fini della sensibilizzazione dello stesso ai temi della raccolta e quindi a quelli della realtà in cui viviamo.


E-POCA


Se cerchi nel web

il web cerca dentro di te;

senza nemmeno faticare tanto.


L’e-pica della pirateria informatica:

segreti industriali,

cordoni ombelicali digitali,

ricette per biscotti in linguaggio binario.


L’aspetto coloniale di una faccenda post imperialista

è il nostro vivere di esigenze improcrastinabili,

di amori a grandi linee.


Questione di evoluzione convergente.


Come certe fragole

siamo rossi solo in superficie.

Un cupio dissolvi

di corpi celesti e beta bloccanti.


POESIA ARTIFICIALE


Non c’è nulla di più stupido

dell’intelligenza artificiale,

perché ciò che impara lo apprende da noi.


Non riuscirà mai a comporre una poesia perfetta,

restando in silenzio.


UNA MAIL AL GIORNO TOGLIE IL MEDICO DI TORNO


Penso spesso

all’appartamento bruciato di Marina Cvetaeva,

ai dieci figli morti di Bach,

alla picnodisostosi di Lautrec;


a quanto sia semplice

ridurre tutto ad un rapporto: vittima/complice.


Immersi nel codice, ignoriamo le cause,

il clickbait decide le topiche.


Penso spesso

alla rana bollita di Chomsky,


al dibattito sul transumanesimo,

alla pecora Dolly,

alla resa finale

al processo inferenziale.


L’uomo è un cadavere iperattivo,

vive criptato

come il gatto di Shrödinger

alimentando un circolo che esclude sé stesso

dalle proprie logiche

e tu sei vittima o complice?


Francesco Tripaldi (Tricarico, 1986) è un avvocato specializzato in materia di protezione dei dati personali. Vive tra Milano e Bologna. Nel 2019 pubblica la sua prima raccolta di poesia Il machine learning e la notte stellata (Collana Gialla – LietoColle Editore). Nel 2020 compone i testi delle canzoni Gargoyles, Livido e Mantra per il progetto musicale “Nikita”. Suoi lavori sono apparsi in varie riviste e antologie. Tra questi: Viaggi di Versi, Pagine Editore in “Antologia Poeti e Poesia 2012”; Dio non ci assolverà in una mattina poco digeribile, in “I racconti dello scontrino”, Bohumil Edizioni, 2012. Autogrill interstellare è presente in «Il Segnale» n. 104/2016; I 34 passaggi per creare un’esplosione è presente in Cerco poesia anche dove non c’è, Edizioni Fernandel, 2019; EPoca, Social Engineering, Dinamica Asociale e Poesia artificiale sono presenti in Distanze obliterate. Generazioni di poesie sulla Rete (Puntoacapo Editrice, 2021).

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