Editoriale Alma Gender (appuntamento n°7)
Continuano le interviste di Alma Gender, volte a sondare la questione del gender in poesia: protagonista di oggi è Anna Toscano.
Ricordiamo che chi volesse segnalarci studi o ricerche su questo argomento o desiderasse contribuire ad arricchire con competenza il dibattito, può farlo scrivendo a redazione@almapoesia.it, specificando in oggetto “Editoriale Alma Gender”; tutto il materiale pervenuto verrà sottoposto a lettura e quello ritenuto più interessante e valevole verrà proposto all’interno del progetto.
IN DIALOGO CON ANNA TOSCANO
È da poco uscito per La Vita Felice Chiamami col mio nome antologia poetica di donne – vol. II, seguito di un volume I pubblicato, con lo stesso titolo e con la stessa casa editrice, nel 2019.
Rispetto a molte antologie, che celano amicizie e gusti personali dietro parametri pseudoscientifici volti a rappresentare generazioni, temi, luoghi geografici e tutto ciò che, di volta in volta, si reputa utile mappare, tu nella prefazione affermi che «Le cinquanta poete qui presenti sono, come per il precedente volume, una scelta tra molti incontri: non ho applicato un giudizio di valore del tipo “loro sono da leggere, ma le altre no”. Non è assolutamente così: loro sono da leggere, moltissime altre anche. Questa è la presentazione di occasioni, di incontri, che ho fatto con la poesia, che ho studiato, approfondito e che restituisco in forma di antologia nella speranza che queste scrittrici vengano sempre più ricordate, scoperte, lette.».
Emerge chiaramente come il tuo lavoro nasca da un autentico amore e interesse per la poesia e di come infatti si fondi su un approccio onesto, inclusivo e aperto.
Ti chiedo: qual è stata la miccia che ha acceso in te l’esigenza di dare vita a un progetto come questo e che, al di là anche della specifica antologia, continua a muovere la tua dedizione e il tuo impegno per la questione femminile in poesia e non solo?
La miccia è la passione per la scrittura, soprattutto per la scrittura delle donne. Il desiderio inconfessabile, però, è quello di metterci lo zampino nel sovvertire la triste sorte e rispolverare in taluni casi la coltre di oblio che ricopre alcune. Amo trovarmi di fronte a edizioni fuori stampa nei mercatini che portano nomi di autrici dimenticate nel tempo. È quello che mi è accaduto anni fa scovando, tra le altre, la raccolta Einaudi di Lucia Sollazzo o di Piera Oppezzo o di Brianna Carafa, per fortuna le ultime due in fase di ripubblicazione. O cercando con una caparbietà a me sconosciuta l’unico volume in versi pubblicato di Alba de Céspedes. Diciamo che per alcune autrici, come è stato oltre dieci anni fa per Goliarda Sapienza, e via via fino a oggi, mi piace fare qualcosa per intaccare il muro dei controfattuali… “Se fosse stata ripubblicata avrebbe conosciuto maggior pubblico questa meravigliosa scrittrice”… e invece oggi alcune vengono ripubblicate. Non mi sento paladina di qualcosa, quanto piuttosto una indefessa lettrice e divulgatrice di letture. Poi la miccia arriva incessantemente, libri che attirano la mia attenzione per un verso in copertina, una citazione di altri, un reading, un consiglio e subito si fa lettura, studio, ricerca. Così, come giustamente noti, le due antologie che ho curato contano 100 autrici di ogni età e di diversi paesi e di disparati tempi, autrici defunte da molto tempo e giovani nel pieno della loro stagione di scrittura. Non è il gusto che mi fa scegliere, molte di loro scrivono testi lontanissimi dal mio gusto personale, ma riconosco in loro un lavoro con la scrittura poetica molto bello, talvolta interessantissimo, che vorrei condividere. Scrivo e studio e mi interesso molto anche di autori, ovviamente, ma la gran parte del mio tempo va alle autrici. Le due antologie sono nate da un moto di condivisione. Nonostante, soprattutto il primo volume, avesse visto una prima forma a puntante nelle pagine de La Rivista Intelligente, e il secondo per alcune autrici era già stato pubblicato, in una prima forma per Minima&Moralia, avevo il desiderio di raccoglierle insieme, per condividere questi testi e questi nomi, nella speranza che divenissero una sorta di breviario poetico, un pozzo delle meraviglie, un buon luogo e un buon tempo dove stare. E non ultimo il desiderio di metterle in dialogo, come fossero tutte attorno a un tavolo e potessero parlare insieme, scambiare parole, poesia.
La curatela di questo tuo lavoro antologico che, come espliciti nella prefazione, continua a essere in fase di sviluppo nella speranza che sempre nuove micce si accendano, si fa cartina tornasole del fatto che, pur essendo nel 2022, il dibattito intorno alla questione del gender in poesia sembra non essersi ancora esaurita: da una parte ci si continua a chiedere se, in effetti, la poesia possa averne uno o se, in quanto arte, prescinda da qualsiasi suddivisione a riguardo; dall’altra l’inevitabile constatazione della prevalenza di poeti uomini nelle antologie scolastiche e, forse, pure nel panorama poetico contemporaneo. Anche alla luce della preponderanza che il tema del femminile sta assumendo nel dibattito odierno tout-court, come inquadri l’argomento e qual è la tua opinione a riguardo? Soprattutto, prevedi un’evoluzione verso altre traiettorie per un futuro prossimo?
Penso che un poco ognuna e ognuno faccia la sua parte, io amo e studio la letteratura di donne, come pure l’arte, e credo di riuscire a scriverne mossa dalla dedizione e dallo studio. In effetti avrei preferito questi due volumi avessero avuto come sottotitolo solo “Antologia poetica”, eliminando “di donne”, ma il mercato editoriale ha le sue esigenze e i suoi poteri… Non è nata come antologia in contrasto a quelle dove gli uomini compaiono in larga maggioranza, nessun intento bellico o di rappresentanza: la scrittura delle donne, anche inutile dirlo ma lo dico, non ha nulla da dimostrare su quella degli uomini. Deve solo avere lo spazio di esistere, e nel mio piccolo cerco di dare questo spazio.
Armanda Guidacci, autrice tra l’altro inclusa nell’antologia da te curata, in risposta al Questionario di Biancamaria Frabotta in Donne in poesia (1976) afferma: «Io non credo alla poesia femminile e alla poesia maschile. In questa distinzione, abusata, si cela una discriminazione razzistica della donna. Infatti per “poesia femminile” si intende correntemente una sottopoesia destrutturata o debole, patetica o sentimentale. […] Per la buona poesia non vedo alcuna distinzione.».
Cosa pensi di questa visione? La reputi un retaggio del passato o, ancora oggi, è l’inclinazione del pensiero dominante?
Concordo in parte, esiste la poesia. La poesia scritta da donne, scritta da uomini, scritta da chiunque scriva poesia nella moltitudine delle possibilità ed espressioni di sé che la vita dà. Perché la buona poesia è buona poesia. Fatto sta che la distinzione viene fatta da decenni e da secoli nella scrittura delle donne, escludendola o relegandola in un piccolo box. Ecco, perché tutte e tutti capiscano che la buona poesia è buona poesia indipendentemente dal genere di chi la scrive è necessario che tutti abbiano le stesse possibilità di essere pubblicati, di essere letti, conosciuti, gli stessi spazi, la medesima attenzione. Io spero in questo. Finché l’opera artistica prodotta da uomini, qualunque essa sia, ha la maggior parte dello spazio, ha senso lottare per dare il giusto e doveroso spazio e tutti e da lì partire per affermare che una buona opera d’arte è una buona opera d’arte. È giusto che ciò che per secoli ha avuto una posizione marginale venga rismarginato, nella consapevolezza condivisa dell’errore dell’emarginazione, come insegna la filosofia del post umanesimo.
Nella tua raccolta Al buffet con la morte (La Vita Felice, 2018) alcune poesie sono dedicate a importanti figure femminili, tra le quali Goliarda Sapienza, per cui scrivi:
Un vestito a fiori leggero
un cappello in mano
la borsa le chiavi
l’odore di sigaretta
dalla porta spesso aperta:
il tuo vecchio corpo
trovato così sul pianerottolo,
qualche giorno dopo.
La tua grafia minuta
era il tuo elettrocardiogramma
penna Bic nera punta sottile:
mi sembra di sentirlo
quando ti leggo nei caratteri a stampa
di vederti, in quell’istante.
A Sapienza tu hai dedicato molti studi, lavori, progetti.
Vuoi raccontarci l’importanza che per te riveste questa donna poliedrica e cosa ci perderemmo se non conoscessimo i suoi lavori?
Questa è una domanda a cui è molto difficile rispondere e che apre a chilometri di parole. Cerco di non perdermi nella bellezza e nella concitazione che tanta opera bella provoca in me. Penso che L’arte della gioia sia un romanzo che debba appartenere a tutti come lettura, come lo sono i Promessi sposi e molti altri. Penso sia imprescindibile la sua lettura perché è un romanzo in cui una scrittrice dalla scrittura limpida e densa al contempo, ha messo su carta una delle grandi, se non l’unica, personaggia protagonista di un romanzo novecentesco: Modesta. Penso che la vicenda di Modesta abbiano molto da insegnare a tutte e a tutti, oltre alla bellezza anche la conoscenza di una parte di storia italiana che accumuna tutti. La vita di Goliarda, poi, donna che ha scelto nella sua vita, ha sempre scelto ciò che voleva fare e come voleva farlo, pagando per le sue scelte, è un riferimento di donna che deve esser conosciuta attraverso altresì i suoi romanzi più brevi, che chiamiamo autobiografie analitiche, attraverso la poesia e i suoi taccuini di vita. Se una persona non conosce i suoi lavori non perde nulla, se li conosce acquisisce moltissimo, tra cui bellezza e conoscenza.
Nella nostra società il corpo è diventato il capro espiatorio per affrontare questione complesse, spesso legate all’appartenenza di genere e alla costituzione dei processi identitari. Il corpo, in effetti, facilmente sottoponibile a modifiche e correzioni, sembra costituire il territorio a partire dal quale ridefinire e affermare chi siamo. In questo senso, se facciamo riferimento alle pubblicazioni degli ultimi anni, pare esserci una prevalenza di poetesse che hanno fatto proprie queste tematiche rispetto ai colleghi uomini, che sembrano preferirne altre. Come spieghi questo dato? Pensi possa essere indicativo rispetto alla questione oggetto del nostro editoriale?
Penso che ciò accada perché il corpo delle donne per decenni, decenni che fanno secoli, è stato terreno di tutti tranne di loro stesse: dalla maternità al sesso, dalla tortura (penso anche alle “strie”) alla mercificazione, dalla pubblicità alla religione, sempre sono stati gli uomini a decidere come e cosa farne. La società patriarcale ha sempre disposto a suo piacere del corpo delle donne. Al giorno d’oggi sembra che molte possano fare ciò che vogliono del loro corpo, come da battaglie femministe lunghissime. A me sembra che si stia attraversando quel terreno, talvolta scivoloso, del fare di sé ciò che si vuole senza domandarsi cosa esattamente si voglia nel nome anche di una estetica mutevole dell’autoconsapevolezza. In poesia è inevitabile che la riappropriazione di sé, soprattutto sulla carta, passi e ripassi attraverso un corpo che si fa identità perché il corpo è bodymind, contiene conoscenza.
Vorrei che ci regalassi un tuo testo edito o inedito legato al tema del nostro editoriale e ce lo contestualizzassi, sottolineando in quale direzione vorresti che le riflessioni intorno alla questione del gender in poesia si indirizzassero.
Non ho testi inediti pronti, ma mi fa piacere condividere un testo appena uscito in una pubblicazione eccezionale. Sono versi nati da una intuizione folle e geniale di Francesca Genti che un giorno, leggendo dei commenti miei, di Alessandra Carnaroli e di Leila Falà sotto un post di Repubblica che riportava la reazione di una ragazza a delle molestie verbali, ci ha proposto di fare una racconta di versi con Sartoria Utopia. Questo libricino, in formato assolutamente eccentrico e ingegnoso, è uscito da poco con il titolo Prontuario lirico di autodifesa muliebre. La mia parte di versi si intitola “Settenari con aculei”, sono diverse poesie tutte in settenari, le ho scritte così per potenziare il contrasto tra il contenuto e il ritmo del settenario.
INQUINAMENTO PAESAGGISTICO Camice chiuso e gambe larghe piedi tacco punta don do li punta tacco mani in tasca bottone tira altezza pacco giri sorrisi stirati a infermiere e a parenti di malati aureolati lì attorno a te tacco punta bar triste grigio ospedale verde tu bianco ammantato sprizzi testosterone maschio atavico forza patriarcale potere dottorale, ti allunghi e fai Hai fatto la notte da tua madre? Esci ecco la primavera, occhiolino lento Fiori rosa, io fiori di pesco, no con te non ci casco e fottiti tantissimo.
È un testo che ho scritto guardando alla realtà, al quotidiano, decostruendo, in versi, modalità trite e ritrite dell’abuso di potere, anche quello più sottile e all’apparenza più innocuo perché spesso camuffato da fare sornione e paternale. La banalità del quotidiano filtrato dalla lente femminista fa emergere piccoli cenni di abuso e di molestia, perché di questo la nostra società è intrisa. Non sempre la molestia è plateale, come sappiamo, di frequente però è di genere. La necessità di intravederla e parlarne, dirla e condividerla, per disinnescarla e rendere visibile l’invisibile, sperimentando altri modi di guardare e svelare. I versi servono anche a questo.
Anna Toscano insegna presso l’università Ca’ Foscari di Venezia e collabora con altre università. Fa parte del direttivo della Società Italiana delle Letterate. Scrive per testate e riviste cartacee e online, tra le altre Il Sole24 Ore, minima&moralia, Doppiozero, Leggendaria, Balthazar, Artribune. Un’ampia parte del suo lavoro è dedicato allo studio di autrici donne, da cui nascono articoli, libri, incontri, spettacoli, corsi, curatele, tra cui: Chiamami col mio nome. Antologia poetica di donne vol. II, 2022. La sua sesta e ultima raccolta di poesie è Al buffet con la morte, 2018; liriche, racconti e saggi sono rintracciabili in riviste e antologie. Suoi scatti fotografici sono apparsi in giornali, manifesti, copertine di libri, mostre personali e collettive. Varie le esperienze radiofoniche e teatrali. www.annatoscano.eu
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