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Immagine del redattoreAlessandra Corbetta

Editoriale Alma Gender (appuntamento n°6)

Continuano le interviste di Alma Gender, volte a sondare la questione del gender in poesia: protagonista di oggi è Penelope Agata Zumbo.


Ricordiamo che chi volesse segnalarci studi o ricerche su questo argomento o desiderasse contribuire ad arricchire con competenza il dibattito, può farlo scrivendo a redazione@almapoesia.it, specificando in oggetto “Editoriale Alma Gender”; tutto il materiale pervenuto verrà sottoposto a lettura e quello ritenuto più interessante e valevole verrà proposto all’interno del progetto.


IN DIALOGO CON PENELOPE AGATA ZUMBO


Siamo nel 2022, eppure il dibattito intorno alla questione del gender in poesia sembra non essersi ancora esaurita: da una parte ci si continua a chiedere se, in effetti, la poesia possa averne uno o se, in quanto arte, prescinda da qualsiasi suddivisione a riguardo; dall’altra l’inevitabile constatazione della prevalenza di poeti uomini nelle antologie scolastiche e, forse, pure nel panorama poetico contemporaneo. Anche alla luce della preponderanza che il tema del femminile sta assumendo nel dibattito odierno tout-court, come inquadri l’argomento e qual è la tua opinione a riguardo? Soprattutto, prevedi un’evoluzione verso altre traiettorie per un futuro prossimo?


Le tematiche di genere sono di recente sotto i riflettori accademici e in ambiti letterari e questo è innegabile e a mio avviso molto importante. Quando partecipo a una lettura di poesia o a un laboratorio mi volto perplessa per il poco numero di poetesse, e spesso raggruppate come voci a sé. Se poi devo considerare l'essere una donna transgender, come poetessa vedo che la mia transizione e il mio aspetto fisico passano davanti alla mia voce, molto spesso sento gli occhi addosso quando dovrebbero tendere solo il cuore per ascoltare. Rimane molto grave il dato che conferma la poca presenza in antologie scolastiche di autrici, letterate, poetesse. Io stessa mi sono ritrovata in contesti universitari con la necessità impellente di studiare e aggiungere alle mie antologie autrici importantissime. Studiare le rime di Vittoria Colonna, approfondire il petrarchismo sospiroso di Gaspara Stampa, innamorarmi della voce di altre grandi autrici più recenti come Antonia Pozzi, Alda Merini, Sibilla Aleramo, ha contribuito tantissimo alla mia crescita poetica e umana. Ma da sempre cercavo il femminile in poesia, sono partita leggendo gli scritti imponenti di Emily Dikinson e Saffo, all’età di tredici anni cercavo in loro il genere che mi era stato negato, e il mio modo di vivere la poesia è ancora intriso di quella freschezza ribelle.

Tutti questi benedetti incontri, magici oserei dire, non li ho accolti tramite un libro di scuola, un professore virtuoso, un documentario in televisione. Nulla o quasi parlava della poesia delle autrici nella mia adolescenza, sola, a istinto ho ricercato una poesia di nomi e cognomi nascosti che però mi hanno dato tutto.

Sono stata fortunata? Sicuramente. Ma lo saranno altre e altri dopo di me? Quante possibilità ci sono oggi di conoscere poetesse nelle antologie scolastiche? Ci sono, sicuramente di più rispetto a quando ero piccola io, ma sono oggettivamente molto poche. Cambierà la situazione in un prossimo futuro? Immagino che le possibilità di un panorama poetico più inclusivo di voci femminili è sempre più reale, molte donne si stanno imponendo in tal senso. Il prestigioso riconoscimento a Louise Glück mi ha dato ingenuamente molta speranza, in un “ritorno” di una poetica femminile come diceva appunto la motivazione del Nobel, capace di rendere universale l’esistenza individuale. Sta qui il nodo, quanti davvero considerano oggi la voce di una poetessa universale? Quante verranno innalzate nel cielo del canone occidentale? Non so, credo che nonostante le tantissime lotte, questa lotta culturale sia ancora nel vivo e nella condizione d’urgenza. Scardinare una società patriarcale fossilizzata in una visione della donna come oggetto, musa, nemico e raramente come io lirico narrante non è affatto una cosa da poco. Ripenso al dramma della poetessa Nadia Anjuman, barbaramente uccisa dalle mani di suo marito perché era più importante e apprezzata di lui. Allargando la questione infatti aldilà dell’occidente il tutto si complica e quell’ “universale” diventa fragile. Ma la poesia è espressione artistica di un contesto sociale, di un determinato momento storico e per quanto tra le arti appare erroneamente distaccata da questo, ne è parte integrante. E in questo momento rispetto ad altre epoche, sul tavolo pubblico appaiono queste questioni urgenti con tutto il loro potere rivoluzionario e creativo. Spero fortemente in questo cambiamento culturale perché c'è ancora forte la necessità di parlare di dinamiche di genere in tutti i campi e la poesia da questo non può esimersi, soprattutto guardando al genere non come un categorizzare stereotipante ma come opportunità di sondare nuove profondità dell'identità di ognuno senza alcuna paura. Le complessità del genere non possono spaventare chi si occupa di poesia, e le sue esperienze non possono essere ridotte o affidate solo a voci femminili.

Sogno un mondo dove vi siano tante autrici nelle antologie scolastiche e universitarie, un mondo dove a occuparsi di letterate e poetesse non siano solo o principalmente donne, dove si riconosca che le questioni di genere appartengono a tutti e a tutte.

C'è una grande opportunità davanti ai poeti, spero che si superi il baratro patriarcale e ci si renda conto del volo prezioso da condurre.


Nella nostra società il corpo è diventato il capro espiatorio per affrontare questione complesse, spesso legate all’appartenenza di genere e alla costituzione dei processi identitari. Il corpo, in effetti, facilmente sottoponibile a modifiche e correzioni, sembra costituire il territorio a partire dal quale ridefinire e affermare chi siamo. In questo senso, se facciamo riferimento alle pubblicazioni degli ultimi anni, pare esserci una prevalenza di poetesse che hanno fatto proprie queste tematiche rispetto ai colleghi uomini, che sembrano preferirne altre. Come spieghi questo dato? Pensi possa essere indicativo rispetto alla questione oggetto del nostro editoriale?


Sul tema del corpo ho scritto e continuerò a scrivere, perché credo che sia un luogo da dove fiorisce l'interiore, il profondo che diventa volto, andatura, respiro. Questa connessione speculare mi rendo conto che non viene colta, spesso vediamo i nostri corpi come oggettificati da sistemi sociali e norme estetiche, dimenticandoci della storia personale che il corpo racconta. Ma siamo educati fin da piccoli a coprire il corpo, a renderlo altro, a non occuparcene sotto il velo. Il corpo mangia, sorride, piange, parla, parla tantissimo. Racconta in ogni centimetro le storie dei nostri antenati, le energie di tutti i nostri possibili e di tutti quelli che siamo stati o che non siamo stati affatto. Il corpo ha un potenziale incredibile di espressione, ma ci scontriamo con un sistema culturale che lo ha strumentalizzato, regolarizzato, normato e che ancora ci educa a farlo. Del corpo si parla con stereotipi, con burla o scherno, con disprezzo e con esaltazione, ma raramente con accettazione e rispetto. E molto raramente con ascolto. Il corpo è dominio pubblico e chiunque ha il diritto di ferire parlando del corpo di un altro. La pressione sociale sulla perfezione del corpo è immensa nella cultura occidentale. Chi meglio della donna può opporsi a questi meccanismi con la propria voce? È proprio lei che da sempre nella storia del costume e dei pensieri è il bersaglio di questi meccanismi occlusivi riguardo il corpo. Le costrizioni di un corsetto del passato e oggi le stereotipanti pubblicità di moda e nei tempi più recenti i canoni estetici degli influencer sui social, rendono la pressione sul corpo femminile come costante, sempre a dover dimostrare di essere alla pari, alla stessa altezza, di essere potente, seducente, capace di diventare sogno. Viene necessaria per sopravvivenza personale di ognuna di noi opporci a queste gabbie per non divenire vittime, accettarci rivendicando anche in poesia un corpo nostro, autodefinito, che ci appartiene davvero e che racconta solo ciò che sentiamo e non ciò che dovremmo essere per gli altri. Un corpo come uno spazio libero d’abitare, da esplorare ad ogni età senza il confine del bello, un corpo che è sacro per sé stesso. Ma ancor di più per chi scrive di corpi e quindi anime in transito il discorso diventa ancora più pressante: corpi senza libertà di autodeterminazione spesso sottoposti a percorsi di affermazione di genere complessi e interminabili, corpi bombardati da modelli cisgender a cui si è spinti a tutti i costi ad aderire per essere credibili, corpi trans dove la dimensione feticizzante subita è molto forte.

Corpi che invece sono forte testimonianza dell’amore per il conoscersi, corpi che per il transito che compiono si sono sognati spesso un’intera vita, a cui per tutta una vita manca il rispetto, soprattutto nella narrazione.

Come si può parlare del corpo in poesia se vi è un sistema sociale così distruttivo di questo?

È difficile per questo parlare di corpi, e di corpi trans, quando lo faccio ho paura di toccare qualcosa di così infinitamente santo, delicato e così infinitamente abusato. Cerco però di vincere questa paura, perché credo che la poesia stessa ha la capacità di rendere leggerissima e piena di celeste la più grande delle sfide, il più vertiginoso tema rendendolo reale, e allora mi metto i guanti e riprendo la penna. Ma non si può anche in questo caso declinare questo invito e destinarlo soltanto alle coraggiose voci femminili. Non ci si può esimersi da questa lotta per il corpo collettiva perché è imperativo sollevare il velo che lo opprime aprendoci di conseguenza alle complessità del genere e alle dinamiche nascoste del profondo attraverso l’indagine poetica.

Con tutto il cuore spero di poter incontrare ancora con la mia piccola voce i misteri del corpo liberamente, e che la voce di tante poetesse e poeti possa liberarci sempre, facendo risuonare corpi e identità totalmente libere.


Vorrei che ci regalassi un tuo testo edito o inedito legato al tema che stiamo affrontando e ce lo contestualizzassi, sottolineando in quale direzione vorresti che le riflessioni intorno alla questione del gender in poesia si indirizzassero.


Ho scritto questo testo appositamente per questa occasione, scrivendo di cuore cosa sento quando mi metto addosso la parola genere, come vengo letta dalla realtà che mi circonda, che mi conosceva e che ora mi studia da lontano con sospetto o peggio. Vorrei un reale che guardando alla parola genere, vi legga dietro l’amore di essere sé stesse e se stessi, solo questo.


Il prezzo


Guardo il mio volto come la geografia di un suicidio,

ho ammazzato tutto quello che volevate.


Sono guardata per strada come lo spirito di un maleficio,

sovversiva degli empirei,

antagonista dei fossili,

la stella in un gorgo, dispersa, spezzata, resuscitata

aldilà dei generi.


Penelope Agata Zumbo (Messina 1991) è una poetessa, una studentessa di lettere curricula moderno, una donna transgender, un'anima legata indissolubilmente alla poesia. Fin dall'infanzia la poesia è stata la forma più diretta per la sua comunicazione, il suo scrivere è legato ad una visione mistica della parola, veicolo di potere e fioritura personale aldilà del tempo. Ha scritto sempre in forma privata, profondamente intimistica ispirata da Emily Dickinson, Gaspara Stampa e Saffo. Il rapporto spirituale con la natura, l’affettività e la ricerca di sé, la vita come dono d'amore al mondo sono alcuni dei topos affrontati nei suoi scritti. Suoi testi sono presenti in Distanze obliterate. Generazioni di poesie sulla Rete (Puntoacapo Editrice 2021).





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1 comentario


emanuelagiannino
28 feb 2022

Penelope, Donna, Sorella,Amica per la vita , fortuna averla accanto!

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