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Immagine del redattoreEmanuele Andrea Spano

«Domani non c’è» : recensione a "Notturno formale" di Stefano Bottero

È indubbio che quest’ultimo libro di Stefano Bottero, Notturno formale, uscito per Industria e Letteratura all’inizio di quest’anno, produca fin dalle prime pagine un effetto di straniamento potente che spinge il lettore a ricercare all’interno del libro una struttura, un indizio, una traccia che consenta di riannodare un qualche filo e di individuare una qualche trama sotterranea o almeno una chiave per comprendere l’operazione del poeta. Uno spaesamento che parte dall’abolizione delle coordinate spazio-temporali della poesia, dalla sconnessione del linguaggio che pare frantumato e sincopato, dall’accostamento, talvolta violento e disarmante, di immagini appartenenti a sfere e registri differenti, uno spaesamento che neppure le immagini d’autore, abilmente dissolte dentro la cornice del libro, sembrano risolvere, se è vero che è assente qualsiasi intento didascalico e parola e immagine convivono, detonandosi a vicenda, in uno spazio più ampio, dai contorni sfuggenti.

Stefano Bottero, Copertina, Alma Poesia

La dimensione notturna, evocata fin dal titolo, è qui uno stato di sospensione in cui convivono lacerti di una qualche esperienza, seppur spogliati del loro valore conoscitivo e della loro carica emozionale, frasi e pezzi di un dialogo sospeso, continuamente interrotto e ripreso fino a farsi canto ossessivo, abbozzi di una realtà tangibile, quotidiana, mescolati a distorsioni oniriche, a farneticamenti sulle cose che eleggono le cose a destinatari del canto stesso del poeta.

La vera risorsa di questo libro sta proprio nell’esplorazione del confine, nel rimescolamento dei dati sensoriali ed emozionali fino alla creazione di uno spazio dilatato in cui la membrana sottile tra il dentro e il fuori collassa e tutto diviene luogo in cui la parola poetica può muoversi. Se si intuisce l’esistenza di un interno, a tratti quasi claustrofobico, quell’interno a cui rinviano il letto, le federe, i detersivi, quella stanza in cui qualcosa avviene e si consuma, l’esterno è ormai divenuto una proiezione di noi, è interiorizzato e digerito dalla nostra interiorità. «Le fibrillazioni» scrive Bottero «sono insegne luminose» a testimoniare che pure il farsi vorticoso delle cose fuori dal nostro corpo ci è entrato dentro e quell’interno che si spalanca dentro noi ha i tratti talora della ferita, dello strappo o altrove le parvenze di una caverna, pronta ad accogliere l’altro, possiede mani e polpastrelli che toccano e possiedono con il loro gesto.

Tutto passa attraverso la bocca, la gola, la lingua in un crescendo che tuttavia non trova il suo soddisfacimento o l’orgasmo, muovendosi, ancora una volta, lungo un confine tra una dimensione sensuale, quasi erotica, e una conoscitiva, se è vero che la bocca è al contempo lo strumento della parola e quello della sessualità.

«Ho la neve tra i denti» scrive ancora Bottero, come a dirci di un’impossibilità di dire, di agire, raccontandoci di una stasi, di un’immobilità che in più luoghi nel libro paralizza l’io del poeta, in cui quella tensione verso l’altro e verso l’oltre – oltre se stesso, oltre i confini di quella stanza reale e virtuale in cui si muove – si esaurisce e si spegne senza trovare un accordo.

Il gioco tra movimento e assenza di movimento, tra slancio e arresto è uno dei più riusciti in queste pagine, un gioco tragicamente vero che contagia anche la parola che nell’impossibilità di dire, di definire, si arrotola su se stessa, si blocca per ritornare a farsi enunciato nella pagina dopo. Non esiste una soluzione, una chiusa, una palingenesi di nessun tipo in questo libro, non esiste una qualche consolazione affidata alla poesia, esiste solo il senso del movimento, e poco importa che quel movimento sia lineare e risolto, o singhiozzante e circolare.


Stefano Bottero, Alma Poesia, Dino Ignani
Stefano Bottero (Ph. Dino Ignani)

Poeta, nato a Roma nel 1994. Vive a Venezia, dove svolge un dottorato di ricerca. Nel 2019 esce per Oèdipus la sua raccolta d'esordio, Poesie di ieri, con prefazione di Biancamaria Frabotta - di cui è ultimo allievo. Nel 2021 vince il premio Città di Como per l'opera prima. Nel 2022 una silloge di 15 poesie è pubblicata da Milo De Angelis su «Poesia» (Crocetti, Feltrinelli), n.14, per la rubrica I poeti di trent’anni. Collabora come traduttore e critico per riviste italiane e internazionali - tra cui «Nuovi Argomenti» (Officina poesia online), «Polisemie», «Atelier», «Lay0ut magazine». È curatore dello spazio di Zeugma - Casa della poesia di Roma. Scrive di estetica e poesia contemporanea.


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