Commento a "Historiae" di Antonella Anedda
In Historiae (Einaudi 2018) Antonella Anedda perlustra gli spazi del mondo, siano essi artificiali o naturali, in modo accurato, dimostrando profonda e dolorosa adesione alla realtà. Historiae è anche il luogo della memoria, delle memorie che stanno sulla pagina con levità e grazia, senza mai mancare di nitore, tipico tratto della sua scrittura. Historiae è racconto biografico e della comunità. Non esiste solo ciò che la poetessa sente, esiste anche ciò che guarda, non tutto è vagliato esclusivamente dall’emotività. Le storie, qui, sono stratificazioni di sguardi, paesaggi multipli che attendono d’essere scoperti. Temi ricorrenti sono la malattia e la morte narrati dall’io che di fronte alla disgregazione sopravvive ricomponendosi: «tutto si perde / e torna in altre forme». Siamo di fronte a una poesia diretta e sincera che emerge dal silenzio dei tempi e si consegna a chi legge con realismo essenziale, necessario.
Anatomia
Dice un proverbio sardo
che al diavolo non interessano le ossa
forse perché gli scheletri danno una grande pace,
composti nelle teche o dentro scenari di deserto.
Amo il loro sorriso fatto solo di denti, il loro cranio,
la perfezione delle orbite, la mancanza di naso,
il vuoto intorno al sesso
e finalmente i peli, questi orpelli, volati dentro il nulla.
Non è gusto del macabro,
ma il realismo glabro dell’anatomia
lode dell’esattezza e del nitore.
Pensarci senza pelle rende buoni.
Per il paradiso forse non c’è strada migliore
che ritornare pietre, saperci senza cuore.
da Historiae (Einaudi 2018)
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