Commento a "Cuore (cieli celesti)" di Beppe Salvia
Beppe Salvia nato a Potenza, trascorre la maggior parte della sua breve vita a Roma, dove muore suicida nel 1985. Quasi tutto il suo lavoro poetico è pubblicato postumo. Sue poesie erano già apparse in precedenza su riviste quali Prato Pagano di Gabriella Sica, Nuovi Argomenti e Braci che aveva fondato insieme a Marco Lodoli, Claudio Damiani e Arnaldo Colasanti. Beppe Salvia recupera le forme della tradizione, ravviva parole antiquate inserendole in versi dal ritmo trascinante, su di lui avrà grande influenza Leopardi, tuttavia è una poesia chiara. Il recupero della tradizione non ha l’intento di trascinare nel tempo un passato poetico, «ogni poesia di Salvia semmai ha l’aria di ricominciare tutto daccapo, o meglio inventare le regole del gioco, via via che esso viene giocato», scrive Emanuele Trevi.
voi lo sapete non vale un verso
perfetto, non l’artificio che l’ha scritto
ma dello scorcio. del metallo peso.
del segno larvale. dell’universo.
poi nell’arreso giorno s’imprigiona
tra le sue mura il mortale zefiro
e le fiamme e vite ch’esso dispera,
e nel celeste il cielo e nel suo il suo.
io dell’ardere manifesto il suo
di queste incudini di questo verso,
e non ho tempo e non ho vero verso
e non ho che la vita e questa vita,
e non la gloria dei lessici e del metro,
non l’accaduto adesso nel suo vetro
da Cuore (cieli celesti) (Rotundo 1988)
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