Commento a "Barche amorrate" di Dino Campana
«C’è una frase nel manoscritto ritrovato nell’armadio di Soffici (stava lì da sessant’anni, non s’era mai mosso) con cui Dino gli risponde, gli dice: Essere un grande artista non significa nulla: essere un puro artista ecco ciò che importa» così leggiamo ne La notte della cometa di Sebastiano Vassalli. Poesia e vita in Dino Campana sono indissolubili. L’una alimenta l’altra sino all’epilogo della seconda nel manicomio di Castel Pulci: qui Campana morirà dopo ingiustizie, vagabondaggio, amori burrascosi, ricordiamo l’intenso legame con Sibilla Aleramo. Zanzotto dirà che «una poesia come quella di Campana si configura come un flusso ininterrotto di armonie e di disarmonie, di serie melodiche e semantiche che si sovrappongono e s’intrecciano». Nei Canti Orfici i versi di Campana sono musicali e visionari ma non possiamo ridurli solo a questo aspetto, la sua è poesia che entra in contatto col mistero e ne scandaglia le contraddizioni.
La poesia è tratta dalla raccolta Canti orfici (Marradi, Tipografia F. Ravagli 1914).
Barche amorrate
Le vele le vele le vele
Che schioccano e frustano al vento
Che gonfia di vane sequele
Le vele le vele le vele!
Che tesson e tesson: lamento
Volubil che l'onda che ammorza
Ne l'onda volubile smorza
Ne l'ultimo schianto crudele
Le vele le vele le vele!
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