Alma & Rosselli (III Appuntamento)
Amelia Rosselli tra tradizione e respiro europeo
Non è un caso che Amelia Rosselli abbia deciso di togliersi la vita nello stesso giorno, l’11 febbraio, in cui trentatré anni prima Sylvia Plath si era suicidata. Questo estremo esempio ci mostra, oltre che un forte legame tra vicende biografiche e letteratura, il profondo e stratificato rapporto tra Amelia Rosselli e i suoi modelli, le sue rielaborazioni, i dialoghi con gli autori. Tra importanti riprese della tradizione, come Petrarca o Leopardi, e un respiro europeo e modernista, i testi di Rosselli sono intrisi di un tessuto intertestuale a volte esplicito e virgolettato, altre ben più nascosto e melangiato, che rende di fatto inesauribile il discorso a proposito della sua scrittura. Si è parlato molto ad esempio di un’Amelia Rosselli poco inquadrabile nella poesia novecentesca italiana, ma che trova il suo legame con il nostro Paese attraverso il rapporto con Petrarca. Per sua stessa definizione, Documento doveva rappresentare il suo “canzoniere”, ed effettivamente si riscontra un progetto autobiografico con lo stesso impianto macrotestuale. In un’intervista raccolta in È vostra la vita che ho perso. Conversazioni e interviste 1964-95, scrive che «l’ispirazione di questa raccolta è Petrarca. Doveva essere un canzoniere d’amore in sonetti ed è diventato qualcosa d’altro. Canzoniere d’amore lo è, comunque», rimarcando anche la vicinanza tematica con Petrarca. Ma c’è anche la ripresa, se pur non rigorosa, del sonetto, e il problema dell’interlocutore dell’Io lirico.
Fin dai Primi Scritti poi è possibile ricavare fonti che vanno da John Donne a T.S. Eliot a Lautréamont, sperimentando più generi e più lingue (come in Diario in tre lingue). E arriviamo così a Variazioni belliche, dove è forte la presenza di Montale. La poesia che apre la raccolta recita «Non so più / chi va e chi viene, lascia / il delirio trasformarti in incosciente / tavolo da gioco, e le ginestre (finestre) affacciarsi», chiaro riferimento ai celebri versi de “La casa dei Doganieri”. In più, nei versi citati, si potrebbe certamente aprire un discorso sul rimando alla ginestra leopardiana. Questi brevi accenni ci servono a dare un’idea del pluriculturalismo di Amelia Rosselli, la cui poesia non può essere letta con uno sguardo che non sia quanto meno europeo. Un’attenzione particolare merita anche il rapporto tra Amelia Rosselli e un’altra eroina-poetessa, Emily Dickinson. In una fittizia linea di continuità, entrambe rappresentano due autrici canoniche e canonizzate che, in maniera più o meno esplicita, saranno sempre modello delle loro postere compagne. Basti pensare alla poesia delle donne negli anni ’70, periodo decisivo per l’affermazione femminile, per capire quanto entrambe e spesso insieme abbiano costituito un pilastro linguistico, stilistico e di ispirazione identitaria. In uno scritto a lei dedicato e contenuto nel “Meridiano” L’opera poetica, Rosselli scrive: «Impossibile scrivere qualcosa di nuovo su Emily Dickinson, così com’è molto difficile definirne la personalità. Dai pochi documenti rintracciabili, la sua vita privata è insondabile: ben più drammatica è la lettura delle sue poesie». L’impenetrabilità dell’autrice e la lettura perturbante della sua poesia sono già un elemento comune ad entrambe. Ciò che Pasolini ha definito lapsus per la Rosselli, ossia i giochi di parole, gli scioglilingua, è proprio il tratto che contribuisce a creare inquietudine e mistero, rendendo il testo a volte al limite del comprensibile. E non è un caso che nelle poesie della Dickinson tradotte dalla Rosselli si possa intravedere un processo di appropriazione e sovrapposizione di due lingue che diventano una sola, come se l’una avesse fatto con l’inglese ciò che l’altra ha fatto con l’italiano. E d’altra parte in entrambe a parlare è un paesaggio interiore magmatico che si esprime, più che in senso grammaticale, in maniera ritmica e fonica. Un paesaggio che spesso si manifesta concretamente in immagini simili, legate alla natura, ai giardini, alle metafore dello sbocciare. «Io fiorisco i versi di altre altitudini» (“La libellula”) è un verso di ispirazione dickinsoniana, dove il fiore, simbolo della Natura e della purezza, diviene anche metafora metaletteraria e metalinguistica. Il discorso che entrambe portano avanti, infatti, è sempre legato alla ricerca di una lingua tout court, che provi a dire l’impossibile, ciò che si trova appunto ad altre altitudini. Anche il trattino tipico della Dickinson, che rompe il verso rendendolo ellittico, serve a spezzare l’andamento discorsivo e a spingere verticalmente la poesia in senso metaforico, nel profondo e nell’inconscio. Infine, c’è un grande parallelismo da fare tra le due autrici, messo bene in evidenza da Emmanuela Tandello, ed è quello legato alla ricorrenza della parola “cella” e al concetto di geometria a essa correlato. In Variazioni belliche ritorna costantemente la parola “cella”, che si identifica come uno spazio chiuso e delimitato, geometricamente un cubo. In Dickinson invece la forma che ricorre è la circonferenza, anch’essa chiusa e geometrica. In entrambi i casi si allude alla necessità di uno spazio che dia un ordine e che accolga tutta la complessità a volte caotica di una poesia traboccante, enigmatica e inafferrabile. Geometrie dell’estasi è il titolo di una raccolta della Dickinson, e quale miglior espressione per cogliere il concetto di una poesia che, nata come esperienza estatica, necessita di trovare una qualche stabilità. Il concetto geometrico è anche quello legato alle forme metriche in cui Rosselli “ingabbia” la propria poesia, tenendola legata alla pagina almeno da un punto di vista grafico. Perché per il resto la scrittura di entrambe le autrici è uno sguardo lontano da una finestra aperta (immagine che per altro ritorna spesso sia in Rosselli che in Dickinson): «Ma il vento veloce che spazia / al di là dei confini sa coronare i miei sogni anche / di albe felici».
Compianto paradiso: pace in terra anche
se solo per un istante: non l’avrai!
mai: né puoi calcolarla, provocarla,
costruirla pezzo a pezzo.
Il male col suo bene rifa’ la strada
ogni giorno invernale e a te sembra
che debba non far altro che attenuarti
la condizione civile in cui vivi.
Nessuna gioia nasce, può partorire un
così fresco vento o solo da contraddire
la tua sagacità: ti distruggi un poco
per poi contare sull’orlo delle dita
quanta freschezza fu persa scappando
(da Documento)
*
Se la colpa è degli uomini allora che Iddio venga
a chiamarmi fuori dalle sue mura di grossolana cinta
verdastra come l’alfabeto che non trovo. Se il muro
è una triste storia di congiunzioni fallite, allora
ch’io insegua le lepri digiune della mia tirannia
e sappia digiunare finché non è venuta la gran gloria.
Se l’inferno è una cosa vorace io temo allora essere
fra di quello che portano le fiamme in bocca e non
si nutrono d’aria.! Ma il vento veloce che spazia
al di là dei confini sa coronare i miei sogni anche
di albe felici.
(da Variazioni belliche)
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