Alma & Rosselli (I Appuntamento)
L'altrove di Amelia Rosselli
Nel 1978 Pier Vincenzo Mengaldo inserisce Amelia Rosselli come unica donna nell’antologia Poeti italiani del Novecento, di fatto ammettendola nel canone italiano novecentesco, a cui appartiene indiscutibilmente tutt’oggi. Tuttavia, questa ammissione avviene ben quindici anni dopo l’esordio e con la consapevolezza che si tratti di un «fenomeno in sostanza unico nel panorama letterario italiano» (Mengaldo). L’opinione comune di chi si è trovato di fronte alla poesia di Rosselli – da Pasolini a Giudici a Montale – è quella di un caso anomalo e difficilmente inquadrabile nelle linee poetiche contemporanee del nostro paese. L’eccentricità e l’estraneità di Rosselli, che sicuramente vanno ricostruite in ambito storico-biografico e poetico, non fanno dell’autrice un’eccentrica e una straniera, appellativi che derivano da una prospettiva italo-centrica. Direi piuttosto che il respiro internazionale della sua poesia, dalla lingua allo stile ai temi, la pongono in una posizione di assoluta rilevanza e unicità rispetto all’intero panorama europeo. Da mettere in evidenza sarà dunque la forte poetica individuale più che la marginalità rispetto alle correnti dominanti in Italia.
Nata a Parigi nel 1930, cresce lontano dall’Italia formandosi in Inghilterra e poi trasferendosi negli Stati Uniti. La sua condizione di apolide rimanda più a quella dell’esiliato che del cosmopolita per scelta; la famiglia ebrea è infatti una delle tante vittime della storia fascista, costrette a trovare asilo altrove. Amelia usa spesso la parola «fuoriusciti» per indicare lo stato di esule che ha caratterizzato lei e la famiglia per i suoi primi diciotto anni di vita. Come ricorda nei celebri versi da Variazioni belliche, al suo arrivo l’Italia sarà per lei un paese barbaro: «Nata a Parigi travagliata nell’epopea della nostra generazione / fallace. Giaciuta in America fra i ricchi campi dei possidenti / e dello Stato statale. Vissuta in Italia, paese barbaro. / Scappata dall’Inghilterra paese di sofisticati. Speranzosa / nell’Ovest ove niente per ora cresce». Evidentemente un debutto di vita simile non poteva non avere conseguenze sulla poetica dell’autrice, che fa della sua non appartenenza a un luogo una ragione in più per abitare la poesia. «La patria del poeta è la sua poesia», scriveva Celan, e quale miglior modo per interpretare i versi di Rosselli se non cercare qui l’origine e la convergenza di tanta polifonia. Anche la lingua, tripartita tra italiano, francese e inglese, sembra in realtà non avere barriere, ma interpretare il linguaggio universale della poesia. Così la babele linguistica fatta anche di errori e passi sgrammaticati contribuisce a un intento di purezza tramite cui la parola diventa comunemente accessibile. Nei primi due libri, Variazioni belliche e Serie ospedaliera, si incontrano costantemente violazioni della norma, innovazioni, incursioni da altre lingue, inversioni sintattiche: «non son rancorista», «transdugia pianamente», «un babelare commosso, car le foglie secche e gialle rapiscono». Ignorando le regole dell’italiano scritto e orale, Rosselli riesce a parlare una lingua ridotta al privato che ha qualcosa a che fare con ciò che sarà il petèl (la lingua) di Zanzotto.
L’altrove in cui si muove la poesia di Amelia Rosselli – linguistico, territoriale e intertestuale – riguarda uno spazio che muove da una condizione strettamente autobiografica ma che, grazie alla poesia e al suo potenziale espressivo, riesce a rimanere sospeso al servizio di tutti. Non di rado la poesia di Rosselli si apre al Voi, inteso come un voi tutti, un richiamo che letteralmente si leva dalla pagina scritta come nel verso di estrema bellezza «è vostra la vita che ho perso».
Perdonatemi perdonatemi perdonatemi
vi amo, vi avrei amato, vi amo
ho per voi l’amore più sorpreso
più sorpreso che si possa immaginare.
Vi amo vi venero e vi riverisco
vi ricerco in tutte le pinete
vi ritrovo in ogni cantuccio
ed è vostra la vita che ho perso.
Perdendola vi ho compreso perdendola
vi ho sorpresi perdendola vi
ritrovo! L’altro lato della pineta
era così buio! solitario! rovinoso!
Essere come voi non è così facile;
sembra ma non lo è sembra
cosa tanto facile essere con voi ma
cosa tanto facile non è.
Vi amo vi amo vi amo vi amo
sono caduta nella rete del male
ho le mani sporcate d’inchiostro
per amarvi nel male.
Cristo non ebbe così facile disegno
nella mente tesa al disinganno
Cristo ebbe con sé la spada e la guaina
io non ebbi alcuna sorpresa.
Candore non v’è nei vostri occhi
benevolenza era tanto rara
scambiando pugni col mio maestro
mai v’avrei trovati.
Vi amo? Vi amerei? Tante cose
nel cielo e nel prato ricordano
amore che fugge, amore che scappa
dietro le case.
Dietro ogni facciata vedere quel
che mai avrei voluto sapere; dietro
ogni facciata vedere
quel che oggi non v’è.
(da Appunti Sparsi e Persi)
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