«Ai capricci umani»: recensione a "Avventure e disavventure di una casa gialla" di Francesco Deotto
Avventure e disavventure di una casa gialla di Francesco Deotto, uscito nel 2023 per la casa editrice L’arcolaio, è certo un libro che affascina e spiazza al tempo stesso. Affascina fin dalla copertina, fin dal titolo in cui quella casa – gialla, per l’appunto – diviene la protagonista, volontaria o involontaria che sia, di avventure, di peripezie che, normalmente, nel nostro pensare alla letteratura in un’ottica sempre assolutamente antropocentrica e un po’ infettata da sentimenti e nostalgie di ogni tipo, dovrebbero essere appannaggio esclusivamente di un uomo, di una donna, di un essere senziente, insomma. I luoghi, in fondo, li accettiamo solo in quanto emanazione degli uomini, e certo restiamo spiazzati, sorpresi, se quei luoghi sono ridotti, come qui, a edifici, a blocchi, a cumuli di calcestruzzo e cemento, se rispondono a una geometria, a una geografia che pare venire dall’alto, se sono parte di un piano e l’uomo, gli uomini, sono retrocessi a comparse, ad abitanti muti, nascosti o internati dentro quei luoghi stessi.
Occorre però partire dall’inizio, dalla “casa gialla”, per comprendere a pieno la radice di questo libro: quella casa gialla esiste o, meglio, è esistita, ed è stata a lungo un ospedale psichiatrico in Portogallo, per poi essere dismesso e divenire oggetto di fantomatici e mai realizzati piani di riqualificazione. Appunto un ospedale, un luogo in cui si cura e si guarisce, o si muore, ma un ospedale psichiatrico, uno di quelli in cui molto spesso non si entra volontariamente, e altrettanto involontariamente ci si resta magari fino alla morte, in cui il confine tra la cura e la reclusione, tra il salvare l’individuo o salvare la società dall’individuo è parecchio labile.
Parto da qui, come in qualche maniera ha fatto Deotto, perché il tema della cura, e se vogliamo della salvezza, resta un cardine del libro. E d’altronde le quattro sezioni della raccolta assecondano questo movimento, e pongono l’elemento dell’ospedale al centro, girando intorno tanto all’elemento architettonico, quanto a quello metaforico. Il blocco panottico che si erge austero a chiusura dell’inventario – per usare le stesse parole di Deotto – della prima sezione, e che tanto ricorda quello psichiatrico; l’ospedale e gli ospedali bombardati e devastati, o auto-bombardati e distrutti secondo un piano di ricostruzione, rinascita e riqualificazione della civiltà, della seconda; l’ospedale, da costruire, riflettendo sulla possibilità di erigere un nuovo edificio partendo dall’esistente, o sul costruire da zero distruggendo tutto, della quarta e ultima sezione. Certo, resta fuori la terza sezione, quella in cui i blocchi sono le palazzine, quelle in cui all’apparenza vivono i sani, e nella quale l’ospedale resta un’ombra, un edificio nascosto, in disparte, eppure sempre a un passo da quelle facciate.
Sarà chiaro come l’idea del costruire e decostruire, del distruggere e rifare sia la costante di questo libro e quanto la concezione della “cura” sia un tema continuamente sotteso alla riflessione. Il curare, che pare diametralmente opposto al bombardare, se è vero che la prima azione richiama l’dea della vita e la seconda la morte, eppure che cosa succederebbe se ci auto bombardassimo, se ci distruggessimo da soli, magari in maniera controllata e calcolata, valutando gli effetti delle esplosioni, la portata dell’onda d’urto i danni, per poi ricostruirci e rinascere?
Questo è uno degli interrogativi più pressanti a cui Deotto ci sottopone che certo porta con sé una miriade di altri interrogativi e di riflessioni sul confine stesso tra bene e male, sull’essere regolati e sull’autoregolarci, sul senso punitivo e quello deterrente delle leggi, e delle pene, sul destino stesso della nostra civiltà e in qualche modo pure sul nostro, di tutti, atteggiamento verso la rinascita e la rifondazione di un’umanità nuova. Si capirà ora come, al netto di quanto si diceva all’inizio, questo libro parli profondamente e intrinsecamente dell’uomo, seppur con alfabeti, scritture e forme differenti, e lo faccia senza la presunzione di avere una risposta, ma con la necessità di interrogarsi, in quanto uomini e in quanto pezzi di quella civiltà.
Francesco Deotto è filosofo, poeta, traduttore ed artista visivo. Vive tra l’Italia e la Svizzera, dove ha discusso una tesi di dottorato sul rapporto tra poesia e utopia ed è stato docente a contratto di letterature comparate. È l’autore di diversi saggi che interrogano i rapporti che legano (talvolta in modo armonioso, altre in modo conflittuale) pratiche apparentemente molto diverse come la filosofia, la retorica, la fotografia, la poesia. In quanto poeta ha pubblicato due libri: Avventure e disavventure di una casa gialla (L’arcolaio 2023) e Nella prefazione d’una battaglia (Italic 2018). Alcune sue poesie sono apparse in riviste e in siti come L’Ulisse, gammm, Formavera, Utsanga, The Florence Review, Le parole e le cose, Officina Poesia, Versodove. Ha tradotto dei testi di J.-L. Nancy, J.-P. Courtois, J.-C. Bailly, M. Deguy, M. Rueff. Alcune sue foto sono state pubblicate su Antinomie, DoppiaEsposizione, La Voce di Ginevra, ed esposte al PAB di Portogruaro e al Tirana Art Center. È uno dei componenti del comitato scientifico e organizzativo di Poesiæuropa.
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